Pavia, Teatro G. Fraschini: “Iphigénie en Tauride”

Pavia, Teatro G. Fraschini, stagione lirica 2021-22
“IPHIGÉNIE EN TAURIDE”
Tragédie lyrique in quattro atti su libretto di  Nicolas-François Guillard dall’omonima tragedia di Euripide
Musica Christoph Willibald Gluck
Iphigénie ANNA CATERINA ANTONACCI
Oreste BRUNO TADDIA
Pylade MERT SÜNGÜ
Thoas MICHELE PATTI
Diane / una donna greca MARTA LEUNG
Prima sacerdotessa MIRIAM GORGOGLIONE
Seconda sacerdotessa CHIARA CIURLIA
Uno scita ALESSANDRO NUCCIO
Ministro del Tempio ERMES NIZZARDO
Attrici VIOLA CANCINI, CHIARA CHIARUZZI, FEDERICA D’AMORE, SILVIA DI GIOVANNA, MARTA FRANCESCHELLI, SILVIA GIUFFRÈ, FRANCESCA LAVIOSA, SABRINA VICARI, MARTA ZOLLET
Orchestra I Pomeriggi Musicali – Coro OperaLombardia
Direttore Diego Fasolis
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Coreografia e maestro d’armi Sandro Campagna
Pavia,  31 ottobre 2021
Apertura prevista per la scorsa stagione del circuito lombardo la nuova produzione di “Iphigénie en Tauride” con la regia di Emma Dante arriva in scena con un anno di ritardo a seguito della chiusura dei teatri dovuta alla situazione sanitaria. L’attesa è stata ripagata da una produzione che non avrebbe sfigurato su palcoscenici ben più prestigiosi.
Diego Fasolis subentrato in corso d’opera alla guida musicale del progetto è stata una delle carte vincenti della produzione. Il direttore ticinese è tra i migliori interpreti di questo repertorio e ha dato un contributo fondamentale alla riuscita dello spettacolo. Pur con il poco tempo a disposizione Fasolis ha svolto un accurato lavoro su tutte le componenti riuscendo a trasmettere a tutti una visione unitaria e coerente. Fasolis come sempre opta per uno spiccato ritmo teatrale con una netta e riuscita contrapposizione tra i momenti più lirici e spirituali – Gluck in quest’opera ci regala con “Chaste fille de Latone” forse la preghiera più intensa ed emozionante della storia della musica – e l’impeto barbarico degli sciti con le percussioni e gli ottoni di sapore turchesco.
Fasolis riesce a cogliere il giusto punto di racconto tra la brillantezza d’insieme e la capacità de far cantare l’orchestra al meglio e di sostenere sempre le voci nel modo migliore mostrando una conoscenza preziosa del canto e delle sue ragioni.  L’orchestra e soprattutto il coro – particolarmente impegnato come sempre nelle opere di Gluck – hanno reagito al meglio agli stimoli direttoriali fornendo una prestazione più che convincente.
Molto buona la compagnia di canto. A voler esser pignoli i lunghi anni di carriera cominciano a pesare sul materiale vocale di Anna Caterina Antonacci. La parte di Iphigénie comincia subito con lo scoglio di “Grands Dieux! Soyez-nous secourables” che la cantante si trova ad affrontare “a freddo” con tutte le difficoltà del caso. L’Antonacci palesa al riguardo qualche durezza. Con il prosieguo della recita le tensioni si allentano, anche se la voce appare sempre un po’ vuota nei gravi e non troppo svettante in acuto. Nell’Antonacci quello che fa la differenza è però la statura dell’artista che compensa ampiamente i limiti della cantante. In un ruolo come questo ha facile gioco a mostrare un suo talento da autentica diva tragica unendo l’assoluta personalità scenica e una capacità quasi unica di scavare la parola, di sfruttarne ogni sfumatura espressiva. Perfetta padrona sia della prosodia francese sia dello stile neoclassico in cui forse si trova a suo agio come nessun’altra oggi raggiunge vertici di autentica commozione in cui la più nobile retorica del classicismo francese si fonde con un’umanità palpitante. L’Antonaccio può forse non convincere totalmente sul piano vocale, ma nella visione complessiva dello spettacolo  è sempre capace di emozionare.
Bruno Taddia “profeta in patria” essendo pavese è un Oreste di nobile presenza vocale. Voce nitida e squillante, notevole senso della frase e una lunga frequentazione con questo repertorio (ha affrontato l’opera ad esempio a Ginevra nel 2015 sempre con la  Antonacci) che unite a una notevole presenza scenica gli permettono di dare una convincente immagine del tormentato principe argivo. Bellissima voce e linea di canto nobile e musicale per il Pylade di Mert Süngü giovane tenore turco dalla vocalità ideale per questo repertorio. Timbro chiaro, luminoso ma non esangue, grande facilità in acuto, musicalità impeccabile le caratteristiche di un cantante destinato – a quanto si può immaginare – a un luminoso futuro.
Michele Patti è Thoas giustamente truce ma anche dalla vocalità squillante e molto sonora. Marta Leung è una Diane (cui affianca il ruolo della donna greca) di bella musicalità e dolce autorevolezza. Bella figura in scena era perfetta nei panni della Dea e nel suo peplo bianco ricordava quasi il celebre dipinto di Seignac. Le parti di fianco affidate ai solisti del Coro OperaLombardia svolgono onorevolmente il proprio compito con una preferenza da accordare alle voci femminili.Grande attesa circondava ovviamente la regia di Emma Dante alle prese con un’opera che per tematiche: la forte componente mediterranea, il femminino, il sacro; appariva particolarmente congeniale alla regista palermitana.
Rispetto ad altri allestimenti più eccessivi qui la Dante opta per un taglio più contenuto. Le scene di Carmine Maringola sono di sobria eleganza restituendoci una classicità stilizzata e quasi astratta di sapore quasi “pizziano”. Pochi elementi scenici: teorie di colonne ioniche, altari; alcuni fortemente evocativi come la citazione della loggetta delle cariatidi dell’Eretteo in forma di tableau vivant. In altri momenti prevale un taglio più simbolico come le altalene che nel III atto rievocano i tempi felici della fanciullezza ormai irrimediabilmente trascorsi ma al contempo possono evocare – non so quanto scientemente ma quando si ha a che fare con gli Dei il caso si arricchisce di impensabili possibilità – all’importanza simbolica delle altalene in occasione della festa attica degli Aióra in onore di Artemide Apanchoméne. Elemento centrale dell’ultima scena lo scheletro di un cervo richiama ai fatti di Aulide come a chiudere il cerchio della vicenda.
I costumi di Vannessa Sannino alternano una stilizzata grecità per i personaggi ellenici a tratti più fantasiosi per i barbari. Le sacerdotesse vestono di nero con corpetti che sembrano quasi designare uno scheletro in relazione ai culti sanguinari cui sono costrette. Thoas è vestito alla greca, gli altri sciti hanno abiti di sapore orientali con lunghe tuniche e copricapi di taglio quasi giapponese.
La regia della Dante appare più rigorosa e meno forzata rispetto ad altre volte. Non riscontriamo – fortunatamente – l’eccessivo uso di doppi cui ha volte la regista tende a indulgere e anche la gestualità è più naturale, meno forzata di altre occasioni (resta quel tipo di gestualità per le Furie ma in quel caso è utile a marcarne l’alterità). La vicenda e seguita in modo rigoroso e senza stravolgimenti e i rapporti tra i personaggi sono ben costruiti. Le coreografie di Sandro Campagna – affidate come spesso negli spettacoli della Dante a un gruppo di attrici e figuranti – e i giochi di luce di Cristian Zucaro introducono una nota di dinamismo alla vicenda con alcuni momenti particolarmente riusciti come la tempesta in apertura dell’opera.
Buona presenza di pubblico per un titolo non propriamente nazional-popolare. Dopo il debutto pavese lo spettacolo sarà ripreso nel corso dei mesi di novembre/dicembre nei vari teatri che aderiscono al circuito OperaLombardia. Foto Alessia Santambrogio