Torre del Lago, 67° Festival Puccini 2021: “La Bohème”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”, LXVII Festival Puccini
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal romanzo Scenès de la vie de bohème di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Rodolfo IVAN AYON RIVAS
Mimì POLINA PASZTIRCSÁK
Marcello KARTAL KARAGEDIK
Musetta MARIA CHABOUNIA
Colline TOMMASO BAREA
Schaunard ABRAMO ROSALEN
Benoît/ Alcindoro MATTEO MOLLICA
Parpignol MATTEO CASTRIGNANO
Segente dei doganieri TOMMASO CORVAJA
Un doganiere MICHELANGELO FERRI
Un venditore GIOVANNI CERVELLI
Un ragazzo NICOLA PERUZZI BASILE
Orchestra, Coro e Coro delle Voci Bianche del Festival Puccini
Direttore Enrico Calesso
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Maestro del Coro delle Voci Bianche Viviana Apicella
Regia Ettore Scola ripresa da Marco Scola di Mambro
Scene Luciano Ricceri
Costumi Cristina Da Rold
Luci Valerio Alfieri
Allestimento Fondazione Festival Puccini
Torre del Lago, 31 luglio 2021
La scelta del Festival Puccini di riproporre la produzione del 2014 de “La Bohème” è particolarmente felice per diversi fattori: in primis per il sostanziale tradizionalismo dell’impianto scenico, tutto imbevuto di fin-de-siècle (con tanto di pseudo Manet che nel secondo atto dipinge il déjeuner sur l’herbe con modella svestita in primo piano, scelta arbitraria e francamente scioccherella, trattandosi della vigilia di Natale, ma glissons), e quindi una regia fondamentalmente fedele al libretto. Sia chiaro: non che chi scriva abbia maggior simpatia per le regie tradizionali, ma senza dubbio i libretti di Giacosa e Illica sono ancora oggi preziosissimi per i registi e solidamente impostati, al contrario di diverse idee balzane di cui tavolta i registi alla smaniosa ricerca di notorietà rimpinguano le opere che passano loro a tiro. Se “La Bohème” si fa seguendo bene quello che c’è scritto, al limite il rischio sarà quello della ripetitività, ma mai quello dell’errore grossolano. E infatti la regia del de cuius Ettore Scola, ripresa dal nipote Marco Scola di Mambro, non presenta alcun problema sostanziale, discrepanza col libretto o con la partitura. Scola, a suo tempo, si è messo in ascolto, e suo nipote continua giustamente in questa direzione. Tradizionalissime dunque le scene di Luciano Ricceri e i costumi di Cristina Da Rold – i tetti di Parigi, il “Momus” con camerieri, sciantose, artisti e prostitute, cuffietta rosa e ninnolo di corallo, i bambini attorno a Parpignol rimproverati dalle mamme strette in scialli di lana, la dogana sotto la neve, e poi dormeuse per lascirvisi morire, orecchini dati in pegno, vecchie zimarre, cordiale e manicotto, tutto il repertorio, insomma, e tutto ben confezionato per servire il più possibile l’azione scenica. Talvolta è proprio di fronte all’abbraccio rassicurante di queste produzioni che ci mostriamo meglio disposti anche all’ascolto. E, difatti, è chiaro che sia la dimensione musicale quella su cui si possa spendere qualche parola in più, a partire dalla puntuale direzione del Maestro Enrico Calesso, sempre attento alla coesione tra buca e scena e che raramente si abbandona a largheggi o rubati. I cori del Festival pure si confermano delle vere potenze, e in questo caso le voci bianche quasi superano in dinamismo gli adulti. Il cast è il migliore visto quest’anno a Torre del Lago, sia per coinvolgimento scenico che per musicalità: un riuscito Rodolfo è quello di  Ivan Ayon Rivas, che trova il giusto equilibrio tra l’ampiezza dei volumi e la dolcezza del fraseggio; tutte le “prove” lungo il percorso (“Che gelida manina”, “O soave fanciulla” e i duetti del terzo e del quarto quadro) sono affrontate con naturalezza e nobili portamenti; ottima Mimì è anche l’ungherese Polina Pasztircsák, alla sua prima “Bohème” italiana, ma che da tempo affina il ruolo nei teatri della Mitteleuropa: il suo timbro è caldo e pastoso, la tecnica solida, il fraseggio ben curato, specialmente nel quarto quadro. Il Marcello di Kartal Karagedik è  corretto, e spicca senza dubbio nel duetto con Rodolfo del quarto quadro: la voce tonda e piena di Rivas e quella leggermente “sabbiata” di Karagedik si valorizzano reciprocamente; nemmeno Colline (Tommaso Barea) e Schaunard (Abramo Rosalen) presentano grossi limiti di esecuzione, dimostrando volume e linea di canto efficace. Spicca su tutti la Musetta di  Maria Chabounia: la fisicità prorompente, la naturale inclinazione attoriale, la vocalità ricca di armonici e la tecnica tutta orientata a un fraseggio sempre vario variato la portano a brillare  in questo contesto già di per sé importante; inoltre ha una specifica intesa con Marcello/Karagedik, (marito e moglie nella vita reale, innamoratissimi genitori di una splendida bambina). Completano validamente il cast: Matteo Mollica (Benoit/Alcindoro), Matteo Castrignano (Parpignol), Tommaso Corvaja (Sergente dei doganieri), Michelangelo Ferri (Un doganiere), Giovanni Cervelli (Un venditore), Nicola Peruzzi Basile (Un ragazzo). Fa piacere insomma constatare come anche quest’anno il Festival Puccini sia riuscito a portare l’alta qualità dell’opera al pubblico italiano, riconfermandosi appuntamento imprescindibile per i pucciniani e non solo. Foto Giorgio Andreuccetti