Flavio Testi (1923-2014): “L’albergo dei poveri” (1966)

Opera in due atti e quattro quadri dal dramma di M. Gorkij. Libera traduzione, adattamento di Flavio Testi. Prima rappresentazione: Milano, Piccola Scala, 21 marzo 1966.
In anni in cui le avanguardie hanno indicato rotture clamorose (gli anni ’60),  Testi ha rappresentato uno dei pochi casi in cui un artista e si rifiuta di essere abbacinato dai “tentativi”,  ma ha guardato in  se stesso per un continuo riesame, per una continua affermazione della propria personalità, per una espressione completa di una umanità che è  anche il metro regolatore dei giudizi e delle relazioni con il mondo che la circonda.
Artista tradizionale
L’uomo, insomma, che è cosciente di vivere in un mondo di uomini, con tutto quello che ne consegue circa un bilancio di sentimenti e di azioni. Sotto questo aspetto, Testi può essere definito come una artista “tradizionale”, ma lontano da immobilismi tecnici ed intellettuali o ancora ancorato a formule ormai passate. Ché Testi, proprio della sua continua ricerca di una presenza umana, forte e drammaticamente definita ed espressa, ha tratto una validità indiscutibilmente moderna e funzionale.
È, in fondo, l’attualità che ritroviamo nei suoi decisivi aspetti del melodramma a cominciare da Verdi, sulla lezione del quale, Testi ha voluto sempre  direttamente e funzionalmente ai punti fondamentali del dramma, ai punti chiave di snodo, dai quali possono prendere rilievo  i personaggi e le situazioni.
Anche in questa sua terza opera, L’albergo dei poveri commissionatagli espressamente dalla Scala, Testi resta perfettamente coerente con se stesso.
Motivi umani
Il libretto è dello stesso testi che la liberamente tradotto è adattato dal dramma di Gorkij. Infatti ha eliminato qualsiasi riferimento al mondo e all’ambiente russo dell’epoca di Gorkij, dando al contesto un respiro più moderno, proprio con la valorizzazione di quei motivi umani che sono immutabili nel tempo. La trama, in sintesi assai ridotta, racconta la guida di un gruppo di falliti in un albergo dei bassifondi. Vassilissa (mezzosoprano), la moglie di Kostilov (baritono), l’albergatore, tresca con il giovane Vaska (tenore), ma questi non la ama più, poiché si è innamorato di Natascia (soprano), la giovane sorella di Vassilissa. Una galleria di tipi, componenti di una umanità miserabile, si muove sostanza sostenendo le sue miserie, i suoi sordidi rancori contro chi è più fortunato, le sue illusioni e i suoi fallimenti. Un’altra “ospiste” dell’albergo, l’erbivendola, Anna (soprano), moglie del Magano (basso),  muore, consunta dalla tubercolosi e i drammi che i personaggi nascondono in se stessi scoppiano, a tratti, con violenza, finché se arriva alla tragedia finale. Vaska e Natascia vogliono fuggire per farsi un esistenza migliore, ma Vassilissa scopre il progetto. La situazione precipita con l’intervento di Kostilov che rimane però vittima dell’ira di Vaska, che l’uccide a pugni. l’agglomerato dei mserabili si scioglie. Restano in pochi  a sottolineare la mancanza di una soluzione per la loro miseria. Solo un altro di essi, il Comico (baritono), tragicamente la trova, impiccandosi.
L’opera, come è già stato detto, era stata commissionata a Testi dalla Scala, dopo il successo riportato, a Firenze, dal suo precedente lavoro, La Celestina. Composta fra il 1964 e il 1965 e, per quel che riguarda la parte musicale, l’autore ha tenuto presente la sede a cui era destinata: La Piccola Scala. Testi ha puntato a  un organico di strumenti di natura assolutamente diversa, onde impedire qualsiasi genericità di amalgame, qualsiasi apparentamento timbrico. Tale organico, infatti risulta essere composto da: due flauti (il secondo anche piccolo), due clarinetti (il secondo anche piccolo), due fagotti, due trombe, due tromboni, timpani, batteria, xilofono, pianoforte, un violino, sei contrabbassi.
Il risultato fonico è quello di una secca, angolosa, dura essenzialità. Emerge la scelta di ricorrere all’ostinato, che si rivela di rara efficacia nel costruire in orchestra la stessa attenzione che i cantanti costruiscono sul piano vocale. La vocalità di Testi, del resto rappresenta uno dei motivi in cui l’autore ha riposto la massima cura: È nota la sua affermata a volontà di volere che il testo abbia la  massima comprensibilità: ciò che lo porta a preferire senza eccezioni il declamato drammatico agli allenamenti del canto melodicamente. Illustrazione di Guido Crepax per la copertina del libretto dell’opera – Edizione Ricordi