Milano, Teatro alla Scala: “I Capuleti e i Montecchi”

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2021/2022
“I CAPULETI E I MONTECCHI”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Capellio JONGMIN PARK
Giulietta LISETTE OROPESA
Romeo MARIANNE CREBASSA
Tebaldo JINXU XIAHOU
Lorenzo MICHELE PERTUSI
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Speranza Scapucci
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Adrian Noble
Scene Tobias Hoheisel
Costumi Petra Reinhardt
Luci Jean Kalman e Marco Filibeck
Coreografie Joanne Pearce
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Milano, Teatro alla Scala, 30 gennaio 2022
Bellini e la Scala in questi anni si sono incontrati troppe poche volte e in quest’assenza così rumorosa non poteva non accedere l’interesse il ritorno nella sala del Piermarini de “I Capuleti e i Montecchi” a oltre trent’anni dall’ultima esecuzione (era il 1987 quando Riccardo Muti l’aveva diretta per l’ultima volta). L’attesa sostanzialmente non è andata delusa in quanto il nuovo spettacolo, pur non esente da qualche lacuna, si è rivelato nel complesso più che apprezzabile e con alcune prestazioni decisamente sugli scudi.
Speranza Scapucci subentrata in corso d’opera alla direzione d’orchestra si è affermata come uno degli elementi vincenti della produzione. Fin dalle prime battute della sinfonia appare chiarissima la visione della direttrice romana. Sonorità molto belle, colori smaltati e luminosi, trascinante energia, una capacità di far emergere la forza drammatica della partitura mantenendo un suono orchestrale leggero e mai ipertrofico sono fin da subito i tratti che emergono dalla lettura proposta. Nel corso dell’opera questi non vengono mai smentiti ma altri se ne aggiungono a rendere sempre più ricco e profondo l’arazzo che si va tessendo. La Scapucci coglie perfettamente la natura ibrida di quest’opera; in parte strutturalmente ancorata a una tradizione formale di matrice rossiniana (anche se la genesi dell’opera segna un deciso passo indietro rispetto al superamento di certe convenzioni già evidente ne “La straniera”) dall’altro l’apertura verso un universo espressivo già proiettato al futuro.Entrambi questi  elementi trovano qui perfetta valorizzazione. Il primo nelle scelte dinamiche, nell’esaltazione dei contrasti ritmici, dall’uso attento e pertinente delle variazioni, il secondo nell’attenzione ai colori e degli impasti strumentali in cui già si palese una sensibilità romantica come nei dolenti interventi dal corno che accompagnano l’entrata di Giulietta.
Ottima la prova dell’orchestra capace di realizzare alla perfezione le richieste della direttrice così come quella del coro, costretto alle ulteriori difficoltà conseguenti l’imposizione dell’uso della mascherina sanitaria.
La compagnia di canto è illuminata dalla Giulietta di Lisette Oropesa. Il soprano americano si libra con leggerezza ineffabile sulle melodie belliniane accarezzandole con un timbro di radiosa madreperla che sembra illuminare tutto intorno a se. Il magistrale controllo del fiato le permetto di realizzare mezzevoci di serica delicatezza mentre il corpo vocale si mantiene compatto e omogeneo su tutta la gamma, con un settore medio-grave sonoro unito a un raggiante e facilissimo registro acuto. Sul piano espressivo la sua Giulietta è di una spontaneità che non può non commuovere, un personaggio ricco di sfumature, non limitato a una liliale mestizia.
Una tale Giulietta richiede al suo fianco un altrettanto degno Romeo. Marianne Crebassa riesce a esserlo, se pur con qualche discontinuità. La Crebassa è un mezzosoprano dal timbro chiaro e luminoso che deve ovviamente giocare il personaggio sul lato elegiaco e sentimentale anziché su quello eroico. La scena d’entrata appare quindi come il più problematico, gli ampi scarti della cabaletta gli creano qualche difficoltà e la costringono a qualche forzatura. Va evidenziato l’aiuto che proviente dalla sensibilità con cui la Scapucci fa di tutto per accompagnarla nel mondo più congeniale. Romeo però non è solo cabaletta iniziale e nei momenti successivi la Crebassa appare nellea dimensione a lei più congeniale. Nel duetto con Giulietta sfoggia una linea di canto elegantissima e musicale. La sua voce si fonde in un tenerissimo abbraccio con quella della Oropesa. Musicale, precisa, raffinata nel gusto e nel fraseggio la Crebassa tratteggia un Romeo riuscito. Non vanno poi sottaciute le qualità attoriali, con una gestualità accuratissima e  sempre efficace.
Il terzo elemento di forza del cast è Michele Pertusi che pur alle prese con un ruolo in fondo marginale come Lorenzo s’impone con la pienezza di una cavata nobile e sontuosa, capace di trasmettere naturalmente un senso di umana autorità. Meno convincenti gli altri interpreti maschili. Jinxu Xiahou dispone di una bella voce di tenore lirico e canta con facilità mostrando buona sicurezza anche in acuto ma l’interprete appare genericamente tratteggiato e poco coinvolgente sul piano emozionale. Buon materiale vocale anche per Jongmin Park. L’emissione, così come il fraseggio, mostrano una certa rigidità espressiva, in un ruolo come quello di Capellio  sostanzialmente declamatorio.
Lo spettacolo di Adrian Noble, con scene di scene Tobias Hoheisel e costumi Petra Reinhardt risulta nel complesso funzionale. La vicenda è spostata negli anni trenta del Novecento visti come periodo di gravi tensioni politiche e sociali mentre viene evitata qualunque specificazione geografico-ambientale. L’idea è un contesto sostanzialmente astratto in cui calare una vicenda di valore universale. Un approccio che mostra forse una maggior vicinanza al valore universale della tragedia di Shakespeare rispetto al libretto in cui Romani con gusto erudito sparge a piene mani riferimenti al Duecento italiano e non si può negare che assistendo allo spettacolo si sentisse un po’ di nostalgia dell’età di mezzo.
L’impianto scenico definisce uno spazio chiuso, claustrofobico, dominato da architetture di sapore piacentiniano – o per restare in ambito operistico vicino a certi allestimenti di Pedruzzi – all’interno di questo impianto si aprono all’occasione gli ambienti interni come la camera di Giulietta decorata con gusto antichizzante (le pareti riprendono dettagli del triclinio della villa di Livia a Prima Porta). La scenografia si apre nel secondo atto lasciando spazio a panorami boschivi nella scena del duello e in quella della tomba.
La qualità migliore del lavoro di Noble – evidente in questo la sua formazione come regista di prosa – è il lavoro sugli attori e sulla recitazione curata in modo esemplare in tutti i dettagli e valorizzata appieno da ottimi cantanti attori come molti di quelli a disposizione. Egregio in egual misura il lavoro fatto sulle masse corali.
Sala non gremita ma buona presenza di pubblico, successo caloroso con autentiche ovazioni per la coppia protagonista e per Speranza Scapucci. Foto Brescia & Amisano