99° Arena di Verona Opera Festival 2022: “Turandot”

99° Arena di Verona Opera Festival 2022
“TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di 
Giacomo Puccini
Turandot ANNA NETREBKO
Imperatore Altoum CARLO BOSI
Timur FERRUCCIO FURLANETTO
Calaf YUSIF EYVAZOV
Liù MARIA TERESA LEVA
Ping GËZIM MYSHKETA
Pong MATTEO MEZZARO
Pang RICCARDO RADOS
Mandarino YOUNGJUN PARK
Il principe di Persia CARLO BOSI
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona Coro di voci bianche Adamus diretto da Marco Tonini
Direttore 
Marco Armiliato
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Luci Paolo Mazzon
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofali
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Verona, 4 agosto 2022
Ultimo titolo del Festival areniano ad andare in scena, ed il quarto a portare la firma di Franco Zeffirelli, Turandot era un appuntamento attesissimo dai melomani e dagli appassionati, in gran parte stranieri che tornano così ad affollare l’anfiteatro veronese. Del resto la spettacolarità dell’allestimento fornisce un valido motivo per non mancare e poi c’è quel Nessun dorma consacrato a suo tempo da Pavarotti e di fatto scorporato dalla stessa opera per la quale l’aria è stata scritta. Turandot, com’è noto, ha avuto una genesi tormentata in quanto Puccini la considerava terminata con la morte di Liù, intesa come sublimazione dell’amore, mentre Toscanini e l’editore Ricordi volevano il lieto fine con il botto. Il compositore lavorò tuttavia a rilento sul finale per circa un anno anche a causa del cancro alla gola che lo condurrà alla morte e non si preoccupò di indicare il possibile collega che avrebbe potuto terminare il suo lavoro. Sempre Toscanini e Ricordi scelsero Franco Alfano, per l’affinità della sua La leggenda di Sakùntala del 1921 con i temi di Turandot, il quale lavorò su bozze ed appunti lasciati da Puccini. Il resto lo sappiamo: l’opera andò in scena al Teatro alla Scala la sera del 25 aprile 1926 ma, giunti alla morte di Liù, dove si era fermata la mano dell’autore, Toscanini depose la bacchetta ed abbandonò il podio. Entrando nel merito dello spettacolo all’Arena di Verona vale la pena, una volta tanto, spendere subito due parole sul pubblico. Mai come in questo festival si è potuto assistere ad un abbruttimento generale, come se il ritorno degli spettatori sulle gradinate dopo le restrizioni degli ultimi due anni avesse resettato i codici di buona educazione e la consapevolezza di trovarsi comunque in un teatro d’opera seppur all’aperto. Signori che arrivano in bermuda e sandali infradito, che parlano durante lo spettacolo, che chattano sui social, che effettuano riprese con lo smartphone arrecando disturbo ottico ai vicini, che si soffiano il naso fragorosamente. Occorre rieducare drasticamente il pubblico magari ricordando al medesimo che l’opera lirica non è un musical né un concerto rock a cui abbandonarsi con urla ed ululati; andrebbe anche riconsiderata la promiscuità, in Arena, di spettacoli di vario genere. Chi scrive auspica una seria presa di posizione in tal senso poiché l’opera all’aperto, oltre alla dignità ha anche una sua liturgìa che va rispettata. La prima di Turandot offriva all’ascolto, ancora una volta, la coppia artistica (e nella vita) Anna Netrebko e Yusif Eyvazov; dopo le perplessità sollevate per Aida si può dire che nel titolo pucciniano gli esiti siano stati decisamente migliori. Turandot, crudele nel suo gelo, è la principessa di ghiaccio; la sua è una parte vocalmente decisa, poco incline all’abbandono elegiaco ed in questo senso il soprano russo è risultata convincente nella sua aura algida e spietata. Sarebbe ingeneroso, per contro, negare una certa pertinenza anche nella metamorfosi in donna innamorata, secondo quel cambiamento che aveva tolto il sonno a Puccini durante la stesura tormentata del finale. Lo stesso si può dire di Eyvazov il cui Calaf è generoso in acuto ma con quella fastidiosa emissione “caprina” che ne compromette le prestazioni; a suo merito va tuttavia una certa ricerca di un canto interiorizzato, che porta a smussare gli eccessi che il ruolo potrebbe indurre per restituirci un principe ignoto coraggioso e spavaldo eppure addolcito dall’amore. Il suo momento di gloria, neanche a dirlo, la celebre aria nel terzo atto (bissata a furor di popolo) risolta con l’acuto strappa applausi che pacifica tutti. Maria Teresa Leva, dotata di un bel timbro e di una voce gradevole all’ascolto, vestiva i panni della dolce Liù; perfettamente a suo agio nel ruolo ha deliziato il pubblico con le celebri Signore, ascolta! e nella scena della morte con Tu che di gel sei cinta toccando vette di lirismo e di sfumature di raro ascolto. Come Timur c’era un navigato Ferruccio Furlanetto, non sempre ineccepibile nell’intonazione e in qualche suono non controllato; ma il mestiere, dopo anni di esperienza, c’è tutto e si sente. Il resto del cast era omogeneo e senza particolari degni di nota, a partire da Carlo Bosi (Altoum e il Principe di Persia), Gëzim Myshketa (Ping), Matteo Mezzaro (Pong), Riccardo Rados (Pang) e Youngjun Park (Mandarino). Dal podio Marco Armiliato ha fornito una lettura viva ed attenta alla complessa partitura riuscendo ad esaltare talune preziosità timbriche ma senza mai perdere di vista il collegamento con il palcoscenico, con la consueta sicurezza che si è potuta riconoscere nella salda quadratura degli assiemi ma anche in taluni abbandoni nell’agogica. Le masse artistiche areniane sembravano quasi aver puntato tutto su Turandot, tanto è risultato tangibile (e persino godibile) l’impegno con risultati sonori talora sorprendenti. Molto bene anche il coro, apparso in forma dopo qualche discontinuità ravvisata in altri spettacoli, creando persino delle rarefatte suggestioni nel primo atto (invocazione alla luna). Corretto e ben inserito il coro di voci bianche Adamus diretto da Marco Tonini. La regia e le scene di Franco Zeffirelli continuano ad affascinare per grandioso sfarzo, soprattutto nel secondo atto quando i pannelli che coprono la scena si aprono per mostrare la reggia e qui hanno gioco facile le luci di Paolo Mazzon che esaltano la magnificenza imperiale. Anche i costumi di Emi Wada, perfettamente integrati nell’impianto scenografico, vestivano di bellezza quanto accadeva sul palcoscenico. I movimenti di scena erano coordinati da Maria Grazia Garofali e Gaetano Petrosino. Repliche il 10, 13, 19, 26 agosto e il 2 settembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena