Venezia, Teatro La Fenice: Frédéric Chaslin e Francesca Dego in concerto

Venezia, Teatro La Fenice: Stahgione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Violino Francesca Dego
Leonard Bernstein:”Serenade after Plato’s Symposium” per violino e orchestra da camera; Pëtr Il’ic Čajkovskij: Sinfonia n. 6 in si minore, op.74 “Patetica”.
Venezia, 8 gennaio 2022
Frédéric Chaslin, che sostituiva John Axelrod sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice, e la violinista Francesca Dego erano graditi ospiti della Fenice nel primo concerto sinfonico del nuovo anno, che proponeva Serenade per violino e orchestra da camera di Leonard Bernstein insieme alla Sinfonia “Patetica” di Pëtr Il’ic Čajkovskij. Per l’occasione la giovane violinista di Lecco si esibiva imbracciando un prezioso strumento d’epoca: un Pietro Guarnieri di Venezia del 1754.
Il primo titolo in programma ci presentava il grande Lenny, universalmente noto come straordinario direttore d’orchestra, nella veste – meno conosciuta dal pubblico, a parte West Side Story e forse Candide – di raffinato autore.
La composizione di Serenade, risalente al 1954, avvenne su commissione della Koussevitzky Music Foundation, come attesta la dedica “alla cara memoria di Serge e Natalia Koussevitzky”. La prima esecuzione assoluta venne diretta da Bernstein stesso il 12 settembre 1954, nell’ambito della XVIIa Biennale di Venezia –  solista Isaac Stern con la Israel Philharmonic Orchestra. Si tratta di un raffinato lavoro nato da una rilettura del Simposio e quindi legato, seppur liberamente, a una sorta di “programma”, in riferimento al celebre dialogo di Platone. Lo stesso Bernstein ha redatto una breve guida alla comprensione di questa sua composizione, articolata in cinque movimenti – ognuno dei quali si sviluppa a partire da elementi di quello precedente –, che illustrano musicalmente gli interventi dei convitati al banchetto, che si succedono nella dissertazione sulla natura di Eros.
Ragguardevole sotto molti aspetti è risultata l’interpretazione di Francesca Dego, che si è confermata una delle più promettenti giovani concertiste nel panorama internazionale. Bel suono, padronanza tecnica, finezza e duttilità interpretativa hanno felicemente caratterizzato la sua esecuzione di questa musica non facile ed eclettica: dal fugato nel primo movimento – Fedro; Pausania – affidato al violino solo, alla canzone in Erissimaco,  alla danza e al jazz in Socrate; Alcibiade. Festeggiatissima dal pubblico, la Dego ha concesso un fuori programma: un pezzo per violino solo del compositore americano John Corigliano.
Un programma – segreto – profondamente legato al mondo interiore dell’autore è sotteso anche alla Sesta di Čajkovskij, per il quale il genere sinfonico rappresenta un mezzo particolarmente adatto ad esprimere la sua sensibilità romantica; un mezzo attraverso il quale può svelare i più diversi sentimenti che si agitano nel suo cuore –  alla stregua di un poeta lirico – utilizzando un’ampia tavolozza di timbri orchestrali. In particolare, le ultime tre sinfonie del compositore russo presuppongono un contenuto di natura esistenziale, più o meno esplicito, dove il Destino avverso, di cui  l’autore si sente vittima, ha un ruolo fondamentale, sicché la struttura della composizione è fortemente influenzata dai vari stati emotivi dell’io lirico, più che da ragioni strettamente musicali. Lo conferma anche l’ultima sinfonia – composta principalmente a Klin, la città, dove Čajkovskij fissò la propria residenza nell’ultima fase della sua vita –, che fin dai primi abbozzi, concepiti anche solo a livello mentale, lo fece piangere molto, come confessa lo stesso autore in una lettera al nipote Vladimir Davydov, detto familiarmente Bob, dedicatario della partitura, per quanto scarsamente interessato al lavoro dello zio. Il primo movimento fu scritto di getto in pochissimi giorni nel febbraio 1893; la partitura fu ultimata nel luglio dello stesso anno, per essere eseguita in anteprima il 16 ottobre 1893. L’autore morì poco dopo, lasciando quest’ultima sinfonia come suo testamento musicale.
Fortemente marcata dalla propria personalità è risultata l’interpretazione che Frédéric Chaslin ha offerto dell’ultimo lavoro sinfonico di Čajkovskij, dando forte rilevanza all’elemento timbrico, come si è potuto cogliere, ad esempio, nelle sonorità sempre accentuate degli ottoni, che hanno validamente contribuito a conferire alla vena patetica – tradizionalmente considerata la cifra distintiva di questa sinfonia – un piglio tragicamente virile, a dispetto di tante semplicistiche elucubrazioni su una supposta indole languidamente femminea dell’autore russo, alle cui vicende personali si è dato forse troppo rilievo, nell’analisi delle sue opere.
Nel primo movimento, molto più esteso rispetto agli altri, è emerso nella lenta introduzione (Adagio), sul sottofondo grave dei contrabbassi, il tema cupo e lamentoso del fagotto nel registro basso, dopodiché nell’Allegro non troppo, questo tema si è ripresentato, ma questa volta rappresentato da figure più veloci, acuendo la tensione drammatica, fino al primo tutti dell’orchestra, in cui svettavano gli ottoni e, in particolare, le trombe, intonando ancora il primo tema in fortissimo. Dopo un grande decrescendo, è apparso il celebre secondo tema, proposto in tono sentimentale ma non sdolcinato da violini e violoncelli con sordina, accompagnati da corni e legni bassi, su pedali di contrabbasso. Un nuovo tema si è colto nello sviluppo: si tratta in realtà di un canto funebre della Liturgia ortodossa dei defunti, corrispondente alle parole “Riposi con i santi”. Dopo la riesposizione dei due temi principali, il movimento si è concluso con un mesto corale di fiati, su una gamma discendente di archi pizzicati, che gradualmente si affievoliva.
L’atmosfera si è rasserenata nel successivo movimento tripartito, Allegro con grazia, aperto e chiuso da  un grazioso valzer, in 5/4 , dal lungo tema in diciotto battute, coinvolgendo archi e fiati, mentre la sezione centrale ha ricreato l’atmosfera cupa del primo movimento, in particolare con l’ostinato dei contrabbassi e dei timpani, in cui si manifestava l’inesorabile potenza del Destino, una tematica tipicamente legata al compositore, che cita qui una canzone estone Kallis Mari (“Cara Maria”). Particolarmente scherzoso è risultato il terzo movimento, Allegro molto e vivace,  con i suoi due temi, l’uno spumeggiante in rapide terzine staccate, l’altro alla marcia, che si presenta inizialmente per brevi accenni prima di affermarsi perentorio nella sua interezza.
In forte contrapposizione con l’impeto trionfale del movimento precedente è risuonato il lugubre movimento finale – in forma sonata ma senza sviluppo, a simboleggiare una condizione spirituale assolutamente priva di ogni possibilità di redenzione – caratterizzato da due temi, entrambi tratti ancora dalla Liturgia ortodossa dei defunti: il  primo tema, Adagio lamentoso, dal profilo discendente, di straordinaria intensità emotiva; il secondo in tempo Andante, intriso da un’inconsolabile mestizia, presentato in pianissimo  dagli archi – che qui come altrove hanno primeggiato per sensibilità e coesione – su un delicato accompagnamento dei corni, prima di passare all’ottava superiore e al registro acuto dei violini, dando vita a un grande crescendo, che ha coinvolto a poco a poco tutta l’orchestra. Ma tutta questa tensione emotiva non poteva condurre a nulla, se non alla completa dissoluzione, che inesorabile si avvicinava, scandita da ripetuti colpi di tam-tam.