Vicenza, Teatro Olimpico: “L’Incoronazione di Poppea”

Vicenza, Teatro Olimpico – Vicenza Opera Festival 2021
“L’INCORONAZIONE DI POPPEA”
Dramma per musica su libretto di Francesco Busenello.
Musica di Claudio Monteverdi
Poppea JEANINE DE BIQUE
Nerone VALER SABADUS
Ottone REGINALD MOBLEY
Drusilla NÚRIA RIAL
Ottavia/ La Virtù LUCIANA MANCINI
Arnalta/ La Nutrice STUART PATTERSON
Seneca GIANLUCA BURATTO
Un soldato/ Lucano/ Un familiare/ Un console THOMAS WALKER
Un soldato/ Un liberto/ Un familiare/ Un console FRANCISCO FERNÁNDEZ-RUEDA
Un familiare/ Un littore/ Un tribuno PETER HARVEY
La Fortuna/ Una damigella/ Venere SILVIA FRIGATO
Amore/ Un valletto JAKOB GEPPERT cantore della Chorakademie Dortmund
Budapest Festival Orchestra
Direttore Iván Fischer
Regia Iván Fischer e Marco Gandini
Scenografia Andrea Tocchio
Costumi Anna Biagiotti
Light Design Tamás Bányai
Produzione dell’Iván Fischer Opera Company in coproduzione con Müpa Budapest, Vicenza Opera Festival e Grand Théâtre de Genève.
Vicenza, 30 ottobre 2021
La vulcanica personalità musicale ed intellettuale di Iván Fischer (per alcuni ipertrofica) regge l’intero Vicenza Opera Festival – che, a ben vedere, si tratta di un concerto e un’opera, quindi in fin dei conti di un festival ridotto all’osso, ma glissons. Fischer è direttore artistico, produttore, unica bacchetta e pure regista, imprimendo al festival un carattere molto personale e contemporaneamente internazionale: non stupiscano, dunque, i soli due rappresentanti del nostro Paese tra il cast (Silvia Frigato e Gianluca Buratto), ma anche che la brigata scenica (regia, scene, costumi) venga sostanzialmente ignorata dal materiale di sala. La scelta dei solisti è caduta sulla crème de la crème, e infatti il livello complessivo è altissimo. Non convincono fino in fondo solamente i due controtenori, il romeno Valer Sabadus e l’americano Reginald Mobley. Sabadus, premio Händel 2020, ha senz’altro un’ampia estensione che supporta con proiezione solida, il colore vocale non è tuttavia particolarmente accattivante e, soprattutto come accade per questo tipo di vocalità, seppur con dei momenti apprezzabili (il “Pur ti miro”, ad esempio), la varietà espressiva è scarsa; infine anche la mimica facciale costituisce un problema: canta tutto il tempo ad occhi e bocca spalancati, quasi volesse rendere Nerone un pazzo. Reginald Mobley, canta con morbidezza e affronta il personaggio di Ottone con grande sensibilità di fraseggio – purtroppo, però, il volume vocale risulta esiguo: nel duetto con Drusilla, ad esempio, è difficilmente udibile, anche perché nella parte della fanciulla romana Núria Rial fa sfoggio di luminosità timbrica e ottima padronanza della linea di canto. Il contrasto tra le due interpretazioni è evidente. Al contrario Sabadus, accanto a Jeanine de Bique (Poppea), sembra trovare maggiore equilibrio e grazia, e la cosa non ci stupisce: il  giovane e fascinoso soprano trinitario è senza dubbio una delle vedette della serata, e ammalia per la voce al contempo ricca e cristallina, la vocalità omogenea, la naturale personalità scenica. Le contende la corona della più applaudita Luciana Mancini, una Ottavia intensissima e di bel temperamento: “Addio Roma” è senz’altro il punto più alto della sua performance, ma già come Virtù nel Prologo mostra il colore caldo del suo mezzo espressivo, la ricchezza di armonici, la padronanza della tessitura. Ineccepibile il Seneca  di Gianluca Buratto: anche qui ammiriamo la ricchezza timbrica e l’intelligenza musicale con la quale ha affrontato il ruolo. Si conquista giustamente la simpatia del pubblico Stuart Patterson nei due ruoli en travesti delle nutrici (l’anonima di Ottavia, e Arnalta, nutrice di Poppea), ma non è solo la sua rutilante vis comica ad accattivarsi l’Olimpico: la sua interpretazione della ninna nanna “Adagiati, Poppea” è delicata e struggente, e si guadagna il primo applauso a scena aperta della serata. Allo stesso modo il piccolo cantore di Dortmund Jakob Geppert ci incanta con la disinvoltura dei suoi dodici anni, sia nel canto (chiaro, intonato e ben scandito) che nell’impegnativo doppio ruolo scenico di Amore e del Valletto. Ottima anche la prova di  Thomas Walker, Francisco Fernández-Rueda e Peter Harvey, che nella scena della morte di Nerone, hanno creato un’atmosfera elegiaca e rarefatta. Emerge positivamente anche la nostra Silvia Frigato, che sa prodursi in interpretazioni adeguate e ben curate sul piano espressivo. Qualche perplessità fa sorgere la scelta dei diversi tagli operati sulla partitura da Fischer, che prevedono la scomparsa di interi ruoli – Mercurio e Minerva, ad esempio – e di molte pagine di Ottone, Drusilla, Amore, dello stesso Nerone (si parla di circa quaranta minuti in meno rispetto all’originale): perché scomodare tutti i più tradizionali strumenti barocchi, sostenere il basso continuo con organo e clavicembalo e violoncello, per poi tagliare arbitrariamente la partitura originale? Qualche risposta, poco lusinghiera per il cast, ci viene alla mente, ma avremmo magari voluto leggere sul materiale di sala le ragioni di questo vero e proprio riassetto dell’opera. In ogni caso la Budapest Festival Orchestra contribuisce decisamente al successo della serata, sia per il nitore e la varietà dei suoni (splendidi alcuni recitativi su chitarra, ad esempio), sia per le musiciste degli archi, che si sono prestate a fungere anche da vere figuranti, cambiando posizione spesso e sul finale marciando come soldatesse. La regia – che lo stesso Fischer firma insieme a Marco Gandini – prevede che musici e cantanti si muovano in un unico spazio davanti alla celeberrima e magnifica scena dello Scamozzi; Andrea Tocchio ha optato per uno spazio moderno, lucido, bianco e fucsia dai dettagli dorati, così come moderna è la resa costumistica curata da Anna Biagiotti – Poppea in pagliaccetto sexy e in microabito di paillette argento, Lucano trasformato in un hipster hinduurban gender fluid, Seneca in una specie di naturalista d’antan, le guardie in buttafuori da privé. Non tutto è chiaro: ad esempio perché Nerone in compagnia di Lucano indossa delle décolleté di vernice nera? E in che senso dobbiamo interpretare la Virtù, la Fortuna e pure Venere trasformate in cameriere pornosoft su tacchi vertiginosi? Perché il valletto e la damigella si comportano come coniglietti, con tanto di orecchie posticce? Rimarremo con questi dubbi, che tuttavia non possono oscurare lo splendido successo della serata, coronato da applausi scroscianti e molte chiamate. Foto Colorfoto-Vicenza / Virginio Levrio