Ravenna Festival 2021: “Metànoia” di e con Sergei Polunin

Ravenna Festival 2021, Teatro Alighieri, Trilogia d’autunno: la Danza, la Musica, la Parola
“METÀNOIA”
di e con Sergei Polunin
“INFERNO”
coreografia Ross Freddie Ray
musiche Miroslav Bako
video design – mapping Yan Yanko
voce di Dante Vincenzo Spirito
“PURGATORIO”
coreografia Sergei Polunin
musiche Gregory Reveret
video design – mapping Marcella Grimaux, Aaron Kaufman, Daniel Faubert
stage design Noisy Head Studio and The Fury
“PARADISO”
coreografia Jiří Bubeníček
musiche Kirill Richter
set and video design Otto Bubeníček
pianoforte Kemal Gekic, Kirill Richter
voce Andjela Ninkovic
percussionista Gianmarco Petrucci
lighting design Konstantin Binkin
Prima assoluta su commissione Ravenna Festival
Ravenna, 4 settembre 2021
Se siamo attratti dal villan, il cattivo di una storia, reale o inventata che sia, lo siamo innanzitutto per quel suo assecondare il proprio spirito interiore andando contro la legge, la deontologia e l’etica e poi per quel sorriso di sbieco che ci viene pensando a come egli si metta in gioco, andando fino in fondo, pur sapendo, al di là di una certa incoscienza, quale sarà il suo destino nella vicenda. Serhij Volodymyrovyč Polunin si è costruito uno di questi problematici quanto meravigliosi esseri addosso, letteralmente. I graffi sul torace e i tatuaggi del nome di Mickey Rourke e della testa di Heath Ledger in Joker, due ribelli e autolesionisti fino all’estremo lo dicono, ma fanno orami parte del suo passato. Certo non stiamo dicendo che Polunin sia un antagonista, ma lo consideriamo uno spirito indomito di anti ballerino per aver segnato il suo corpo che dovrebbe per regole di immagine e di ruolo rimanere anonimo, ovvero pulito e scolpito solo dalla muscolatura e non ricoperto da quei simboli tatuati così appariscenti. Ma Polunin è cambiato e, al di là delle ormai spente polemiche omofobe e quelle contro il popolo ucraino, perché filorusse, in Metànoia, che tra le altre cose significa proprio conversione, ha dimostrato che non è più quel danzatore solitario e ribelle free lance per aver lasciato il Royal Ballet di Londra e l’Opéra di Parigi, ma un imprenditore con un entourage di amici artisti di prim’ordine. Sarà anche merito di Tatiana Tokareva e di Zrnka Miskovic, rispettivamente manager della Polunin ink Ltd e direttore esecutivo della fondazione omonima che ne curano i post sui social, se oggi vediamo un “bad boy” molto professionale, posato e artisticamente impegnato: su Instagram @poluninink posta una serie di storie e foto congratulandosi con il team con cui ha lavorato ben 2 anni alla preparazione dell’evento (tra tutti: Ross Freddie Ray, coreografo e Miroslav Bako, musicista). Che lo si voglia redento all’establishment, d’altro canto in noi permane per fortuna quell’attrazione data dal contrasto tra la tecnica espressiva e l’ammirazione per la sua abnegazione, tanto dall’essere tentati a voler seguire il suggerimento dell’ Esquire che invita, provocatoriamente, a fare una donazione a suo nome alle associazioni che egli ha offeso. Ci piace considerarlo un bell’esempio di étoile fuori dagli schemi, più vicino a un Rudolf “Vado al massimo” Nureyev, che a un Michail “Say you, say me” Baryšnikov ma, a differenza loro, l’unico che è filosovietico.
Sergei Polunin è nato in Ucraina una decina di giorni dopo la caduta del muro di Berlino e faceva i primi passi nella Russia di Michail Gorbačëv quando iniziava la carriera politica di Vladimir Putin, attuale presidente della federazione russa. Ebbe modo di dichiarare che quando vede Putin (ce l’ha tatuato in centro nel petto) vede la luce, per questo ha un passaporto russo, ma ne ha anche uno ucraino e uno serbo. Forse proprio il voler essere apolide lo avvicina al ghibellin fuggiasco Dante, entrambi desiderosi di ripensare alla politica (che dovrebbe essere quell’organismo educativo collettivo inteso da Platone) e nella perenne ricerca di se stessi. Infatti Metànoia, quasi un’opera balletto, un voler riattualizzare problemi atavici dell’uomo, rappresenta una messa in scena di quel viatico autoconoscitivo dal quale si torna cambiati (tra catabasi e anabasi), una rappresentazione multimediale del karma del peccatore che raggiunge un equilibrio, prostrandosi al creatore, dopo aver superato una crisi esistenziale. Tuttavia anche se fin troppo studiata e ricca, Metànoia, che fa parte della Trilogia d’autunno 2021, “La danza la musica la parola”, che da Polunin va a Elio Germano, e dall’Inferno al Paradiso, passando da Dante a Goethe, non convince fino in fondo.
Ripartiamo dal presupposto che i tatuati simboli “discutibili” di fede (kolovrat) e le immagini e i nomi di chi ha amato e di chi si è infatuato, insieme alle cicatrici lasciate dai graffi autoinflitti, scompare nelle sue performance nei teatri, quanto dai cartelloni pubblicitari. Tutto è cancellato dalla grafica e nascosto sotto ad abiti che ne mortificano i movimenti e l’estetica: non lo si vede vestito di sola calzamaglia come nei suoi famosi videoclip. Per questo ci saremmo aspettati che, al di là della grandiosa videografica ad effetto, questo evento, voluto da Ravenna Festival, ci avrebbe offerto una performance al livello di quella espressa in “Take Me to Church”: ricca di pirouette, slanci e spaccate aeree. Invece nello spettacolo (delle cinque repliche) da noi assistito c’era un Polunin piuttosto misurato nelle movenze, a nostro giudizio decisamente appesantite e lente, alle volte incerte. Poco slancio nei Grand Jeté, ma sempre impeccabile nei suoi Fouettés, quindi debole nei recitativi sottolineati dalla calda voce della serba Anđela Ninković, soprano alla sua prima performance in un balletto; e per recitativi intendiamo quei momenti in cui lascia il passo di danza, sebbene esegua dei Port de bras, per calarsi nella parte di un ipotetico viaggiatore di mondi fantastici. Infatti, i video che scorrono nel fondale e in quinta scenica svelano dei mondi virtuali in stile videogame, con mostri stereotipati annessi, ben lontani dalla pŏēsis e dall’immaginifico dantesco che, non solo distraggono l’attenzione dal ballerino (che dovrebbe essere mantenuto sempre illuminato e al centro) ma non sono stati sfruttati per surrogare la mancanza di Pas de deux con ballerini e ballerine per eseguirli con le ombre proiettate in sipari a pannelli. È mancata insomma la simbiosi tra il Dante-Sergei e la scenografia, anche se quest’ultimo simula i famosi svenimenti del primo e sembra avvertire forte la presenza di Beatrice-Anđela che qui funge da corifèo greco che “dialoga” con le sue movenze e ne marca l’afflato.
Decisamente ottimo l’accompagnamento musicale dal vivo. Ma i nobili intenti dei compositori di richiamare il mondo surreale dantesco con archi, flauti, pianoforte e percussioni, rimane tuttavia circoscritto negli standard da colonna sonora di cinema muto. In definitiva, tanta bravura e tecnica ma poco pathos; una gran preparazione fisica ma poca quella spirituale, un po’ come in “Romeo e Giulietta” visto all’arena di Verona.
Metànoia non è suddivisa in quante sono le cantiche dantesche ma in due atti: Inferno + Purgatorio e Paradiso insieme, il primo esattamente il doppio del secondo e questo non ha permesso di godere appieno delle coreografie in cui Polunin porta magistralmente il passo della danza classica sul gesto di quella contemporanea. Foto Silvia Lelli