Milano, Teatro Franco Parenti – Stagione 2021-22
“MRS. FAIRYTALE – Non si torna indietro dalla felicità”
di e con Filippo Timi
voce Emiliano Coltorti
corpo Federico Rubino
costumi Fabio Zambernardi
assistenti alla regia Beatrice Cazzaro, Daniele Menghini
produzione Teatro Franco Parenti
Milano, 04 gennaio 2022
Ultime repliche al Parenti il 26 e 27 gennaio 2022
Dal 12 al 18 febbraio al Teatro alla Pergola di Firenze
Filippo Timi è senza dubbio un attore di grande talento e magnetismo, anche quando si cala in vesti femminili e si propone al pubblico milanese come una creatura che sembra uscita da una collaborazione tra Fassbinder e il primo Almodóvar. In effetti, questa “Mrs. Fairytale“ si nutre di così tanti citazioni cinematografiche (oltre che di alcolici e benzodiazepine) che quasi non si riesce a contarle: si va da Blanche Dubois a Margo Channing, dalla Julianne Moore di “Lontano dal Paradiso“ alla Joan Crawford di “Mammina cara“, fino a creature più noir, come Barbara Stanwyck ne “La Fiamma del Peccato“. Questo pastiche divistico corrisponde anche a un pastiche drammaturgico, di cui lo stesso Timi è responsabile, ma che in fin dei conti risulta molto meno riuscito della caratterizzazione del singolo ruolo. Sotto l’aspetto scenico, infatti, siamo di fronte a un semi-monologo (giacché il secondo personaggio entra in scena solo verso la fine), nel quale Filippo Timi entra ed esce dalla parte con grande nonchalance e simpatia, ma forse anche con una certa arbitrarietà non necessariamente gradita allo spettatore: sembra quasi che l’attore sia il primo a credere poco al personaggio, e che preferisca costruirlo più come una derivazione da sé, piuttosto che come una creatura a se stante. Questo ci fa sorgere dei dubbi sull’effettivo valore drammaturgico della pièce, giacché si tratta di un testo troppo dipendente dal suo interprete; certo, anche Carmelo Bene e Paolo Poli, in qualità di sublimi monstra della scena, cucivano sulla loro stessa personalità interi spettacoli, ben più pretenziosi della “Mrs. Fairytale“ timiana, ma in quei casi l’estetica della recitazione, la personalità attoriale, era tanto debordante da riuscire a colmare gli oggettivi buchi di alcune drammaturgie troppo autoreferenziali. L’indiscutibile professionalità di Timi e la sua cultura (che caratterizza il testo) non bastano a creare uno spettacolo autorevole: si rimane su un livello di scioccherella gigioneria, di godibile farsetta per pochi, una prova da attore senz’altro superata, ma in maniera prevedibile, sul sentiero di una mediocritas che non può definirsi aurea. D’altro canto, a una Fairytale tanto granitica e virile, viene giustamente contrapposto l’efebico Emiliano Coltorti nella parte del detective umbratile e maudit, in diretta dagli Anni Quaranta, e, nell’economia dello spettacolo, questa apparizione è una preziosa ventata di freschezza, che si incastona sul delirio cinéphile dell’autore per spezzarlo e ricomporlo con una maggiore significazione: qui, infatti, si coglie una maggiore vitalità drammatica, che sposta il focus dalla bambolona spostata alla donna spezzata che vi sta dietro. La scena, più somigliante al set di una telenovela messicana che a un appartamento borghese, e i costumi plastificati conferiscono al tutto un’atmosfera surreale, l’unica possibile per un testo ricco di paradossi e nonsense, e per un’interpretazione coerentemente sopra le righe, che ignora a suo piacimento la quarta parete. La brevità dello spettacolo lo rende certamente più fruibile e anche maggiormente fulminante – sebbene ci resti il dubbio su che cosa si voglia scagliare qusto fulmine: le convenzioni della vita borghese? Le felicità posticce, inconsapevolmente ricevute e vissute in una vita asettica? O forse chi si proclama contro queste stesse cose, divenendo più finto e borghese dei suoi bersagli? L’ambiguità resta, e conferisce qualche grammo in più allo spessore drammaturgico. Giacché non cadremo nel tranello del divertissement senza messaggio: un messaggio c’è sempre e ovunque – nasconderlo può essere affascinante, ignorarlo no. Foto Noemi Ardesi