OSN: La Pasqua dell’Orchestra Rai con lo Stabat Mater di Rossini

Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Stagione Sinfonica 2022. Concerto di Pasqua.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Michele Spotti
Maestro del Coro Andrea Secchi 
Soprano Anastasia Bartoli
Mezzosoprano Marianna Pizzolato
Tenore Dmitry Korchak
Basso Mirko Palazzi
Gioachino Rossini: “Stabat Mater” per soli, coro e orchestra.
Torino, 15 aprile 2022.
Primavera 1835, Rossini, ospite di banchieri amici, è in Spagna. È tempo di “semana santa” con relativo contorno di lunghe, per spazio e per tempo, processioni di funerei incappucciati e di efferati e sanguinolenti pasos. Sfilano per le affollate vie cittadine, le nero-dorate rappresentazioni delle pene della via dolorosa e delle sofferenze di Maria. Chi, almeno per una volta, ci sia stato, ricorderà senza dubbio un lussuoso e sfarzoso contorno femminile, dominato dal prezioso nero di mantiglie, adagiate su abnormi pettini di tartaruga a tentar invano di velare le forme di figure prorompenti. Un Venerdì Santo mediterraneo, vissuto come solennissima occasione rituale di partecipazione ed esibizione. Nulla di più lontano dal triste macerato connubio peccato-pentimento-redenzione che, in area iconoclasta protestante, si esprime in sublimi Passioni. Lo Stabat Mater che l’arcidiacono di Madrid, don Francisco Fernandez Varela, commissiona a Rossini risulta, contestualizzato alle circostanze, molto meno ambiguo da inquadrare: è indubitabilmente musica sacra ma di calore mediterraneo. Vi rivivono le sacre rappresentazioni, i cuori di Maria trafitti da cento spade delle edicole sacre dei vicoli napoletani, a lungo percorsi da Rossini e gli echi di canti che escono dalle porte socchiuse delle mille chiese e dei mille teatri della penisola.  Un trentennio dovrà ancora passare prima che Rossini, abbandonata definitivamente l’opera, trovi in sé gli stimoli di una spiritualità essenziale e prosciugata dalle bellurie mondane, con l’approdo alla francescana Petite messe solennelle.Michele Spotti, giovane e talentuoso direttore d’orchestra, è, questa sera, alla guida dell’OSN RAI e del Coro del Teatro Regio torinese. Certo è una felice circostanza che le due maggiori istituzioni musicali cittadine abbiano unito le loro forze per una serata e un’opera di tanta importanza. Tutti ci auguriamo che questo sodalizio si consolidi e si ripeta così da consentire, con la presenza di un coro di alta professionalità, una maggior ariosità alle programmazioni dell’orchestra che ormai è congelata nel repertorio sinfonico strumentale del periodo 1850-1940.
L’affidabile valentia orchestrale consente a Spotti di lanciarsi in una estroversa interpretazione energetica a tutto tondo. I tempi sono sempre sostenuti e le dinamiche vengono inesorabilmente indirizzate verso una costante massiccia sonorità che ti inchioda alla poltrona ma ti esclude da visioni più pensose e rarefatte. Visto il talento innato dell’artista, provvederanno certamente l’esperienza e gli anni ad attenuare questa entusiastica esuberanza, per ora meglio approfittare degli effetti travolgenti della carica giovanile che assicura una comunicabilità immediata se pur, a tratti, ingenua. Non sarà facile dimenticare una fuga dell’Amen finale, dove si vorrebbe, ad alleggerire e a chiarir le trame, un gioco leggero di polso e bacchetta, governata viceversa con la forza di sferzate di gomito ed avanbraccio.
Il coro del Teatro Regio, i n.5 (Eja mater fons amoris) e n.9 (Quando corpus morietur), li esegue magnificamente a cappella, svincolato momentaneamente dall’orchestra. La perizia e la meticolosità del lavoro condotto dal maestro Andrea Secchi sono esaltati ed è giocoforza apprezzare l’intelligibilità e la bellezza della tessitura e delle sfumature dinamiche. Del quartetto dei solisti colpisce, per giovanile sfrontata avvenenza, studiata eleganza e perentorietà timbrica degli interventi, Anastasia Bartoli. Il soprano veronese, nonostante la giovane età, è già interprete affermata che bene si destreggia nell’affrontare e, del caso, nell’eludere le molte difficoltà della sua parte. Forse il terribile “in die judicio” del n.8 della partitura, richiederebbe un  maggior corpo, ma l’intuizione interpretativa è già soddisfacente. Nulla si può volere di più di quanto Marianna Pizzolato dà: timbro, tecnica, sensibilità di grande artista. Il mezzo palermitano si conferma una stella di primissima grandezza in tutti i suoi interventi. Arduo, nel panorama attuale, trovare artisti di pari valore. Non sappiamo se per sua scelta o dei compilatori di locandine, ma è rarissimo, purtroppo, vederla ormai calcare le tavole di un palcoscenico italiano. Per i maniaci dell’opera, a cui di principio ci iscriviamo, il rebemolle sovracuto del tenore nel poenas del n.2 (Cujus animam) è sempre oggetto di spasmodica attesa. Dmitry Korchak, recente trionfatore, qui a Torino, in Pollione, non solo l’ha preso bene, a piena voce, ma l’ha anche trionfalmente tenuto a lungo. Tutti gli altri suoi interventi, se pur meno vistosi, sono stati di eccellentissima qualità. Il tempo ha irrobustito ed arrotondato un timbro, originariamente più scabro, che ha acquistato la suadente piacevolezza che gli difettava. Il basso Mirko Palazzi, da anni un’eccellenza del belcanto, convince sia nella sua aria, la n.4 della partitura (Pro peccatis) che nel successivo recitativo n.5 (Eja mater). La zona acuta del pentagramma che a lui, basso vero, non è mai stata particolarmente congeniale, è stata affrontata con tale magistrale consapevolezza da risultare piena ed ampiamente sonora. La morbidezza vellutata del timbro ha poi suggellato l’ottima prestazione complessiva. Il pubblico numeroso, rinforzato da una fitta schiera di fans del soprano, ha applaudito intensamente e con convinzione. Le chiamate in proscenio sono state numerose e hanno gratificato sia i solisti che i due complessi compartecipi della felice riuscita della serata.