Lugano, Teatro LAC:”La Traviata”

Lugano, Teatro LAC, Stagione Teatrale 2022-23
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti, su libretto di Francesco Maria Piave, tratto da “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta MYRTÒ PAPATANASIOU
Flora Bervoix SOFIA TUMANYAN
Annina MICHELA PETRINO
Alfredo Germont AIRAM HERNÁNDEZ
Giorgio Germont GIOVANNI MEONI
Gastone LORENZO IZZO
Barone Douphol DAVIDE FERSINI
Marchese d’Obigny LAURENCE MEIKLE
Dottor Grenvil MATTIA DENTI
Giuseppe LUCA DORDOLO
Un domestico di Flora YIANNIS VASSILAKIS
Un commissionario MARCO SCAVAZZA
Orchestra della Svizzera Italiana
Coro della Radiotelevisione svizzera
Direttore 
Markus Poschner
Maestro del Coro Andrea Marchiol
Regia Carmelo Rifici
Scene Guido Buganza
Costumi Margherita Baldoni
Disegno luci Alessandro Verazzi
Movimenti coreografici Alessio Maria Romano
Ombre Teatro Gioco Vita
Nuova Produzione LAC Lugano Arte e Cultura in coproduzione con Orchestra della Svizzera Italiana in collaborazione con LuganoMusica
Lugano, 06 settembre 2022
Il LAC di Lugano inaugura la propria stagione con una produzione della “Traviata” di Verdi, che certo non ha nulla di “provinciale”, anzi riconferma l’autorevolezza teatrale dell’istituzione ticinese. La regia, affidata al direttore artistico della struttura, Carmelo Rifici, gode di una peculiare eleganza, dettata sia dalla specifica attenzione che il regista dedica al rapporto tra i personaggi, sia dall’ardito piano luci di Alessandro Verazzi (a volte forse troppo eccentrico, tanto da lasciare al buio i cantanti), sia dai bei costumi d’epoca di Margherita Baldoni; la scena di Guido Buganza, tuttavia, è di certo la parte meglio riuscita dell’assetto creativo: tutta giocata su veli e sipari di tessuto leggerissimo bianco, estesa anche in profondità, con un secondo piano scandito da una serie di arcate di gusto ottocentesco, essa alterna spazi dal sapore nostalgico a luoghi scarni e tetri (il palazzo di Flora del secondo atto); solamente la presenza di pezzi d’arredo contemporanei non ci convince, anche perché si tratta di pezzi semplici, che anche scelti fra una gamma più tradizionale non avrebbero appesantito l’assetto scenico. Altra trovata peregrina del team creativo è l’inserto dei giochi d’ombre (a cura del Teatro Gioco Vita), che né aggiungono né tolgono alcunché a una regia già di per sé pienamente funzionale, se non forse per le proiezioni inquietanti sull’“Addio del passato”, particolarmente riuscite. Ultimo punto interrogativo sono i ballerini del secondo atto, contemporanei in tutto e per tutto: sebbene la coreografia di Alessio Maria Romano sia affascinante e ben costruita, appare tutto sommato slegata dal resto della scena e dai personaggi, che sembrano subirla, più che interagirvi. Musicalmente parlando abbiamo assistito a performance sorprendenti su vari livelli. La prova di Myrtò Papatanasiou è alquanto alterna: nel primo atto il soprano greco mostra tensioni vocali, in particolare nel finale d’atto, con acuti approssimativi e agilità faticose; la linea di canto è, inoltre, discutibile, con inflessioni veriste fuori luogo. Dal secondo atto, invece, sembra di vedere in scena un’altra interprete: morbidezza espressiva, misurato trasporto, e, cosa più importante, un suono più pulito e dall’emissione più sicura (tensione solo, manco a dirlo, solo all’“Amami Alfredo”); il terzo atto, infine, è cantato con tutti i crismi: filati e mezzevoci eteree, suoni ricchi al servizio di un curatissimo fraseggio (“Addio del passato“ cantato quasi per intero stesa a terra, e comunque ben proiettato e interpretato con perizia). È evidente, quindi, che sia più congeniale alla Papatanasiou un repertorio lirico spinto, piuttosto che leggero, nonostante gli acuti vadano sostenuti meglio. Accanto a lei due ottimi partner: Airam Hernández sfoggia vocalità ampia, suono tondo, fraseggio cesellato, porgere nobile; il colore è forse ancora un po’ chiaro, ma lo smalto degli acuti sembra già promettere un’evoluzione in direzione più corposa. Giovanni Meoni, si riconferma un Giorgio Germont di indiscussa classe e notevole controllo vocale: l’esperienza porta il baritono a mettere il suono luminoso al servizio di un fraseggio molto attento, che ci regala un Germont più umano e sofferto. Complessivamente di valore anche tutto il resto del cast, con una speciale menzione alla bella vocalità dell’Annina di Michela Petrino. La direzione di Markus Poschner, invece, solleva alcune perplessità: la prima riguarda le agogiche utilizzate sui generis, con alcune scene molto rubate (l’inizio del Primo Atto, la scena dell’“Amami Alfredo” nel Secondo), altre decisamente larghe (“Ah se ciò è ver fuggitemi” nel Primo Atto); tuttavia anche le dinamiche sollevano dubbi, specie la decisione di far cantar il “Coro delle Zingarelle” quasi sottovoce – non si capisce se decisione di Poschner o di Andrea Marchiol, maestro del Coro; in altri punti, invece, il problema è l’unità scena-cavea, specie nel Primo Atto, ove l’orchestra sembra trascinare i cantanti. Più in generale la conduzione di Poschner risulta, comunque, poco morbida, sovente cadenzata e, dando largo spazio a ottoni e percussioni, l’orchestra finisce spesso per coprire gli interpreti. Per le ragioni di cui sopra, oltre che per una certa genericità della prova vocale e una scarsa propensione scenica, anche la performance del Coro della Radiotelevisione Svizzera italiana non si può definire entusiasmante. Il dato da rilevare, invece, è lo strardinario successo di pubblico che questa iniziativa sta avendo, riempendo la grande sala del LAC per diverse repliche, e riscaldandola di calorosi applausi per tutti. Foto Luca Del Pia