“Julius Caesar” di Battistelli: una prima assoluta inaugura la stagione all’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2021/2022
“JULIUS CAESAR”
Tragedia in musica su l
ibretto di Ian Burton da William Shakespeare.
Musica di Giorgio Battistelli
Julius Caesar CLIVE BAYLEY
Brutus ELLIOT MADORE
Cassius JULIAN HUBBARD
Antony DOMINIC SEDGWICK
Casca  MICHEL J.SCOTT
Lucius  HUGO HYMAS
Calpurnia RUXANDRA DONOSE
Octavius ALEXANDER SPRAGUE
Marullus/Cinna CHRISTOPHER LEMMINGS
Indovino/ I Plebeo CHRISTOPHER GILLET
Flavius/Metellus/ II Plebeo ALLEN BOXER
Decius/ III Plebeo SCOTT WILDE
Servo di Cesare/Titinius/ IV Plebeo ALESSIO VERNA
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Daniele Gatti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Robert Carsen
Scene Radu Boruzescu
Costumi Luis F.Carvalho
Luci Robert Carsen, Peter
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Opera commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma
Prima rappresentazione assoluta
Roma, 20 novembre 2021
Per la serata inaugurale della stagione il Teatro dell’Opera di Roma ha scelto di rappresentare una prima assoluta appositamente  commissionata dal teatro stesso. Si tratta infatti del Julius Caesar di Giorgio Battistelli su libretto di Ian Burton tratto in gran parte dal Giulio Cesare di Shakespeare. La direzione della nuova partitura è stata affidata al maestro Daniele Gatti che con questo spettacolo termina come previsto la sua collaborazione con il teatro. La regia dello spettacolo è stata di Robert Carsen il quale ha curato anche le luci. Il libretto segue il dramma di Shakespeare nella struttura e nel testo raccontando nel primo atto ambientato a Roma la vicenda dell’assassinio di Cesare dedotta dalle “Vite Parallele” di Plutarco e nel secondo quanto seguì fino alla battaglia di Filippi con il fantasma del protagonista che assiste nel suicidio i congiurati sconfitti, in una sorta di vendetta nella quale si mescolano sentimenti personali, affetti, l’esecrazione per l’uccisione di un uomo grande e giusto che aveva rifiutato la corona regale offertagli più volte chissà poi se con intento benevolo e la cui morte, nei fatti inutile per difendere la libertà, segnerà dopo un lungo periodo di sanguinose guerre civili la fine della repubblica a Roma. Tema fondamentale della vicenda narrata, espresso dal personaggio di Bruto, è il conflitto fra sentimenti opposti, l’ambiguità e l’incertezza che impediscono una progettualità e che alla fine congelano e vanificano l’azione concepita che viene messa in atto a esclusivo vantaggio di altri, estranei alla dinamica i quali furbescamente e con assai minor travaglio interiore ne trarranno beneficio. Un percorso in sostanza iniziato con l’assassinio di Cesare ma poi purtroppo ripetutosi più volte nel corso della storia e attuale nell’Inghilterra elisabettiana tanto come nei sanguinari totalitarismi del secolo appena trascorso, passando per la tempesta napoleonica.  La plebe impersonata dal coro assiste a quanto accade anch’essa con sentimenti mutevoli e ambigui ed è posta dal compositore su un altro piano sonoro, apparentemente più facilmente decodificabile ma timbricamente ed emotivamente distante e distinto da quello dei protagonisti.
Il linguaggio compositivo scelto del maestro Battistelli si rivela denso, serrato e cupo come conviene alla vicenda e molto personale ed originale, difficilmente inquadrabile e definibile. Alterna infatti momenti di scrittura che a tratti può apparire britteniana a momenti di onomatopea, dissonanze, consonanze, brevi inserti melodici, declamato fino alle radici italiane dell’opera con una sorta di recitativi sostenuti dall’orchestra anziché dal clavicembalo come un tempo o brevissimi inserti che qui e là rievocano se non proprio i temi per la loro brevità almeno le atmosfere verdiane di Otello e don Carlos. Unica pecca, ma impressione assolutamente personale, una sorta di monotonia nella ammirevole e dotta complessità di scrittura dal principio alla fine dell’opera sia pure carica di forza espressiva, una “tinta” forse troppo uniforme come ebbe a scrivere a posteriori Verdi a proposito dei suoi Due Foscari. Difficile è apparsa viceversa la condivisione della scelta della lingua inglese per una prima mondiale di un autore italiano che scrive in un linguaggio universale ma dalle evidenti radici nazionali e tenutasi a Roma. E poi crediamo che l’italiano sia la lingua universale dell’opera e l’inglese una lingua comoda e comune appartenente ad un mondo oggi economicamente dominante. Se Shakespeare, che parla come tutti i grandi un linguaggio universale che vola ben più in alto delle attuali riduzioni alle momentanee e nobilissime contingenze del femminicidio o del razzismo, scrisse all’epoca in inglese fu solo per un fatto semplicemente ovvio. Era inglese. Come i londinesi di allora non sarebbero probabilmente mai accorsi in massa al Globe per assistere a spettacoli in italiano o in latino non si comprende perché proprio noi si debba esser così proni ad accettare l’inglese.
Il regista Robert Carsen imposta la sua visione del testo in maniera contemporanea non solo nelle forme ma anche nella recitazione. I fatti si svolgono in un senato che riproduce l’odierno Senato della Repubblica Italiana e la salma di Cesare viene portata in aula avvolta in un tricolore dai colori non brillanti ma lievemente bruniti dal tempo, come se fossero usciti da un quadro risorgimentale. Splendido infine è apparso il gioco delle luci nel sottolineare atmosfere e passaggi emotivi come pure i costumi, abiti di oggi privi però di ogni retorica e richiamo ideologico.
Il maestro Daniele Gatti con ammirevole bravura senza sbavature o imprecisioni, amalgama voci, strumenti, il reparto delle percussioni collocato in due palchi di proscenio e coro spesso fuori scena trovando un ritmo di narrazione efficace e valorizzando la ricchezza timbrica del testo. Sulla stessa linea espressiva e livello di eccellenza è stata la prova del coro diretto dal maestro Roberto Gabbiani impegnato in una scrittura che alternava sia in scena che fuori una rigorosa scansione ritmica a sonorità sospese o sussurrate. Tutti ugualmente su un livello molto alto i numerosi interpreti vocali dello spettacolo per chiarezza della dizione e intensità della recitazione a dispetto di posizioni imposte dall’azione scenica non sempre favorevoli all’emissione vocale o comode per seguire il direttore. Oltre a tre personaggi principali rispettivamente Julius Caesar Clive Bayley, Brutus Elliot Madore e Cassius Julian Hubbard vogliamo ricordare Ruxandra Donose Calpurnia, unico personaggio femminile e Alessio Verna unico interprete italiano ma assai ben camuffato da anglosassone. Di particolare valore il programma di sala soprattutto per la ricchezza iconografica e i numerosi spunti di lettura e studio che offre. Alla fine lunghi e meritati applausi per tutti per la proposta di uno spettacolo curatissimo, complesso nella realizzazione e ricco di emozioni e di successivi spunti di riflessione personale ma senza alcun intento didascalico o educativo. Foto Fabrizio Sansoni