Milano, Teatro alla Scala: “Fedora”

Teatro Alla Scala, Stagione Lirica 2021/2022
“FEDORA”
Opera in tre atti su libretto di Arturo Colautti
Musica di Umberto Giordano
La Principessa Fedora Romazov SONYA YONCHEVA
La Contessa Olga Sukarev SERENA GAMBERONI
Il Conte Loris Ipanov FABIO SARTORI
De Siriex GEORGE PETEAN
Dimitri CATERINA PIVA
Un piccolo Savoiardo REBECCA CALOBRISI*
Desiré GREGORY BONFATTI
Il Barone Rouvel CARLO BOSI
Cirillo ANDREA PELLEGRINI
Borov GIANFRANCO MONTRESOR
Gretch ROMANO DAL ZOVO
Lorek COSTANTINO FINUCCI
Nicola DEVIS LONGO
Sergio MICHELE MAURO
Michele RAMTIN GHAZAVI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Nuova produzione Teatro Alla Scala
Milano, 27 ottobre 2022
Con Fedora prosegue alla Scala il percorso di riscoperta di Umberto Giordano, dopo La Cena delle Beffe e l’Andrea Chénier proposto per la Prima di Sant’Ambrogio 2017/2018. Come nelle due occasioni precedenti la regia è affidata a Mario Martone, già presente nel cartellone della stagione corrente con il suo ultimo controverso Rigoletto (ne abbiamo scritto qui). Ancora una volta divisivo come ci ha abituato ad essere, il cineasta napoletano ci propone una Fedora avvincente e coinvolgente sotto ogni punto di vista, per cui troviamo francamente immeritate le contestazioni di rito registratesi al suo indirizzo la sera della Prima. L’intrigo filmico tra l’azione e il thriller, l’intreccio di passione e religione, le tinte noir che impregnano il soggetto tratto dall’eponimo dramma di Sardou: tutto si presta ottimamente alla resa cinematografica della sua lettura, tra tagli della scena in sedici noni e figuranti che con discrezione danno vita a una serie di flashback, andando ad arricchire la narrazione e lo sviluppo della vicenda. Tratto distintivo della produzione sono inoltre le numerose e ponderate citazioni da opere di Magritte, una scelta tranchant ma di grande suggestione, capace di astrarre la solida concretezza di matrice verista e sublimandola ossimoricamente nel surreale, in una sorta di spazio-tempo sospeso in cui fluttuano i protagonisti. Riconosciamo dunque Gli amanti nelle teste velate di Vladimiro e Wanda, L’Impero delle Luci nelle soffuse tinte crepuscolari del secondo atto parigino, culminando nell’inequivocabile e fedelissima riproduzione vivente de L’Assassino Minacciato, che diventa inquietante teatro del finale ultimo e si sposa perfettamente con quanto raccontato in scena. Fondamentale nel realizzare uno spettacolo di questo tipo è il supporto di un team ormai ampiamente rodato, a partire dagli spazi contemporanei e minimalisti progettati da Margherita Palli con la consueta maniacale cura di ogni dettaglio (su tutti la riproduzione pittorica appena citata, con i suoi monti sullo sfondo, la dormeuse rossa posizionata in obliquo, il grammofono in primo piano sul tavolino in legno, il tutto incorniciato da un’asettica stanza spoglia e grigia). Molto curati e funzionali anche i costumi di Ursula Patzak, come anche le belle luci di Pasquale Mari generalmente soffuse e d’atmosfera ma anche incisive all’occorrenza, come i due raggi netti che illuminano soltanto il crocifisso tra le mani della protagonista nella Scena del Giuramento, avvolta nella completa oscurità. A nulla varrebbe però uno spettacolo così ben confezionato senza una prova orchestrale di eccellente livello, come anche la prestazione fondamentale della protagonista, elementi centrali su cui pesa quasi interamente la riuscita di un’opera affascinante e complessa come Fedora.
Le attese non sono deluse, a partire dalla direzione avvolgente di Marco Armiliato, qui al suo debutto scaligero. Densità di colori, agogica mai banale, dinamiche sempre funzionali alla narrazione, dalla crudezza percussionistica dei passaggi più enfatici alle parentesi estatiche di seducente lirismo, particolarmente struggenti nello straordinario Intermezzo del secondo atto.
Sonya Yoncheva affronta il ruolo del titolo con tutto il carisma della Primadonna, forte di una magnetica padronanza sia della scena sia del mezzo vocale, a dispetto di una tessitura apparentemente grave per le sue corde eppure costantemente in controllo fino ai frequenti gravi sul confine del mezzosopranile, sempre e comunque pieni e corposi. La sua è una Fedora sanguigna e appassionata sin dalla prima aria “O grandi occhi lucenti di fede!”, in cui tuttavia riesce ad alternare grande generosità di volume a note sospese sussurrate a fil di voce (pensiamo alla chiusura sul verso “comincia un’altra vita in me”). Altrettanto intensi sono gli incisi declamati, impiegati con oculatezza drammatica senza mai risultare sopra le righe, come nello straziante finale “Dio di giustizia…Tutto tramonta, tutto dilegua”. Al suo fianco ascoltiamo il solido e affidabile Loris di Fabio Sartori, scritturato per le ultime quattro recite non coperte da Roberto Alagna. L’arma vincente del tenore trevigiano sta certamente più nello squillo e nella muscolarità dello strumento più che nella raffinatezza interpretativa, complessivamente piuttosto avaro di accenti o brillanti sfumature nel fraseggio. La sua “Amor ti vieta” è comunque cantata con convinzione e trasporto, accattivandosi facilmente i favori del pubblico. Frizzante al punto giusto l’Olga di Serena Gamberoni che sa prendersi la scena nel secondo atto con grande personalità vocale e scenica, disimpegnandosi molto bene nel lied francese “Il Parigino è come il vino” e nella cosiddetta Aria della Bicicletta del terzo atto, interpretate entrambe con brio e disinvoltura. Ottimo il De Siriex di George Petean, brillante intrattenitore nella canzonetta “La donna russa è femmina due volte” ma altrettanto convincente nel ruolo di confidente e amico, negli scambi più cupi con Olga e Fedora. Coperte più che decorosamente anche le numerose parti di fianco, con una menzione d’onore per la calda voce bianca di Rebecca Calobrisi che nel finale intona splendidamente “La montanina” del piccolo Savoiardo. Sempre puntuale il Coro diretto da Alberto Malazzi. Al termine vivo successo per tutti i protagonisti e per il Maestro Armiliato, con il tributo convinto di una Scala gremita in ogni ordine di posto. Foto Brescia & Amisano