Verona, XXX° Settembre dell’Accademia 2021: Vladimir Spivakov & Ivan Bessonov in concerto

Teatro Filarmonico di Verona, Il Settembre dell’Accademia XXX° Festival Internazionale di Musica 2021
National Philharmonic Orchestra of Russia
Direttore Vladimir Spivakov
Pianoforte Ivan Bessonov
Sergej Vasil’evič Rachmaninov: Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in do minore Op. 18; Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 5 in mi minore Op. 64
Verona, 10 settembre 2021
L’appuntamento odierno al Teatro Filarmonico riunisce un nome insigne del panorama musicale russo, Vladimir Spivakov, violinista, direttore, membro del Consiglio presidenziale per la Cultura e l’Arte della Federazione Russa, ed uno emergente, il diciannovenne Ivan Bessonov, pianista e compositore, studente pluripremiato del Conservatorio Ciajkovskij di Mosca. I due artisti sono scortati dalla splendida compagine orchestrale della National Philharmonic of Russia.
Cominciamo da Bessonov, col quale si apre il programma, e dalla sua lettura meditata del celeberrimo Concerto per pianoforte n. 2 di Rachmaninov. Del tutto in controtendenza rispetto a molti suoi colleghi (e per nostra piacevole sorpresa), Bessonov dilata i tempi della partitura, il particolare quello del primo movimento (che, in effetti, è un “Moderato”!), in modo tale da restituirle nitore, dramma e una diffusa liricità che di solito sfugge alle esecuzioni più virtuosistiche. Nelle prime battute, Bessonov sgrana con cautela ogni singolo grumo di note, traendo dal suo strumento un suono tondo e cantabile; il crescendo che desta l’orchestra intera dal suo silenzio è perfettamente calibrato. La qualità di suono già descritta, che sembra essere poi quella più congeniale alla cosiddetta tecnica russa (quella dell’affondo constante sulla tastiera e che predilige tonalità sonore scure e corpose) è la cifra costante dell’interpretazione di Bessonov, che scolpisce a caratteri di fuoco ogni linea melodica, come se la salvezza codificata in quegli arabeschi russici non fosse nell’estemporaneo emozionarsi ma in un più dilazionato ricordare. In effetti, la presa granitica di Bessonov sulla tastiera non gli permette di stuzzicare troppo la fantasia, né di volare dove se ne avvertirebbe il bisogno – nell’ultimo movimento, ad esempio. In altre parole, come la fisica insegna, una minore dose di forza gioverebbe all’agilità. L’orchestra scorta Bessonov in una simbiosi di colori e d’intenti ma con discrezione, ben aderente ai suoi rubati e agguerrita nei passaggi più ritmici (di grandissimo effetto il fugato dell’ultimo tempo). Al termine dell’applauditissima esecuzione, Bessonov elargisce un generoso bis, la IV Ballata di Chopin (tanto per ricordarci da dove attinse a piene mani Rachmaninov stesso), e anche qui conferma un pianismo agguerrito, talvolta violento nei forti, e tuttavia fatta salva sempre la cantabilità melodica. In quella manciata di accordi che precedono la coda di questa mirabile Ballata, Bessonov tocca forse un momento di delicata magia che non avevamo rinvenuto nel Concerto, tenendoci appesi così a quel barlume di speranza di una dominante di fa maggiore, per poi precipitarci con sé nella tragedia delle battute finali, che sono tra le più disperate del repertorio pianistico.
Tra Vladimir Spivakov e la National Philharmonic Orchestra of Russia non si potrebbe immaginare rapporto di parentela più stretto, essendo Spivakov stesso ad averle dato i natali nel 2003 ed ricoprendone da allora i ruoli di direttore artistico e direttore principale. Ciò si indovina perfettamente dal contegno di Spivakov, che pare relazionarsi all’orchestra come il domatore alla tigre.  La bacchetta di Spivakov è di vecchia scuola, dall’asciutto perfezionismo, e pare impossibile sottrarsi al suo sguardo onnipresente; il gesto composto, scevro d’ironia, privilegia l’esattezza degli attacchi alla levigatura, tanto che spesso il suono – specialmente quello dei formidabili ottoni – pare fendere la parete del suono più che intesserla.
L’approccio di direttore e musicisti alla Quinta Sinfonia non sembra serbare ricordo alcuno, nemmeno il più remoto, dei dubbi atroci che l’autore ebbe al suo riguardo, specie dopo le critiche ricevute da Rimskij-Korsakov e da Brahms, né di quella depressione – tanto familiare a Ciajkovskij – che ne precedette e ne seguì la febbrile stesura. Questa corazzata perfettamente oliata naviga tra i quattro movimenti con una sicumera inattaccabile di tempo (incredibilmente rapido, tanto da accorciarne di cinque minuti la tradizionale durata), di idee e di suono, quasi afferrata intimamente dall’idée fixe, il tema melodico che sottintende la “totale rassegnazione al fato” e che, con enfasi maniacale, cinge i fianchi dell’intera creatura sinfonica. Il suono degli archi è di una tale densità e cupezza che a tratti l’orchestra pare fatta di sole viole e violoncelli. Il dramma dei primi due movimenti dunque è inasprito da un’interpretazione senza licenze, senza indugi, tanto da farci rimpiangere (solo un pochino) quella melassa che si serve di solito assieme alla musica di Ciajkovskij. I primi rubati si odono nella Valse, e qui sì, quasi un sorriso – ma non di complicità quanto di superiore accondiscendenza – compare sul volto di Spivakov, e per simpatia traluce dalla lieve melodia degli archi. L’irresistibile risolutezza di questa interpretazione riesce più azzeccata che mai nell’ultimo movimento e riesce in qualche modo a riscattarlo del suo trionfalismo artificiosamente ottimistico, con quel ritorno del tema principale in modo maggiore e l’inspiegabile tramutarsi del già citato Fato in Provvidenza.
L’entusiasmo che segue l’ultimo accordo della Sinfonia guadagna al pubblico tre squisiti bis: la Danza Ungherese e quella Napoletana dal Lago dei Cigni e l’Intermedio “La boda de Luis Alonso” di Geronimo Gimenez, scapestrata fantasia su temi spagnoli. In questi, il domatore ha scatenato la tigre, per così dire, e quella è balzata nelle danze con degli accelerandi da capogiro, per poi avventarsi senza pietà sulle deliziose membra delle melodie spagnole. La brama di sangue del Filarmonico è stata completamente soddisfatta quando al termine di tutto, sul palco giaceva il corpo esangue di Gimenez che, a differenza di Ciajkovskij, non possiede abbastanza polpa per reggere i morsi di una simile belva…