Genova, Teatro Carlo Felice: “Sull’essere angeli” & “Pagliacci”

Genova, Teatro Carlo Felice – Stagione d’Opera Autunno 2021
SULL’ESSERE ANGELI
Balletto su musica di Francesco Filidei
Flauto MARIO CAROLI
Ballerina CLAUDIA CATARZI
Regia, Coreografia, Scene, Costumi e Luci Virgilio Sieni
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
PAGLIACCI
Dramma in un prologo e tre atti
Libretto e musica di Ruggero Leoncavallo
Nedda SERENA GAMBERONI
Canio FABIO SARTORI
Tonio SEBASTIAN CATANA
Beppe MARCELLO ROSIELLO
Silvio MATTEO FALCIER
Un contadino LUCA ROMANO
Un altro contadino GIAMPIERO DE PAOLI
Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Andriy Yurkevych
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Maestro del Coro di Voci Bianche Gino Tanasini
Regia, Scene e Luci Cristian Taraborrelli
Costumi Angela Buscemi
Videoproiezioni Luca Attilii

Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice in collaborazione con Rai Cultura
Genova, 08 ottobre 2021
Non è senza titubanze che assistiamo alla prima di stagione del teatro Carlo Felice di Genova, per ragioni che in parte già abbiamo spiegato recensendo “Il barbiere di Siviglia” comasco: anche qui, infatti si è optato non per una scelta di opera “classica”, ma per una doppia ibridazione: la prima è quella di proporre un dittico di balletto inedito (“Sull’essere angeli” di Filidei) e opera di repertorio (“Pagliacci” di Leoncavallo); la seconda è la regia (affidata a Cristian Taraborrelli e alle proiezioni di Luca Attilii) a “realtà aumentata” dell’opera, cioè concepita con l’uso di un green screen (un fondale tutto verde) e di videocamere che riprendono live l’azione scenica e, in leggera differita, inseriscono ciò che vedono sul palco in un contesto filmico. Occorre chiarire subito che i risultati di queste scelte sono apparsi irricevibili: per creare questa realtà “aumentata”, infatti, il boccascena è per metà occupato da un telo nero su cui viene proiettato ciò che accade nella metà sottostante dinnanzi al telo verde. Un gran pasticcio, teatralmente parlando, che in primo luogo esautora i cantanti dal recitare – esempio lampante è Serena Gamberoni che sul “Qual fiamma avea nel guardo” altro non fa che camminare avanti e indietro o direttamente sedersi, cantare faccia al pubblico e darsi una rinfrescata: e perché no, quando tanto gli occhi del pubblico sono tutti fissi sul filmato sopra di lei? In secondo luogo, l’effetto filmico che si ottiene con questa tecnica non è certo una novità, ed è inappropriato anche per le inquadrature e i fondali video scelti, che vorrebbero essere simbolici e quindi nel contesto iperrealistico proprio non c’entrano. Il pubblico in sala è disorientato, e arriva a non capire che il fondale verde è organico alla tecnica video – qualcuno chiosa ingenuamente “Chissà perché questa scelta della scena tutta verde…” In compenso, il pubblico che da casa guarderà questo spettacolo il 5 dicembre p.v. su Rai5 (perché è la coproduzione Rai che ha portato alla creazione di questo ibrido) ovviamente non verrà “disturbato” con l’azione scenica, ma godrà unicamente del materiale proiettato, fortunato lui. Quindi, a noi poveri avventori dei teatri non rimane che sottostare alle esigenze del pubblico televisivo. Per di più, nemmeno sotto l’aspetto canoro possiamo dire di aver portato a casa la serata: se la scosciata e già citata Serena Gamberoni offre un’interpretazione di Nedda certamente corretta, ma senza particolare mordente, più a suo agio come Colombina della commedia che nel resto del dramma (complici anche i costumi di Angela Buscemi, che nella pantomima richiamano l’avanspettacolo fin-de-siècle, mentre nelle prime scene non sono connotati  felicemente), spiace constatare come il Canio di Fabio Sartori sia sottotono, con una resa vocale alquanto alterna, in particolare nel registro acuto. A ciò si aggiunge una interpretazione teatrale che, nonostante gli sforzi dell’artista, risulta poco coinvolgente. Appare inizialmente “freddino” anche Sebastian Catana (Tonio), che ci regala un “Prologo” perfettibile, dalla linea di canto poco omogenea, indispensabile per una parte tanto vicina all’andamento prosastico. Migliora nel corso dell’opera, in particolare nella drammatica scena con Nedda, ove l’espressività è vibrante, senza eccessi. Prova positiva per  Marcello Rosiello un Silvio dal fraseggio ben curato e un notevole  coinvolgimento scenico; convince pienamente, sotto tutti i punti di vista, anche il Beppe di Matteo Falcier. Bellissima ma comunque ancora straniante la performance del Coro (compreso quello di voci Bianche), posizionati in platea, come degli spettatori. Le delusioni di questi infelici “Pagliacci”, tuttavia, erano già state ampiamente preconizzate dal precedente balletto “Sull’essere angeli” di Francesco Filidei, operazione troppo intellettuale e contemporaneamente già passé: chi conosce Francesca Woodman, ispiratrice dell’opera? Pochi, troppo pochi per poter pensare di creare un balletto su di lei da proporre in prima di stagione (per quanto sia una stagione “anomala”): una simile iniziativa sarebbe stata interessante in un teatro off-off di San Francisco, di Londra, probabilmente negli anni Ottanta. Oggi, invece, questo tipo di musica aleatoria, peraltro con un flauto come strumento solista (legno non dei più eufonici quando si arriva all’alea), non coinvolge, poiché oggi siamo disinteressati al mistero che essa porta con sé – oltre al fatto che la partitura di Filidei è troppo scarna e atonale.

Note positive di questo “Sull’essere angeli” sono, comunque, la messa in scena di Virgilio Sieni, soprattutto dal punto di vista coreografico, e l’interpretazione di Mario Caroli al flauto, equilibrata e partecipe, per quanto il materiale musicale a disposizione lo consenta; pure la performance della danzatrice Claudia Catarzi è splendida, il gesto è icastico e pulito, le linee definite, il corpo è pietra e acqua contemporaneamente, e ben incarna quello che vorrebbe essere una trascendenza verso il metafisico, la farfalla che abbandona l’involucro, ma non è abbastanza per ammaliare la platea, per evitare la noia aleggiante. Il pubblico non andrebbe usato come cavia per esperimenti post-contemporanei, ma accompagnato con misura ad avvicinarsi all’attuale panorama compositivo – ci auguriamoci che la numerosa presenza di ragazzi in sala sia stata adeguatamente preparata a questo lavoro di Filidei. Infine, a tenere le fila delle  due parti della serata, la rigorosa direzione di Andriy Yukevych. In “Pagliacci” ha cercato di imprimere colori e ritmi più marcatamente drammatici, senza però trovare una reale corrispondenza dai cantanti, che tendono a mordere il freno, creando qualche scollamento  tra palco e buca. Nel balletto, invece, il gesto di Yurkevych si fa estremamente discreto, com’è naturale che avvenga con questo genere di composizioni. Forse, confidando nella profonda musicalità e nel rigore del Maestro ucraino, in questo caso una maggiore tensione interpretativa avrebbe dato più spessore alla partitura. Foto Gugliandolo & Orselli