“Mass” di Leonard Bernstein inaugura la stagione delle Terme di Caracalla

Teatro dell’Opera di Roma Stagione di Opere e Balletti 2021/2022, erme di Caracalla
“MASS”
A Theater Piece for Singer, Players and Dancers. 
Testo di Leonard Bernstein. Versi e testi aggiuntivi di Stephen Schwartz
Musica di Leonard Bernestien 
Celebrant  MARKUS WERBA
Coro, Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione di “Fabbrica” Young Artist Program e della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Diego Matheuz
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Luci Alessandro Carletti
Costumi Carla Teti
Video Filippo Rossi
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Prima rappresentazione in forma scenica in Italia
Roma, 01 luglio 2022
Lo spettacolo scelto per inaugurare la Stagione Estiva del Teatro dell’Opera di Roma tornata finalmente alle Terme di Caracalla si pure in una struttura antistante le maestose rovine è Mass di Leonard Bernstein. L’Opera fu commissionata da Jacqueline Kennedy Onassis per l’apertura del Kennedy Center e il compositore, in omaggio al fatto che J F Kennedy fosse stato il primo presidente cattolico della storia degli Stati Uniti, pensò di ispirarsi alla liturgia della Messa Tridentina. Il testo in latino della Messa funge da cornice strutturale all’interno della quale ai testi contemporanei in inglese viene affidata la critica e la contestazione del rito tradizionale stesso fino a ritrovare nel finale una invocazione alla pace che in occasione della prima assoluta nel 1971 fece desistere il Presidente Nixon dal prender parte alla rappresentazione con una scusa diplomatica per evitare di accendere ulteriori polemiche sulla spinosa, dolorosa e sentita questione della guerra del Vietnam. Lo spettacolo che negli intenti doveva essere pensato per celebrare un Presidente cattolico si rivela un pastiche per in quale il Concilio Vaticano II è passato invano nel quale il latino si alterna all’inglese e financo all’ebraico oggettivamente pervaso da una forza dionisiaca dalla facile immediatezza al quale forse difetta solo il dono della sintesi. Talvolta sarebbe meglio ricordare che “La brevità, gran pregio”. Anche la scrittura musicale spazia dal serialismo dodecafonico a citazioni del grande repertorio sinfonico romantico passando per jazz, gospel, folk, polifonia, rock e quant’altro forse con l’idea sottintesa che la musica in fondo sia tutta bella. Un punto di vista che se storicamente non è condivisibile poiché prescinde completamente dalla comprensione e dalla appartenenza ai contesti culturali nei quali certe musiche furono prodotte ancor meno può esserlo secondo noi in senso religioso. L’opera infatti sembra una messa ma non lo è, usa un testo sacro ma in un contesto laico, a tratti vuol contestare la tradizione ma fino ad un certo punto frenando poi in un pacifismo ingenuo e un po’ a buon mercato che dovrebbe metter d’accordo tutti. Questo ecumenico abbraccio nel quale in apparenza tutta l’umanità dovrebbe essere compresa ed accolta, ricorda un po’ il rozzo umanesimo di Carlo Gerard dell’Andrea Chénier ed è fondato ancora una volta sull’uomo illuminista quale nuova divinità immanente e non su presupposti trascendenti che è stato difficile ritrovare nella composizione. Verrebbe da dire probabilmente andando molto oltre le intenzioni del compositore che come la musica è tutta bella così lo sono anche le varie forme di spiritualità e di religione, argomento quest’ultimo non nuovo e certamente degno di discussione ma forse poco adatto alla celebrazione del primo presidente cattolico della storia degli Stati Uniti d’America. Certo quanto poteva suscitare scandalo o colpire la società americana del 1971 oggi, isolato da quel contesto, appare un po’ datato.
L’odierno allestimento affidato alla regia di Damiano Michieletto ha infatti saputo trovare una cifra completamente originale e slegata da quanto si poteva evincere dal materiale superstite del primo allestimento con una notevole cura dei complessi ed espressivi movimenti scenici, una tensione narrativa sempre vivace ed un ottimo affiatamento con la musica. L’idea del muro divisivo al centro della scena sul quale vengono proiettati i luoghi e le lunghezze in chilometri di tanti altri muri divisori eretti nel mondo anche in siti francamente poco noti e dal cui elenco mancava clamorosamente, o ci è sfuggito nel qual caso ce ne scusiamo, il muro per antonomasia quello di Berlino, di questi tempi fa riflettere e indubbiamente colpisce. Lo spettacolo nella sua voluta confusionarietà strutturale e nel profondo relativismo culturale che esprime ha l’indubbio merito di stimolare una riflessione in un’epoca storica nella quale l’Europa si ritrova a rivivere il drammatico confronto con la morte per la pandemia da un lato che ha rievocato lo spettro delle pestilenze in fondo non così poi tanto lontane e per poi la guerra che mai come in questi mesi abbiano sentito vicina e minacciosa. In quest’ottica onore al compositore e a chi ha inteso riprenderne il lavoro a distanza di anni. In un tempo come questo così narcotizzato da una informazione ridondante e più o meno palesemente strumentale, gli stimoli alla riflessione personale e comunque alla ricerca di una dimensione trascendente, di ampi orizzonti e super partes sono sempre da incoraggiare e le vie percorribili sono talvolta le più impreviste.
Ottimo l’affiatamento del maestro Diego Matheuz con quanto avveniva nella complessa ed articolata messa in scena e nel coordinare le notevoli risorse tecnologiche messe in campo, tra cui ampie parti musicali pre-registrate. Notevole è apparsa la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani e del gruppo delle voci bianche della Scuola di Canto Corale come pure quella  del Corpo di Ballo ampiamente impegnato nel corso di tutto lo spettacolo. Straordinario e molto applaudito il Celebrant di Markus Werba per forza espressiva, musicalità e varietà di colori vocali. Alla fine lunghi ma misurati applausi per uno spettacolo oggettivamente bello e curato, come se il pubblico pur entusiasta non sapesse bene come reagire dopo aver assistito ad una specie di lunga celebrazione. Foto Fabrizio Sansoni