Charles Gounod (1818-1893): La poesia amorosa del “Faust” (1859)

Opera in cinque atti su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, da Goethe. Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre Lyrique, 19 marzo 1959.
Nel Faust di Goethe –  immenso monumento di varie ispirazioni riunite da  un grande genio  – coabitano la leggenda, l’epopea, il poema d’amore , elementi principali destinati a sorreggere molti altri “temi”  di diverse provenienze; e non sono lineamenti così fusi (questo, anzi, l’appunto che qualcuno osò  muovere al Faust di Goethe)  che non si possono considerare separatamente, nella loro compiuta bellezza.
L’eroina-fanciulla
Ora il cuore patetico e il delicato ingegno musicale di Gounod, guardò ad uno solo  di quei lineamenti, e ne trasse spunto per quella che doveva divenire, ed è tutt’ora, una tre le più famose opere del teatro musicale francese. L’elemento amoroso: il poema della passione di Faust e del ingenua dedizione di Margherita;  dello sbaglioe e del suo rimorso, sofferto amaramente, fino all’ esclamazione nostalgica: “Eppure, mio Dio, tutto ciò che mi ci ha condotto era così buono, così caro”. Ma se quell’episodio d’amore ha di per sé una forza compiuta  di grande poesia, perché censurare come si è fatto  – Gounod per aver musicato, appunto, solo quell’episodio? Perché rimproverargli d’avere preferito guardare anziché al dramma cosmico o al colore leggendario del Faust  goethiano soltanto al cuore di Margherita, amorosa, amante peccatrice e redenta?
Per Margherita Gounod ha trovato le melodie dolci e ingenuamente sensuali, le armonie toccanti, impasti strumentali fini e discreti, così da costituirla come personaggio indimenticabile., per lei ha saputo, nella scena della chiesa, mostrare un accento fortemente drammatico al quale egli era meno incline. Ecco le ragioni persuasive  per le quali il Faust di Gounod continua a vivere sulle fine dei teatri lirici di tutto il mondo. E  la fresca poesia musicale del dramma d’amore fa sopportare affettuosamente anche tutto ciò che in questa partitura è  meno ispirato, o quanto meno è dettato unicamente in omaggio alle esigenze del Grand’Opéra: ad esempio La grande “marcia” del terzo atto, che richiama quella del Profeta di Meyerbeer. Ma, anche nelle scene alquanto convenzionali, quale vivacità tutta francese, come nella kermesse e nel celeberrimo valzer; e quale accortezza nel riprendere il tema fondamentale  dell’ispirazione amorosa, come nel primo incontro tra Faust e Margherita: uno dei “prima incontri” musicali che, davvero, è indimenticabile. Sì, dal tenero melodismo di Gounod, e dal suo gusto armonico (ricordiamo il colore arcaico, così indovinato, della “canzone del re di Thulè”), uscì  il delicato ritratto di una “eroina-fanciulla” che si dimostrò come modello  di ispirazioni  per tutte le successive epoche del teatro lirico francese. Alla Margherita di Gounod guardarono sicuramente sia Bizet, per la sua Micaela, sia Massenet per la sua Manon.
Il “beffardo”
E non è detto che un’ultima esilissima eco gounodiana non resti anche nelle squisite ed enigmatiche effusioni di Mélisande. Occorre poi evidenziare un secondo ma non secondario “momento” della fedeltà di Gounod a Goethe: è il momento che concerne il personaggio di Mefistofele. Nel “Prologo in cielo” del poema goethiano, e poi in gran parte di ciò che segue, Mefistofele non appare come Satana, come il primo degli spiriti maligni. Anzi, Mefistofele non è che “uno degli spiriti che negano”: è “il beffardo”. Goethe fa dire a Dio: “di tutti gli spiriti che negano, il beffardo è quello che non mi dà minor fastidio”.  Detto ciò, Gounod, del Faust ha incisivamente raffigurato Mefistofele appunto come “il beffardo”; ne ha fatto un personaggio degli accenti spesso ironici, a volte dalle inflessioni grottesche: basti pensare al duetto del primo atto, e a brani come la canzone “Dio dell’or”, o la serenata “Tu che fai l’ addormentata”. Sono questi accenti ironici che, fra l’altro, differenziano profondamente il Mefistofele gounodiano da quello che – con intenzioni molto più luciferine, anche se con risultati spesso ingenui, da “angelo caduto” nel modesto “inferno” della “scapigliatura lombarda”- realizzò  Arrigo Boito. Oltre a questi valori che sono precipuamente musicali e drammatici, il Faust contiene poi, come è noto, altri valori musicali di per sé francamente apprezzabili, specie valori melodici affidati al canto. E dunque, questo spartito rimane da ascoltare da amare anche per quello che di bello è offerto dalle belle voci degli interpreti. Da questo punto di vista, la fama di brani come “Salut demeure” o come “l’aria dei gioielli” è ampiamente giustificabile. Belle voci sono, in questa storica edizione radiofonica del 1960 (anche se in italiano), quella suadente di Eugenio Fernandi, quella purissima  di Renata Scotto, e quella capace di memorabili accenti ironici di Nicola Rossi Lemeni. Immagini Archivio Storico Ricordi