Milano, Palazzo Reale: “Realismo Magico. Uno stile italiano”

Milano, Palazzo Reale
REALISMO MAGICO. UNO STILE ITALIANO
Dal 18 settembre 2021 al 30 gennaio 2022
Orari: dal martedì alla domenica: 10 – 19.30 / giovedì chiusura alle 22.30
Biglietti: Intero 14 € / Ridotto 12€ (Audioguida inclusa)
Questa mostra arriva dopo circa trent’anni da un’altra altrettanto importante e rappresenta l’esito di ulteriori studi che vogliono ridare il giusto spazio al cosiddetto Realismo Magico. Curata nei minimi dettagli da Gabriella Belli e Valerio Terraioli, in mostra è presente una selezione di opere che illustra come per alcuni artisti il Realismo Magico rappresentò una fase (Carlo Carrà, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Carlo Levi, … e persino Mario Sironi), mentre per altri caratterizzò tutta la loro produzione (sicuramente Antonio Donghi e Cagnaccio di San Pietro, i più importanti; ma anche Felice Casorati, per molti aspetti). Tutto iniziò nel 1918 con la rivista Valori Plastici: dopo il fervore delle avanguardie – che auspicavano a un’arte sempre nuova e che azzerasse ogni volta quanto fosse venuto prima – si riscattò l’importanza dell’arte del passato quale fonte di ispirazione. Si deve a Bertonati il primo vero risarcimento di quello che non fu un movimento organizzato, il Realismo Magico, dopo decenni di oblio. Bertonati organizzò personali e retrospettive di artisti tra le due guerre, e operò un confronto tra Realismo Magico e Nuova Oggettività tedesca a cui dedicò molti sforzi. Questo collegamento ha portato in questa sede a isolare il Realismo Magico rispetto al movimento di Novecento sostenuto da Margherita Sarfatti, con cui è sempre stato un po’ confuso: questo vuol dire anche che quella del Realismo Magico rappresenta una pittura alternativa a quella allineata all’ideologia del Regime, com’era per Novecento. Come abbiamo già detto, la mostra è il culmine di ragionamenti critici, i quali vogliono rispondere a una domanda: esiste una pittura realistico-magica fuori dai canoni di Novecento? Ma anche a un secondo quesito: quando si è stabilita l’autonomia del Realismo Magico da Novecento, che rapporto c’è con la Nuova Oggettività? Sulla scorta dei primi ragionamenti di Bertonati, è presente anche un piccolo nucleo di opere della Nuova Oggettività. Un esempio chiaro, e ben analizzato anche dall’audioguida, è quello tra L’imprenditore di Davringhausen e Umberto Notari nello studio di Piazza Cavour a Milano di Achille Funi: il Realismo magico conserva sempre una solidità plastica e una spazialità tutta italiana, legata indissolubilmente al rivivere dell’eredità artistica dei Primitivi e del Quattrocento. Nel saggio critico si fa anche chiarezza sulle origini del termine Realismo Magico e su cosa significhi: Franz Roh, allievo del celebre Wofflin, autore dei Concetti fondamentali, ha attinto in prima battuta da Valori plastici e dalle dichiarazioni della Metafisica. Infatti, già De Chirico, tra il 1912 e il 1915, aveva definito la propria pittura “pittura metafisica e realismo magico”. Roh usò dapprima il termine di “verismo magico” per un quadro di Davringhausen nel maggio del 1923, e poi approda a “realismo magico” nel 1923, estendendo il concetto alla sensibilità del periodo. Il suo intento non era quindi di codificare una corrente, ma di definire un’atmosfera comune a molte opere coeve. Il termine verrà poi oscurato da Nuova Oggettività, che caratterizzò l’arte della Repubblica di Weimer. Ed è da questo punto di partenza che Bertonati accostò il Realismo Magico italiano alla Nuova Oggettività tedesca. Nel frattempo, in Italia, in maniera autonoma, anche Bontempelli arriva allo stesso temine. Nel 1927, a tale proposito, riguardo all’arte del Quattrocento, afferma che “meglio gli riusciva isolarla [la Natura] avviluppandola d’un pensiero di sopranatura”; e “questo è puro ‘novecentismo’, che rifiuta così la realtà per la realtà come la fantasia per la fantasia”. È così che si spiegano le prime opere in mostra: Le figlie di Loth di Carrà, che riprende composizioni giottesche; oppure il Ritratto di Silvana Cenni di Casorati, che trae linfa vitale dall’esempio della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca. È tale magia del reale vista nell’arte del Quattrocento che suggestionò questi artisti, all’epoca scambiati come meri ripropositori di forme già scoperte. Oltre che di tecniche. Basta dare un occhio a quelle utilizzate nelle opere in mostra e, soprattutto nelle prime: abbiamo molte tempere, la materia utilizzata nel Quattrocento (e di cui anche De Chirico decantò le lodi nel Pro tempera oratio). Però per “magia” è necessario un chiarimento. Sempre seguendo Bontempelli: “non è soltanto stregoneria: qualunque incanto è magia; il fondo dell’arte non è altro che incanto”. Il dato reale è alla base dell’opera dello spirito, secondo questa concezione, poiché la vita più quotidiana è vista “come un avventuroso miracolo”. Possiamo, dopo questa mostra, spiegare come il Realismo Magico italiano abbia caratteristiche che la distinguano dalla Nuova Oggettività – la spazialità, come già detto – così come da Novecento – il quotidiano è sì il dato di partenza, e il ruolo dell’arte del passato è anche per loro importante, ma tutto ciò non è vissuto in quella maniera… magica. In più, il Realismo Magico è il risultato di una riflessione teorica sulla natura geometrica delle forme. E anche questo ha radici nel Quattrocento: ad esempio, sempre Pietro della Francesca fu matematico e autore di trattati in quest’ambito. Non stupisce che la Silvana Cenni di Casorati si ispiri al suo stile, le cui creazioni furono definite da Berenson “ineloquenti, mute, senza urgenza di comunicare alcunché”, e quindi ammantate di semplicità e mistero, eppure narrative (basti pensare ad uno dei sui capolavori: le Storie della vera croce a Arezzo). Eppure, i confini con altri artisti sembrano labili. Ad esempio: con la metafisica di De Chirico, o il Sironi dei paesaggi urbani (e con Novecento in generale). Ma la caratteristica precipua dei realisti magici non è solo il vivere magicamente il momento, ma tradurre questa magia in perfetta spazialità: i quadri di Cagnaccio di San Pietro sono perfettamente mimetici, iperrealisti, ed è questo linguaggio che rende magico il dato reale. È il realismo ad essere magico in queste opere, e non il loro significato o la loro genesi. Nel Dopo l’orgia lo straniamento sta proprio nel perfetto realismo, nella materia pittorica limpidissima, nella composizione degli elementi. Ma non soffermiamoci oltre. L’illuminazione molto curata, gli spazi adeguati, l’audioguida approfondita sono elementi a favore di questa mostra, in cui sono tanti i capolavori presenti: oltre a quelli già citati, abbiamo, ad esempio, la Cynthia di Casorati, il celebre Pino sul mare di Carrà, l’Alzana di Cagnaccio, molte tele di Ubaldo Oppi, Severini, persino delle tele del primo Carlo Levi (quando era allievo di Casorati), e la lista sarebbe ancora lunga. Assoulutamente da vedere, è un’occasione da non perdere!