Verona, Teatro Filarmonico: James Feddeck dirige Beethoven e Brahms

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2022.
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore James Feddeck
Contralto Marianna Pizzolato
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Ludwig van Beethoven: “Coriolano”, ouverture op. 62; Johannes Brahms: Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra op. 53; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36
Verona, 11 febbraio 2022
Per l’inaugurazione della Stagione Sinfonica 2022 la Fondazione Arena di Verona va sul sicuro affidandosi a Beethoven e Brahms, due autori particolarmente amati dal pubblico scaligero, con un programma che tocca anche le corde del dramma poetico e teatrale. Il condottiero romano Gneo Marcio, detto Coriolano dopo la conquista della città dei Volsci, inviso ai plebei e carico di risentimento verso Roma, si organizza con gli stessi Volsci per attaccare l’Urbe, salvo poi concludere un trattato di pace ed essere ucciso per tradimento. Questo soggetto, per la sua forte carica psicologica ed introspettiva, ispirò la tragedia Coriolanus (1607) di Shakespeare ed il dramma teatrale Coriolan di Heinrich Josef con Collin (1771 – 1811), che andò in scena a Vienna nel 1802 con enorme successo. Beethoven intuì i forti contrasti interiori che animavano la figura del condottiero romano e con questa spinta emotiva e morale nel 1807 compose la sua celebre ouverture basata su potenti accordi (che anticipano la V sinfonia) ma capace di svelare una passionale cantabilità nel tema centrale. Secondo Wagner, questa ouverture descrive l’incontro, alle porte di Roma, di Coriolano con la madre e la sua famiglia che lo implorano di risparmiare la città, desistendo dal suo proposito vendicativo: anche il contrasto, tutto romantico, tra il do minore che indentifica l’aggressività bellicosa e la dolcezza del mi bemolle che invece rappresenta le suppliche della madre, si fondono in un’unica analisi psicologica e musicale. Nel 1869 Brahms riprese alcuni versi tratti da Harzreise im Winter (1789) un poema in cui Goethe rievoca un viaggio compiuto dodici anni prima, durante il quale lo scrittore e drammaturgo conobbe un suo giovane lettore sofferente di depressione. Il musicista scelse proprio i versi che cantano la sofferenza del giovane, riunendoli nella sua  Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra op. 53: dedicata alla figlia di Schumann per le sue nozze, Brahms vi riversa il suo personale dolore, forse per un sentimento non corrisposto verso la ragazza. Al suo debutto a Verona giungeva il newyorkese James Feddeck, fresco di nomina a direttore Principale dell’Orchestra de I Pomeriggi Musicali di Milano; preceduto sulla carta da un curriculum abbastanza corposo di collaborazioni con le più blasonate orchestre mondiali, ha affrontato l’ouverture beethoveniana con il giusto carisma interpretativo, sottolineando i forti contrasti presenti nella partitura e risaltando il cromatismo sonoro: l’Orchestra della Fondazione Arena, che ha indubbiamente nella sezione legni uno dei suoi punti di forza, ha risposto al gesto (in verità non sempre chiaro ma funzionale) di Feddeck con un bel suono di carattere ed adeguato alla fierezza titanica del compositore di Bonn. Non altrettanto si può dire invece degli esiti brahmsiani, dove la guida dal podio non appariva sempre attenta e presente, sembrava più preoccupata a portare a termine dignitosamente il compito che ad approfondire il messaggio contenuto nella scrittura di Brahms; tutti gli elementi riportati sul pentagramma, solitudine, misantropia, egoismo, sofferenza, desolazione e così bene descritti dal disegno orchestrale non sono emersi in tutta la loro forza evocatrice. Perfino l’intervento del coro nella parte finale, entità apportatrice di speranza e serenità, non risultava particolarmente efficace. Un vero peccato perché questa esecuzione a tratti sonnolenta non ha adeguatamente messo in luce il bel colore vocale di Marianna Pizzolato che invece si è prodigata a dare il giusto peso ad ogni parola e ad ogni accento. Degno di nota l’intervento, seppur ridotto al finale, del coro della Fondazione diretto da Ulisse Trabacchin il quale sta dimostrando da pochi mesi di lavorare bene sulla compagine per renderla duttile a repertori che escono dall’alveo dell’opera. Nella seconda parte, la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 metteva il sigillo beethoveniano alla serata; composizione ancora legata al modello classico, ma con la variante dello Scherzo come terzo movimento, ha visto il ritorno alla brillante direzione di Feddeck (forse momentaneamente assopitosi in Brahms). Il risultato è stato quello di una bella esecuzione in cui le diverse parti dell’orchestra hanno contribuito all’edificarsi di un progetto sonoro; tale è questa sinfonia che inizia a rivelare il nuovo e definitivo Beethoven, peraltro condizionato dalle delusioni amorose e dall’incipiente sordità. A dispetto di qualche lieve imprecisione negli archi l’orchestra veronese, posizionata ancora a livello platea ma seguendo una disposizione più appropriatamente sinfonica, non ha deluso le aspettative con generosità di suono e forza dirompente: un particolare encomio va ai fiati, in particolare ai corni. Pubblico attento e puntuale nel consenso, ma ancora lontano dagli esauriti che si auspicano per un ritorno alla normalità e alla sete inestinguibile di arte, bellezza e cultura. Foto Ennevi per Fondazione Arena.