Marilyn Horne (Bradford, Pennsylvania, 16 gennaio 1934)
Semplicissimo: Marilyn Horne. Se si parla del canto in se stesso, di affrontare faccia a faccia tutte le richieste del lessico del bel canto, allora lei regna incontrastata. Solo Joan Sutherland, può uguagliarla in questo campo. Quando si tratta di cantare e cantare con tutti gli annessi di agilità, trilli, gamma, colore, brillantezza, legato, articolazione, dinamica, Marilyn Horne è la padrona indiscussa e, per quanto ne sappiamo, un vero ritorno ai tempi in cui dominavano Rossini e le primedonne. Pauline Viardot e Marietta Alboni. La Horne è affascinata da queste grandi cantanti del XIX secolo.
Sente un’affinità con la prima, che cominciò come soprano e, più tardi ispirò Meyerbeer a scrivere Le Prophète, e con l’altra, che fu la allieva favorita di Rossini e la primadonna di molte delle sue eroine. È affascinata da queste signore, del loro repertorio, del loro stile, da come emettevano il suono. Ha letto ed ha imparato ed ha lavorato a lungo e duramente per molti anni, credendo, fin da quando era bambina, di avere una sola cosa: la sua voce; che la gente poteva toglierle qualsiasi cosa meno la sua voce, che è sua e che lei deve curare educare.
Ama parlare del canto, analizzando, scambiando punti di vista, esprimendo meraviglie nel sentire la sua voce dai dischi. Cerca di descriverla: “È questa particolare oscurità della mia voce, con il suo luccichio il suo, brillare. e poi ce ne sta quella spinta drammatica, una cosa ritmica che dà al mio canto la sua forza, la sua energia. È stato veramente difficile tirar fuori ciò e mi ci è voluto molto tempo, soprattutto se si considera che ho cantato per tutta la vita, fin da quando ero ragazzina”. Ed ama cantare. Ci si accorge di ciò quando sale sul palcoscenico per un concerto a un’opera. Lei comunica, o vuole comunicare, una passione giovanile. Cantare è ciò che ha fatto sempre e, a dispetto di tutti i colpi e le frecce che le sono venute addosso, gli errori, le scelte sbagliate, le preoccupazioni, la Horne ama cantare. Ha ancora qualcosa della bambina precoce, della secchiona del liceo, che è vivace, brillante, aperta, vulnerabile. La Horne cominciò come soprano. “A 18 anni la mia voce era come quella di un soprano lirico, quando nel 1956 cantai Mimì e poi affrontai Minnie ne La fanciulla del West e Maria nel Wozzeck.” Ma il matrimonio con il direttore d’orchestra Henry Lewis cambiò tutto questo. Lewis comincio ad esaminarla di nuovo, per poi giungere alla conclusione che era un mezzosoprano e destinata al belcanto. Lei osserva: “Un ritorno ad un’altra epoca, come soprano con le qualità di un mezzosoprano, o un mezzosoprano con le qualità del soprano “. I misteri del canto rimangono con lei, ma lei sa dov’è riposta la sua forza assoluta: Bellini, Rossini, Haendel, Vivaldi, Meyerbeer. Le sue sortite nell’area di Verdi sono state salutate con un’accoglienza a volte controversa. “Trovo che, sapendo ciò che so ora su tutte le cose che ho cantato, posso prendere una parte come Tancredi, Isabella, Orlando, salire sul palcoscenico e giocare con essa. Posso fare qualsiasi cosa voglio e questo deve dirmi qualcosa. Quelle parti vanno assolutamente bene per me”. l
La Horne è arrivata a capire che tutte le parte che erano la specialità della Alboni, parti scritte per lei o che lei ha cantato, sembrano andarle a pennello: Arsace (Semiramide), Tancredi e Malcolm. (La donna del lago). “Tutta la roba di Rossini, e so che lei era la cantante favorita di Rossini è che egli educò la sua voce. Rimase la sua Favorita e quando andava a trovarlo lui le chiedeva di cantare. Sappiamo anche che era diventata così grassa che doveva cantare stando seduta,”e scoppia a ridere. Rossini soprannominò la Alboni ” un elefante che ha inghiottito un usignolo “. Questo è l’unico paragone che Marilyn Horne preferirebbe evitare.
I critici lodarono ampiamente l’Alboni per la sua gamma di tre ottave, per il tono profondo, pieno, morbido, per la ricchezza di volume da organo, per la somiglianza alla vellutata voce tenorile dell’uomo, per la dizione chiara e fluida, per la precisione e la purezza delle intonazione e la velocità di esecuzione. Tutte lodi che si adattano alla sua sorprendente controparte moderna. la Horne è interessata alle teorie di Manuel Garcia ed agli esercizi di virtuosismo. Un tempo ha cercato di cantare come Renata Tebaldi ed Ebe Stignani. Rosa Ponselle divenne la sua ispiratrice per mezzo dei suoi dischi, per la sua linea di canto incredibile, il timbro, le sfumature, la tecnica della coloratura e la purezza del tono. Ora Marilyn Horne ha creato e vive nella sua Età dell’Oro. (Estratto da “Gente dell’Opera” di Robert M.Jacobson, New York, 1982)