“Der fliegende Holländer” al Teatro dell’Opera di Stato di Praga

Praga, Teatro dell’Opera di Stato, Stagione 2021-2022
“DER FLIEGENDE HOLLÄNDER”
Opera romantica in tre atti
Libretto e Musica di Richard Wagner
Daland ZDENEK PLECH
Senta ELISABETH TEIGE
Erik ALES BRISCEIN
Mary JANA SYKOROVÁ
Der Steuermann Dalands MATTHEW SWENSEN
Der Holländer JOACHIM GOLTZ
Orchestra e Coro dell’Opera di Stato di Praga
Direttore Richard Hein
Maestro del Coro Adolf Melichar
Regia Ole Anders Tandberg
Scene Ole Anders Tandberg, Martín Černý
Costumi Maria Geber
Luci Ole Anders Tandberg, Åsa Frankenberg
Produzione dell’Opera di Stato di Praga
Praga, 19 maggio 2022

Der fliegende Holländer vanta una tradizione esecutiva eccezionale a Praga, sin da quando brani e sequenze dell’opera vennero inseriti nei programmi dei concerti del Cäcilienverein diretti da Antonín Apt (1815-1887), ancora prima dell’esecuzione completa dell’opera, che data al 1856, all’interno di una speciale settimana wagneriana. L’ultima produzione risale invece al 2008, quando il direttore francese Guillaume Tourniaire diresse il baritono ungherese Michel Kalmandi e il soprano tedesco Maida Hundeling nei ruoli protagonistici. La nuova produzione ha debuttato il 20 gennaio di quest’anno e va ripetendosi nel corso della stagione, come è tipico nei teatri di repertorio. La recita a cui abbiamo assistito non è stata di grande richiamo, perché in platea abbondavano purtroppo le poltrone vuote. Parte del disinteresse si deve forse alla regia di Ole Anders Tandberg, che a dire il vero non presenta idee particolarmente felici o spettacolari. La scena è unica: su di un alto anello rotante e praticabile si ricreano sia la nave di Daland sia l’ambiente sulla terraferma, mentre nella parte inferiore della scena appaiono gli spazi dell’intimità di Senta (che legge in un ponderoso libro le gesta dell’Olandese Volante) o la tensione verso l’abisso dell’equipaggio maledetto. L’economicità della struttura, molto adatta alla versione senza soluzione di continuità, è però pregiudicata dalla scelta di riempire di letti la superficie praticabile dell’anello: ora vi si coricano i marinai ora le compagne di Senta, impegnandosi anche in una battaglia di cuscini. Ovviamente, non c’è traccia visiva di timoni o arcolai: attorno al circolo è il buio, il vuoto, il nulla, cosicché tutta l’attenzione si concentra su quello spazio in quasi incessante movimento. Altro aspetto discutibile è l’uso delle luci, curate dallo stesso regista e da Åsa Frankenberg, poiché gettano improvvisamente fasci di colore da dietro la scena o dall’alto, con modalità discutibili o addirittura intempestive rispetto al fluire musicale. I costumi di Maria Geber sono prevedibili, tranne quello dell’Olandese e del suo equipaggio, che è duplice: al di sotto di un logoro pastrano indossano un abito femminile chiaro, tutto trapuntato di fiori, che li fa apparire come personaggi androgini, forse riflesso della coesistenza di due dimensioni opposte come la tensione verso il male e la necessità di redenzione. Il direttore Richard Hein imposta la propria lettura della partitura insistendo in particolare sulle parti cantabili, dei numeri d’insieme: più che esaltare le componenti sinfoniche (il preludio è stato forse il momento musicalmente più debole) valorizza l’implicazione strumentale del canto: non a caso il momento più felice è senza dubbio la ballata di Senta, in cui la ricerca del cantabile, unitamente all’inquietudine drammatica, riesce alla perfezione (anche grazie alla voce del soprano). Elisabeth Teige, nella parte di Senta, è l’artista che più di tutti è in sintonia con il direttore; in lei tutto è equilibrato, a parte qualche piccola sprezzatura nell’emissione. L’Olandese di Joachim Goltz sfoggia una voce molto sicura, solida nel registro acuto e dal timbro chiaro: è un protagonista perfettamente credibile, anche se accusa qualche debolezza nelle note basse e la sua voce, in generale, non costituisce una “personalità”. Ma questo si nota poco, perché risalta di più la capacità di dare alla linea di canto un’inflessione dolorosa, in particolare nella sequenza iniziale Die Frist ist um. La voce di Daland (Zdeněk Plech) è imponente ma poco ferma; tuttavia riesce molto bene il cantabile del duetto con il protagonista, anche grazie al contrasto timbrico tra i due. Pregevole la prova del tenore lirico Matthew Swensen nella parte del timoniere: corretto nell’impostazione, controllato nell’emissione e dal porgere fine. Oltre a risuonare un po’ acerbo, l’Erik di Aleš Briscein indulge un po’ troppo al portamento o all’emissione parlata nelle note basse. Nonostante i difetti specifici, il terzetto del III atto è stato emozionante, forse anche perché proseguiva la scena corale, molto buona grazie al Coro dell’Opera di Praga preparato da Adolf Melichar. L’esecuzione dei tre atti senza interruzione è sfociata in una serie di applausi convinti per tutti gli interpreti.   Foto © Teatro dell’Opera di Stato, Praga