“Il Crogiuolo” di Arthur Miller al Piccolo Teatro Strehler di Milano

Milano, Piccolo Teatro Strehler, Stagione 2022/23
IL CROGIUOLO”
di Arthur Miller
Abigail Williams VIRGINIA CAMPOLUCCI
Susanna Walcott/ Anne Putnam GLORIA CAROVANA
Thomas Putnam/ Giudice Hathorne PIERLUIGI CORALLO
Giles Corey GENNARO DI BIASE
Rev. Parris ANDREA DI CASA
John Proctor FILIPPO DINI
Mercy Lewis DIDI GARBACCIO BOGIN
Francis Nurse/ Herrick PAOLO GIANGRASSO
Tituba FATOU MAISERT
Rebecca Nurse/ Elizabeth Proctor MANUELA MANDRACCHIA
Vicegovernatore Danforth NICOLA PANNELLI
Rev. Hale FULVIO PEPE
Betty Parris VALENTINA SPALETTA TAVELLA
Mary Warren CATERINA TIEGHI
Ezekiel Cheever ALEPH VIOLA
Regia Filippo Dini
Scene Nicolas Bovey
Costumi Alessio Rosati
Luci Pasquale Mari
Musiche Aleph Viola
Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale con il sostegno della Fondazione CRT
02 novembre 2022
Le molto attese recite milanesi de “Il crogiuolo” di Arthur Miller si risolvono in una delusione abbastanza cocente. Filippo Dini, infatti, pur avvalendosi del bell’impianto scenico di Nicolas Bovey, dei validi costumi di Alessio Rosati e soprattutto delle splendide luci di Pasquale Mari, sembra proprio non aver capito a fondo lo spirito che ha mosso Miller nella composizione di questo monumentale testo, cercando di sfuggirvi in ogni modo possibile. In primis il principio con la danza “satanica” delle ragazze affievolisce non di poco la tensione che il primo atto dovrebbe creare in crescendo fino alla confessione di Tituba – ma consente velleitari esercizi da laboratorio al suono di musica tribale; poi abbiamo le diatribe religiose dovute all’esasperazione del calvinismo, ridotte a beghe da riunioni condominiali, gestite con i ritmi della commedia, come anche l’incomunicabilità di coppia dei Proctor (e mai avremmo potuto pensare di sentire il pubblico ridere di gusto a una replica de “Il Crogiuolo”). Anche qui, si è, insomma, operata in più punti una diminutio, un abbassamento del tono gravissimo, tragico e anche cerebrale dell’originale per fare maggior presa sul pubblico. In alcuni punti ci si abbandona all’uso di microfoni, l’attrice che interpreta Tituba canta anche due canzoni rock, l’attore che interpreta Cheever suona l’inno americano con la chitarra elettrica, e tutti, irreparabilmente, urlano, ringhiano e abbaiano per due ore e mezza. Qualcosa (a parte l’impianto scenico) si salva: l’intensa interpretazione di Elizabeth Proctor fornita da Manuela Mandracchia – cui, tuttavia, l’adattamento taglia la battuta finale, che dà un senso al suo stesso personaggio, ma glissons – mentre più generica è la sua resa di Rebecca Nurse; il vicegovernatore Danforth (Nicola Pannelli) su una sedia a rotelle che funge da narratore – mentre quando è in piene forze, dispiace dirlo, Pannelli aderisce al cliché del rabbioso urlante; la Tituba di Fatou Maisert, per quanto stereotipata, ha senza dubbio molto fascino, grazie alla sinuosa e consapevole fisicità dell’attrice, oltre che alla sua voce contraltile; senza dubbio tra il cast delle “bambine” spicca Caterina Tieghi, una Mary Warren totalmente aderente alla parte, in grado di passare dal larmoyant al grido selvaggio (per una volta, da copione) conservando una profonda credibilità. Dispiace invece constatare come l’Abigail Williams di Virginia Campolucci sia acerba dal punto di vista attorale, con un uso della voce non idoneo e una gamma espressiva molto limitata; il John Proctor dello stesso Dini, invece, incarna nel bene e nel male tutte le caratteristiche della regia: un’interpretazione molto naturale e spigliata, ma spesso fraintesa o esasperata – come nel dialogo finale con Elizabeth, ove risulta inebetito dalle torture subite, ma incoerentemente alla parte, che lo vorrebbe fedele a se stesso. La vera domanda che resta allo spettatore è: cos’è il Diavolo, in questa versione, l’America? E perché, in un momento internazionale tanto delicato, accanirsi in una denuncia dell’americanismo, che peraltro scricchiola in più punti del testo (giacché Miller contestualizza a fondo le sue parole nel Massachusetts del 1692)? Per quale ragione queste ragazzine invasate vogliono far fuori mezzo paese? Sono domande che nel “Crogiuolo” di Miller trovano risposte, che invece in questo adattamento si perdono tra un cast poco credibile che sembra impegnarsi di più a cantare sul finale “The House of the Rising Sun” che a conferire spessore ai propri ruoli. In questa stessa ottica, registriamo, infine, un’ultima – grave – mancanza: non si può, nel XXI secolo, non saper pronunciare i nomi dei personaggi che si portano in scena. Foto Luigi De Palma