Teatro Carlo Felice di Genova: “Manon Lescaut”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’Opera 2021-2022
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica, tratto da “Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut” di Antoine François Prévost.
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut MARIA JOSÈ SIRI
Renato Des Grieux RICCARDO MASSI
Lescaut MASSIMO CAVALLETTI
Geronte di Ravoir MATTEO PEIRONE
Edmondo GIUSEPPE INFANTINO
L’oste CLAUDIO OTTINO
Il maestro di ballo/ Il lampionaio FRANCESCO PITTARI
Il musico GAIA PETRONE
Il sergente degli arcieri MATTEO ARMANINO
Un Comandante di marina LORIS PUPURA
Renato Des Grieux anziano ROBERTO ALINGHIERI
Un parrucchiere SIMONE TUDDA
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Regia Davide Livermore ripresa da Alessandra Premoli
Scene Giò Forma, Davide Livermore
Costumi Giusi Giustino
Luci Nicolas Bovey
Video design D-Wok
Allestimento in coproduzione Fondazione Teatro Carlo Felice Genova/Teatro San Carlo Napoli/Teatro Liceu Barcellona/Palau de les Arts Valencia
Genova, 27 marzo 2022
La produzione genovese di “Manon Lescaut” si avvale di un cast e di un team creativo di altissimo livello: la regia di Davide Livermore (ripresa da Alessandra Premoli) cerca un’interpretazione nuova e intelligente del dramma pucciniano, trasponendolo dal XVIII secolo alla Belle Époque, periodo di scintillio e frenesia culturale, ma anche di ondate migratorie verso gli Stati Uniti d’America. Per dare rilevanza al discusso Quarto Atto, infatti – che da libretto dovrebbe svolgersi nel deserto americano – Livermore trasforma l’intera opera in un flashback che l’anziano Des Grieux (interpretato con convinzione da Roberto Alinghieri), negli anni Sessanta, rivive visitando Ellis Island, il celebre isolotto newyorkese ove per decenni sono approdate le navi cariche di migranti. La scena dunque cambia a tempo di record da stazione ferroviaria francese, a maison di malaffare parigina, gestita da Geronte, a porto di città, fino all’effettiva Ellis Island, ove muore Manon. L’ambientazione traslata, tuttavia, non regge proprio nel Quarto Atto, che presenta un’eccessiva discrasia tra libretto e azione scenica: com’è possibile che proprio allo sbarco tutti gli altri spariscano, che non esistano guardie o poliziotti? Che Manon non venga soccorsa, mentre proprio di fronte a lei sta un’intera famiglia? Il tentativo registico, insomma, non riesce del tutto, e Manon diviene l’ennesima eroina dell’opera che muore non si sa di cosa. In ogni caso il fascino di questa messa in scena può ben avvalersi delle belle atmosfere create dalle luci di Nicolas Bovey e dagli affascinanti costumi di Giusi Gustino – con l’unica eccezione della mise di Manon del Primo Atto, la cui intenzione è quella di far apparire la giovanissima e ingenua fanciulla come una bambola, ma il cui risultato si avvicina pericolosamente alla Baby Jane Hudson di Aldrich. Come già preannunciato, anche la compagine musicale presenta professionisti di altissimo livello. Tra di essi si distingue senza dubbio una Maria Josè Siri in grande forma: in un ruolo dalle molte sfumature liriche e con relativamente slanci drammatici, il soprano uruguaiano sembra essere molto a suo agio, impreziosendo la tessitura con la sua vocalità piena, la sicura proiezione, un fraseggio complessivamente piacevole e godibile; scenicamente ci è parsa un po’ impacciata, dalla prossemica incerta e la mimica stereotipata. Nemmeno Riccardo Massi (Des Grieux) si allontana sostanzialmente da questo dualismo: una bella linea di canto, freschezza vocale, cura del fraseggio (soprattutto nell’atto quarto), ma una presenza scenica poco incisiva, per un ruolo che l’interprete dovrà sicuramente maturare maggiormente. Certamente più disinvolto scenicamente è Massimo Cavalletti nella parte di Lescaut: anche vocalmente, il baritono sa ben connotare il ruolo, e soprattutto il secondo atto c’è parso nelle sue corde; buona prova vocale e scenica anche quella di Matteo Peirone (Geronte). Corretti gli  altri ruoli, tra i quali spicca la bella vocalità tenorile di Giuseppe Infantino (Edmondo). La direzione d’orchestra di Donato Renzetti si rivela un vero asso nella manica per questa produzione: cerca infatti di dare sfogo il più possibile a ogni colore e ogni possibile atmosfera che la ricca partitura pucciniana certo non lesina, dal brioso al lugubre, dalla cupa tensione alle evanescenze sentimentali, fino alla tragedia finale, giustamente a cavallo tra potenza e larmoyant. Il rapporto tra buca e scena è pressoché perfetto, e non solo con i cantanti, a riprova del grande rispetto che il maestro porta ai suoi colleghi dell’apparato creativo. Piuttosto disinvolto in scena, oltreché omogeneo e ben caratterizzato dalla regia ci è sembrato il coro del Teatro Carlo Felice, che ha offerto al pubblico senza dubbio una performance curata e coinvolta. Molto apprezzamento da parte del pubblico, che sembra avere goduto anche delle sontuose ambientazioni a cura dello stesso regista e di Giò Forma, comprensive di treno che entra in scena nel primo atto e transatlantico nel terzo (e che certo lasciano poco al concettuale). La nostra sensazione è invece quella di un qualcosa che manchi, per rendere a “Manon Lescaut” quel tocco magico che Illica, Oliva e Puccini le hanno impresso centovent’anni fa, e che oggi è necessario riproporre al pubblico, onde evitare che l’opera lentamente scivoli nell’oblio.