Bologna, Teatro Comunale: “Andrea Chénier”

Bologna, Teatro Comunale, stagione 2022
“ANDREA CHÉNIER”
Dramma storico in quattro quadri di Luigi Illica.
Musica di Umberto Giordano
Andrea Chénier GREGORY KUNDE
Carlo Gérard ROBERTO FRONTALI
Maddalena di Coigny ERIKA GRIMALDI
Bersi CRISTINA MELIS
La Contessa di Coigny FEDERICA GIANSANTI
Madelon MANUELA CUSTER
Roucher VITTORIO VITELLI
Pietro Fléville STEFANO MARCHISIO
Fouquier-Tinville NICOLÒ CERIANI
Mathieu detto “Populus” ALESSIO VERNA
Un Incredibile BRUNO LAZZARETTI
L’Abate, poeta ORLANDO POLIDORO
Schmidt e maestro di casa LUCA GALLO
Dumas LUCIANO LEONI
Filandro Fiorinelli, musico ANTONIO OSTUNI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttrice Oksana Lyniv
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e video Nicolás Boni
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Daniele Naldi
Coreografie Silvia Giordano
In collaborazione con: Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”, Scuola di Danza Arabesque Bologna.
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 14 ottobre 2022
Il pubblico armeggia con i pieghevoli: è stata svelata la nuova stagione. Ma intanto incomincia lo Chénier, una nuova produzione. Il protagonista è ancora una volta il “Re dei due Otelli”, Gregory Kunde, che aggiunge un nuovo e saporito boccone al nutrito spiedino felsineo. Artista consumato, un pochino anche in senso letterale, consunto, spremuto, è tuttavia un cantante di grande vigoria e inarrestabile inopinata rifiorenza. Eponimo mica per niente, è un ruolo che dà molte occasioni di sedurre e altrettante di scivolare. L’improvviso sembra un po’ spento, o forse erano le aspettative ad esser troppo alte. Stabile la tendenza a masticarsi i suoni sullo sfumare del fiato; la voce pare spezzata in segmenti, divisi a seconda della posizione d’emissione, più o meno cerebrale, più o meno in maschera, più o meno laringea, e si avverte lo scatto dall’una all’altra. Tutte cose che notoriamente accadono alle voci molto estese. Ma poi, tipico kundiano, dal primo duetto inizia un’ascesa che si fa impennata col Sì, fui soldato fino al culmine del bel di di maggio, quando si spegne il firmamento e si riaccende la primavera per la voce di Kunde. Che, a proposito di primavere, ne ha viste sessantotto. Talvolta è coperto dall’orchestra, come tutti i suoi colleghi, e come la stessa orchestra: potrà sembrare un paradosso ma non lo è affatto. La scrittura orchestrale di Giordano è ricchissima, ed altrettanto elaborata, tale da necessitare di una straordinaria trasparenza per essere intellegibile, e quindi apprezzabile. Questo è possibile solo se le sezioni si ascoltino a vicenda, senza assecondare un generico e superficiale impeto espressivo che spinge nel precipizio del roboante, del tonitruante. Che più suono significhi più espressione, equivoco tanto diffuso quanto tragico. Si dovrebbe invece giocare di più ritardando e stringendo per chiaroscurare l’effetto drammatico: elasticità, leggerezza, sense of humor ed eleganza ci vogliono. Insomma, ammirata altrove, per questo repertorio Oksana Lyniv non può certo essere reputata un interprete di riferimento. L’emissione di Roberto Frontali è sempre correttamente salda in maschera, per questo forse ricorda certi baritoni muggenti del glorioso passato. L’interprete è tutto sommato convincente anche se un po’ troppo assestato sull’arcigno, sul rancoroso: certo che è fondamentalmente un cattivo, Gérard, però ha anche frasi di tenera umanità.
Erika Grimaldi completa il triangolo con voce tonda e non avara di armonici, che corre per il teatro seppur non di enormi dimensioni. Talvolta scopre un leggerissimo e fittissimo vibrato, tal altra sfoggia bei suoni di petto declamando con grande controllo e chiara dizione. L’interpetazione non è illuminante né memorabile ma non manca di nulla. Il resto del cast è molto dignitoso ed omogeneo, tutti deliziosamente disinvolti in scena, come il sempre ottimo coro.
La nuova produzione è forse quella che ha ricevuto più applausi. Definirla fedele alle didascalie del libretto sarebbe riduttivo, perché un lavoro sul testo c’è, ma che lo rispetta e non lo stravolge. Per esempio il primo atto, così breve, è un prologo che sta in un quadretto incorniciato, circondato di macerie bruciate, ed anche i lussuosi abiti, in stile Maria Antonietta, sfumano nel caliginoso. Le proiezioni sono veramente molto ben costruite e animate, ma l’occhio moderno, ben abituato agli schermi di ogni genere, ne coglie subito la bidimensionalità. Nonostante il trucco invero molto intelligente di sporcarle con un finto fumo animato. La più riuscita è senza dubbio quella dell’ultimo atto, con l’aurora che colora progressivamente il cielo. Sull’allestimento aleggia un’aria un po’ alla “Hugo de Ana”, per capirci. In definitiva uno spettacolo sontuoso ma elegante, non pomposo. Ecco, finalmente possiamo tornare a sfogliare il pieghevole della nuova stagione… Repliche fino al 23 ottobre. Foto Andrea Ranzi