“Götterdämmerung” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2021-2022
“GÖTTERDÄMMERUNG”
Terza giornata, in un prologo e tre atti, della Tetralogia Der Ring des Nibelungen

Libretto e Musica di Richard Wagner
Siegfried  ANDREAS SCHAGER
Gunther  LAURI VASAR
Hagen  STEPHEN MILLING
Alberich  MARTIN WINKLER
Brünnhilde  CATHERINE FOSTER
Gutrune  AMANDA MAJESKI
Waltraute  MICHAELA SCHUSTER
Prima Norma  CHRISTA MAYER
Seconda Norna  KAI RÜÜTEL
Terza Norna  AMANDA MAJESKI
Woglinde  ELIZABETH BAILEY
Wellgunde  MARÍA MIRÓ
Flosshilde  MARINA PINCHUK
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Direttore Friedrich Suckel
Maestro del Coro Andrés Máspero
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Luci Manfred Voss
Produzione Bühnen der Stadt Köln
Madrid, 4 marzo 2022
In occasione della nona e ultima recita della Götterdämmerung il feretro di Siegfried è avvolto nella bandiera dell’Ucraina. Quello stesso giorno, la Direzione del Teatro Real ha comunicato la cancellazione delle recite del balletto La Bayadère con i complessi del Bolshoi di Mosca, previste per il mese di maggio. Der Ring des Nibelung nella versione madrilena diretta da Pablo Heras-Casado e con la regia di Robert Carsen si conclude così, in sintonia con l’amarezza, il disgusto e il dolore suscitati da ciò che sta accadendo in Ucraina. Il vecchio spettacolo di Carsen, non particolarmente innovativo ma certamente preciso e coerente, si trasforma, involontariamente, nello specchio di un presente squallido, in cui l’unica azione politica possibile sembra quella della violenza, dell’ottusità e dell’egoismo. La recita a cui abbiamo assistito è stata interessata da due sostituzioni importanti: il direttore d’orchestra non è stato Heras-Casado, bensì Friedrich Suckel, assistente musicale di questa produzione sin dal Rheingold del 2019; Brünnhilde non è stata Ricarda Merbeth, bensì Catherine Foster, frequentatrice assidua di Bayreuth (che in territorio iberico aveva già cantato nella produzione di Die Walküre del 2015 a Barcellona). Le misure di precauzione sanitaria continuano purtroppo a influire sulla qualità musicale dell’Anello madrileno: gli ottoni e le percussioni sono collocati nel primo circolo di palchi, rispettivamente a destra e a sinistra della platea. Al di là del disequilibrio della massa sonora che investe l’ascoltatore a seconda del punto della sala in cui si trovi, il difetto più grave è la frammentazione del suono wagneriano, che dovrebbe invece essere omogeneo e ricco di colori. I protagonisti vocali sono tutti specialisti del repertorio wagneriano e forniscono una prova nel complesso apprezzabile: l’emissione della Foster è sicura e abbastanza omogenea, anche se a partire dal duetto con Waltraute accusa un po’ di stanchezza; Andreas Schager si avvale di una buona intonazione e di voce solida, ma troppo spesso si abbandona al portamento. Michaela Schuster interpreta una Waltraute efficace, sebbene il suo registro non sia del tutto uniforme: qualche difficoltà di emissione interessa sempre le note basse. Gli altri interpreti non vanno oltre una prova di routine, più o meno riuscita: l’Hagen di Stephen Milling ha addirittura un timbro più chiaro dell’Alberich di Martin Winkler; il Gunther di Lauri Vasar ha voce piccola, dall’emissione forzata e dalla linea di canto poco accurata. Corretta, a parte le discontinuità del registro, Amanda Majeski, interprete di Gutrune e della Terza Norna. Il pubblico di Madrid dimostra l’usuale interesse per la ripresa della tetralogia, iniziata tre anni fa, e alla fine del III atto manifesta un apprezzamento compatto per tutti gli artisti. L’impianto registico di questo Crepuscolo è fin troppo diretto nella comunicazione, coerente rispetto alle giornate che precedono e stranamente evocatore della più tragica attualità. Carsen traspone infatti il mondo dei Ghibicunghi in una dittatura militare, con Gunther debole tirannello in balìa delle trame di Hagen. Il coro stesso è interamente formato da militari, e anche l’estraneo Siegfried si trasforma ben presto in un commilitone, che però conserva un’originaria ribellione nei confronti dell’autorità. Tutto il resto del mondo, al di fuori dell’ordine violento e perverso imposto dalla dittatura, è ammasso caotico e abbandonato a se stesso, come lo scenario di una guerra appena perduta. Le tre Norme esauriscono la loro capacità divinatoria dentro una soffitta stipata di mobili e suppellettili in disuso, tutte imbragate da funi e gomene (il labile filo del destino), mentre la montagna di Brünnhilde è un campo di battaglia cosparso di relitti bellici: elmi, cartuccere, frammenti di armi. Carsen ha cura di variare la scena in corrispondenza di ogni nuovo quadro, ma questo non impedisce che lo spettacolo soffra comunque di una certa staticità. Come sempre accade negli spettacoli di Carsen, la messa in scena è ricca di valori formali, simbolici e allusivi; per esempio nel “ciarpame reietto” della soffitta delle Norne viene scostato un telo che ricopre il tronco del frassino del mondo, appena evocato dalle profetesse; nella reggia dei Ghibicunghi, tra grandi carte geografiche militari e librerie bene ordinate troneggia la scrivania del dittatore, su cui trovano spazio anche le fotografie dei famigliari di Gunther; nel II atto Hagen chiama a raccolta i Ghibicunghi per festeggiare le nozze del capo utilizzando un telefono; il coro di militari sbandiera il rosso vessillo della dittatura, facendolo roteare in modo smaccatamente propagandistico (con allusione alla natura corrotta e servile dell’intero popolo); nella densa caligine che apre il III atto le tre figlie del Reno appaiono come discinte e leziose passeggiatrici; e la riva del Reno è l’antica sponda presso la quale vivevano accampati Mime e lo stesso Siegfried, che ritrova in una vasca da bagno abbandonata l’orsacchiotto di quando era un bambino inquieto e sognatore … Una buona idea teatrale non sempre rende un buon servizio alla resa musicale: l’alternanza di spazi pieni e spazi vuoti ricercata da Carsen fa sì che la montagna di Brünnhilde sia una spianata del tutto deserta, che si estende nel retro-palcoscenico fino alle pareti di fondo del teatro; ma la voce di Schager (e a volte anche quella della Foster) si disperde in tale immensità prima di arrivare alla sala. Altra scelta discutibile, che purtroppo si ripete a ogni ripresa della produzione, è quella di far cantare Siegfried dietro le quinte, mentre l’interprete di Gunther soggioga Brünnhilde e le strappa l’anello nel quadro finale del I atto: questo fa sì che la voce del tenore si senta poco, e obbliga lo spettatore a vedere il baritono che finge di cantare, con effetto un po’ ridicolo. Dopo l’apparizione icastica della bandiera ucraina attorno al cadavere di Siefried, il grande sacrificio di Brünnhilde si consuma nella solitudine della donna sulla scena, come se si trattasse di un fatto individuale, e non del momento più pubblico e davvero “politico” di tutta quanta la saga. Ma se Brünnhilde canta completamente sola, immersa in una spessa cortina di fumi e di luce azzurra nella quale alla fine scompare, lo spettatore non può certo apprezzare il processo di redenzione universale innescato dalla sua immolazione; non si vede neppure Hagen, il cui ultimo anelito alla conquista dell’anello si ascolta da fuori scena. Eppure le indicazioni d’autore erano chiare ed esplicite, come ha notato Mario Bortolotto, interrogandosi sul messaggio finale dell’opera: «L’ultima annotazione è al riguardo misteriosa e illuminante facendo scorgere la sala del Walhall dove gli dèi e gli eroi siedono in assemblea, e chiare fiamme sembrano prorompere. Quale sarà il futuro del mondo (non) liberato?». Nell’Europa di questi giorni, insanguinata da fuochi e da lutti tutt’altro che liberatori, le ambizioni rigeneratrici di Wagner sembrano purtroppo una lontana, malinconica fantasia.   Foto Javier del Real © Teatro Real di Madrid