Milano, Palazzo Reale: “Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano”

Milano, Palazzo Reale
Dal 23 febbraio 2022 al 5 giugno 2022
Orari: dal martedì alla domenica 10.00 – 19.30 / giovedì chiusura alle 22.30
Biglietti: Intero 14 € / Ridotto 12€
La mostra dal titolo Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano, appena inaugurata a Palazzo Reale, è un progetto che nasce da una collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna. In questi spazi abbiamo così l’opportunità di poter vedere da vicino alcuni dei più importanti capolavori di Tiziano, e non solo. In più, la grande attenzione che è stata riservata all’illuminazione, e l’aver fornito uno spazio adeguato ad ogni dipinto, ci mette di fronte ad una mostra che vale la pena di visitare. Riguardo ai contenuti, si è voluto compendiare tutto ciò che si deve prendere in considerazione sul ruolo della donna nel Rinascimento, con un affondo specifico nell’arte profana veneziana. D’altronde, l’interesse per le donne del passato fa parte di un risarcimento critico che la storiografia in generale sta operando in molti campi, scrivendo nuove pagine sulle donne. In questo frangente, però, i pittori esposti sono uomini, e le donne sono le effigiate. Ci approcciamo a: grandi committenti, donne come soggetto pittorico, donne letterate, polemisti e scrittori che si pronunciarono sull’inferiorità o sulla parità della donna, donne di antiche epoche storiche o del mito. Il discorso presentato è portato avanti su vari fronti critici, ma il messaggio principale che questa mostra vuole proporre è che l’immagine della donna, in questo periodo, andò sempre più affermandosi come positiva, anche negli aspetti più terreni, prendendo il sopravvento su quella negativa, la quale, anni addietro, aveva portato addirittura ad affermare che le donne fossero un essere imperfetto. Più nel dettaglio, uno dei discorsi maggiormente interessanti e compiuti che vediamo tra le sale di questa mostra parte dalle cosiddette “Belle veneziane”, ritratti di donne dal generoso décolleté: in alcune di esse si è notata la presenza di uno specifico doppio anello al dito, che ha fatto pensare al fatto che questi dipinti possano essere dei pegni matrimoniali (in passato si pensava fossero meramente dei ritratti di cortigiane, o di amanti di Tiziano); e gli stessi anelli sono presenti anche in altri quadri del tipo Ritratto di donna che scopre il seno di Bernardino Licinio e Ritratto di donna in abito verde di Paris Bordon, nei quali il seno viene esplicitamente scoperto. Sulla base di quanto viene affermato in alcune fonti letterarie dell’epoca, questa tipologia iconografica – che viene ricondotta alla famosa Laura di Giorgione (in mostra) – è da leggere come un’esposizione del cuore come sede dei sentimenti e fedeltà dell’animo, una dichiarazione a cuore aperto. Tant’è che gli stessi generosi décolleté li ritroviamo in alcuni dipinti di eroine dell’antichità e di sante, dove emerge soprattutto la figura di Lucrezia, emblema della sposa virtuosa: tra i quadri esposti su questo soggetto spicca per la bellezza lirica il quadro di Tiziano da Vienna, scelto come copertina della mostra. Tra l’altro, quello di Lucrezia è un argomento ben noto: basti pensare al Ritratto di gentildonna nelle vesti di Lucrezia di Lorenzo Lotto della National Gallery (opera non in mostra); e sempre Lucrezia viene disegnata da Raffaello per la prima volta in assoluto come una donna a seno nudo pronta ad affondare il pugnale nel proprio petto (ispirato da un prototipo della statuaria antica). Questo disegno fu poi inciso dall’immancabile Marcantonio Raimondi. Ma è altrettanto noto che la sublimazione dell’aspetto carnale della sensualità femminile affondi le radici nell’amore platonico riscoperto con l’Umanesimo (in questa sede si cita, ad esempio, il De amore di Marsilio Ficino), con uno dei suoi maggiori riflessi poetici negli Asolani di Bembo. Ma non è solo a Venezia che si fa della bellezza femminile un oggetto di idealizzazione artistica, dato che le radici dell’amore per una donna come percorso nobilitante risale alla Toscana del Trecento. E queste considerazioni sono importanti anche riguardo al confronto tra arte poetica e arte pittorica, che proprio nel Rinascimento tornarono spesso a concorrere, sulla scia della considerazione oraziana dell’ut pictura poesis. In più, proseguendo nell’esposizione, notiamo che le donne raffigurate sono sempre più nude: si tratta di mercificazione del corpo della donna? Non lo crediamo, anche quando viene sollecitato il voyeurismo in Susanna e i vecchioni di Tintoretto e in Ninfe al bagno di Palma il Vecchio: non possiamo certo nascondere che la nudità, anche se sublimata, sia immanentemente erotica. Lo leggiamo anche nel catalogo, che riporta un episodio spesso citato in questo genere di discorsi: già nel mondo antico, un giovane si sarebbe eccitato a tal punto da macchiare la statua della Afrodite Cnidia di Prassitele. Eppure, di primo acchito, quella stessa eccitazione sessuale sembrerebbe poter essere correlabile solo ad un basso istinto corporale, soprattutto se prendiamo in considerazione un discorso incentrato sulla prostituzione, ben nota in una città come Venezia (e non parliamo delle cortigiane d’alto bordo). Qualcosa si trova nella mappa della città che si trova all’inizio del percorso, che presenta i “luoghi delle donne”. Colpisce soprattutto l’esistenza di un “Ponte delle tette”: sembra che presso la Ca’ Rampani, di proprietà della Serenissima, ci fosse un bordello dove le donne si esponevano a seno nudo ai passanti sul ponte. Questi aspetti più triviali – a nostro avviso – sembrano avere un riscontro anche in opere veneziane come La tariffa delle puttane di Venegia, oppure La puttana errante (parodia dell’Orlando Furioso), che si caratterizzano per il linguaggio pecoreccio e sboccato, oltre che sessualmente esplicito. Ma come ammettere che quegli stessi istinti sessuali possano essere mossi da un’opera d’arte idealizzante? Questo nostro collegamento sembra posticcio, eppure è stato detto che la Danae del Prado “faria venir il diavolo adosso” (secondo una famosa lettera di Della Casa), e che questo non doveva essere necessariamente una critica: in catalogo leggiamo che Bernardo Tasso (il padre di Torquato) si interrogava retoricamente se fosse da riprendere “la vaga e maravigliosa pittura, o la lasciva inventione del pittore” (ovviamente di Tiziano). È un tema che avrebbe meritato qualche indagine in più. Abbiamo in mente soprattutto un intervento di Alessandro Nova, il quale sottolineò – a proposito dell’arte erotica – che a riguardo è “sorprendente come le riflessioni più impegnate sull’argomento siano perlopiù condotte da filosofi, antropologi, giuristi, storici, letterati e persino artisti, mentre gli storici dell’arte, ai quali spetterebbe per statuto l’analisi di strategie fondamentalmente visive, sono rimasti ai margini del fenomeno”. E il Cinquecento sarebbe un ottimo campo da indagare, considerato anche il fatto che un grande amico e “sponsor” del divin Tiziano era l’Aretino, che prima di approdare a Venezia aveva pubblicato i cosiddetti Sonetti lussuriosi: il primo sonetto principia con un “Fottiamoci, anima mia, fottiamoci presto” e l’ultimo ci riferisce che “Questi nostri sonetti […] s’assomigliano a voi, visi di cazzi”! Questi sonetti, tra l’altro, erano legati alla pubblicazione dei Modi, incisioni (perdute nella loro prima versione) ai limiti della pornografia (se non proprio pornografiche), ed erano opera di Marcantonio Raimondi (proprio l’incisore legato alla diffusione delle composizioni di Raffaello, e che abbiamo già incontrato), con disegni di Giulio Romano (pupillo di Raffaello, uno dei protagonisti della pittura manierista). Ma ciò non basterebbe ad esaurire l’argomento, perché si potrebbe allargare il discorso ad altri artisti coevi: ad esempio, nella miriade di disegni di un altro protagonista del Cinquecento, il Parmigianino, è presente un folto numero di disegni erotici. Per di più, la sua sensuale Madonna della Rosa era stata dipinta proprio per l’Aretino. Tornando alla mostra, comunque, concludiamo affermando che il catalogo è ricco, e presenta un taglio più divulgativo: non sono presenti schede tecniche sui dipinti in catalogo, ma ciò crediamo sia una scelta legata al discorso più iconografico che storico che si è voluto fare; ciononostante, dà spazio anche a nuove attribuzioni e interpretazioni storiche che riguardano anche opere importanti non presenti in mostra (parliamo della Venere di Dresda o la Venere di Urbino degli Uffizi). Su queste non ci addentriamo, lasciando le doverose considerazioni agli storici dell’arte, i quali proporranno a loro volta ulteriori studi in letteratura, considerato anche il fatto che i dipinti legati a commissioni profane risultano da sempre essere i più sfuggenti ed enigmatici: per rendercene conto è sufficiente ricordare quanti fiumi di inchiostro sono stati versati sulla Tempesta di Giorgione. Ad ogni modo, qualsiasi discorso si possa costruire, qualsiasi sia l’interpretazione che venga proposta, quel che resta certamente è la bellezza non solo delle donne effigiate, ma soprattutto della poesia che il pennello di Tiziano ha scaturito, e che sentiamo respirare alle nostre spalle come fa il marito della Lucrezia di Vienna.