Dal 16 marzo 2022 al 31 luglio 2022
Orari: lunedì: 14.30 – 19.30 / dal martedì alla domenica: 9.30 – 19.30 / giovedì e sabato chiusura alle 22.30
Biglietti: Intero 15 € / Ridotto 13€
Chagall era russo. Chagall era ebreo. Chagall era francese. È difficile inquadrarlo. Nella vecchia Russia mosse, in principio, e a fatica, i primi passi nel mondo artistico: a causa dell’ostilità della famiglia ebrea, e quindi avversa alle arti, vietate dalla Torah; e per aver abbandonato, solo dopo pochi mesi, l’atelier di un certo Yerudah Pen, pittore a suo avviso troppo accademico. Sarà poi grazie all’incontro con il grande illustratore e scenografo Léon Bakst che venne a conoscenza di Parigi e dell’arte di Cézanne e Gauguin; e fu quindi Parigi – quando vi si trasferì – che versò la giusta luce sopra ai “suoi oggetti”, quelli che lui stesso affermò di aver portato dalla Russia. Come molte persone a questo mondo, è quindi difficile inquadrare questo artista in una definizione geografica certa. Eppure, certo è sempre stato il suo legame con le origini e con i ricordi di infanzia, che rappresentarono il suo mondo simbolico, senza considerare il legame con l’amore; l’amore per il mondo e per la vita, e per la sua Bella, la moglie. Proprio su questo artista, il Mudec, con la curatela dell’Israel Museum, presenta ora una mostra di oltre 100 opere appartenenti a questo museo, donate per la maggior parte dalla famiglia e dagli amici di Chagall. Inoltre, piuttosto che sulla sua attività pittorica, il progetto espositivo è dedicato in particolare ai lavori grafici di Chagall e alla sua attività di illustratore, mettendoli in relazione con il contesto culturale da cui nacquero. Se infatti, una volta avvicinatosi alla cosiddetta Scuola di Parigi, uno Chagall riuscì a comunicare leggera e fanciullesca felicità – quella a tutti nota –, un altro Chagall, che ci sembra ancor più interessante disegnatore che pittore, è quello che ora abbiamo la possibilità di apprezzare in questa mostra al Mudec. Infine, non possiamo tacere una coincidenza, quella di inaugurare proprio in questo delicato momento storico una mostra su un artista che unisce figuratamente tre parti del mondo così distanti. È forse un segno non troppo velato che il mondo – un mondo che a nostro avviso appare ancor più stanco di quello che Dino Buzzati disegnò afflosciato sulle ginocchia di Dio – ci lancia. Auguriamoci di avere buone orecchie.