Venezia, Teatro La Fenice: Myung-Whun Chung apre la nuova Stagione Sinfonica

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Zuzana Marková
Mezzosoprano Marina Comparato
Tenore Antonio Poli
Basso Luca Tittoto
Corno obbigato Andrea Corsini
Wolfgang Amadeus Mozart: Vesperae solennes de confessore in do maggiore per soli, coro e orchestra K 339; Gustav Mahler: Sinfonia n. 5.
Venezia, 3 dicembre 2022
Serata inaugurale della Stagione Sinfonica 2022-2023 del Teatro La Fenice: sul podio – dopo aver aperto la nuova Stagione Lirica con Falstaff – ancora Myung-Whun Chung. Due i titoli in programma: le Vesperae solennes de confessore di Wolfgang Amadeus Mozart e la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler, due composizioni separate da una grande distanza temporale – la prima risale alla fine del Settecento, la seconda ai primi del Novecento – ma accomunate dall’importanza che in entrambe assume il contrappunto. Mirabile la lettura, da parte del maestro coreano, dell’ultima composizione sacra di Mozart, prodotta quando l’autore era al servizio del Vescovo di Salisburgo Hyeronimus Colloredo, in un periodo umanamente difficile, ma anche artisticamente fecondo. Il gesto essenziale, ma di fulminea chiarezza, di Chung ha guidato l’orchestra e il coro – davvero inappuntabili come i quattro solisti, tutti dotati di un eccellente controllo dei propri mezzi vocali – affrontando i sei numeri della partitura, in cui lo stile severo del contrappunto e lo stile galante convivono dialetticamente. Nel Dixit si è imposto, per fraseggio e compostezza stilistica il coro, mentre i solisti hanno validamente intessuto i loro dialoghi nel Confitebor. Il soprano ha poi brillato intonando il lungo vocalizzo in terzine nel successivo Beatus vir, caratterizzato da un uso misurato dell’elemento contrappuntistico. Il coro è tornato a dominare nel Laudate Pueri, affrontando con rigore il serrato contrappunto, mentre nel Laudate Dominum il soprano ha reso con espressività la melodia a lei affidata e ripresa dal coro. Nel Magnificat il coro, dopo aver reso il clima raccolto della breve introduzione, ha interagito validamente con i solisti. Grande apprezzamento, per questa esecuzione, da parte del pubblico.
La puntuale, pregnante chiarezza del gesto direttoriale ha anche scandito con straordinaria efficacia espressiva l’esecuzione della Quinta sinfonia di Mahler, una partitura, che non può essere compresa appieno, se si prescinde dalla sua ricchezza di significati extramusicali, in primis la tensione dialettica tra Morte e Vita.
Composta tra il 1901 e il 1902, la Quinta inaugura una nuova serie di lavori sinfonici, in cui – diversamente dai tre precedenti – non vi è più la presenza di un Lied. Non si tratta, comunque, di musica assoluta e neanche di musica a programma: è noto che l’autore finì per sconfessare anche i programmi da lui stesso, in un primo momento, proposti per le sue precedenti sinfonie. Nondimeno alla mancanza di un programma supplisce la totale chiarezza strutturale della partitura, in cinque movimenti, riducibili, per ammissione dell’autore stesso, in tre parti – la prima delle quali data dall’accorpamento dei due movimenti iniziali –, intese come tappe del percorso evolutivo dalla Morte alla Vita.
Tornando all’interpretazione di Chung, il maestro coreano è riuscito ad esprimere con opportune scelte, afferenti a un’ampia gamma agogica e dinamica, contrasti e sfumature, in un avvicendarsi di climi emotivi spesso contrapposti e determinati da una “logica”, che poco attiene a una sintassi di ordine musicale, in quanto è una “logica del cuore”. La sensibilità e la forza, insite nel gesto direttoriale, hanno trovato piena rispondenza nell’orchestra, cui sono richiesti non di rado interventi di tipo solistico.
In particolare la prima tromba ha brillato nel celebre assolo, che apre la sinfonia, preannunciando la Trauermarsch: una fanfara – variamente ripetuta nel corso del primo movimento – che, partendo da una serie di memorabili terzine “in levare” – scandite con una precisione che non sempre si ascolta –, ha evocato, in modo “teatrale”, un’atmosfera funerea. È seguita una pacata melodia, intonata con perfetta coesione da violini e violoncelli: un pianto sommesso e rassegnato, che più avanti avrebbe assunto i tratti di un lacerante urlo di dolore, preannunciando il clima tempestoso del successivo Stürmisch bewegt.
In quest’ultimo – aperto da un breve ostinato dei bassi, seguito da un motivo serpeggiante su scale ascendenti e discendenti – si è particolarmente apprezzato lo smalto perlaceo dei primi violini, nell’esposizione del primo tema, al pari del suono morbido dei violoncelli, nel delineare il secondo tema molto più lento, citazione quasi letterale, dell’episodio cantabile dell’iniziale Trauermarsch. Tutta l’orchestra è, successivamente, intervenuta con estremo vigore nella successiva sezione, di una violenza espressiva pressoché sconosciuta al repertorio sinfonico precedente. Poi, dopo l’ottimistica ripresa, le armonie degli ottoni sono risuonate nell’inno trionfale – un corale, alla maniera di Bruckner – proposto da Chung con particolare solennità, dilatando i tempi: un’effimera vittoria, prima che risuoni l’urlo di dolore del precedente movimento, seppur sempre più debole, fino al colpo secco in pianissimo dei timpani.
Il corno obbligato si è imposto nell’esteso Scherzo del tutto estraneo alla tematica svolta dalla prima parte della sinfonia, e perciò distanziato da una lunga pausa. Si tratta di uno Scherzo sui generis, privo di ogni intento parodistico, caratterizzato da una complessa elaborazione tematica e da ripetuti interventi del corno obbligato, che nel nostro caso si è positivamente segnalato per intonazione e qualità del suono, fin dal danzante tema iniziale, di origine popolare. Di notevole suggestione è risultato l’Adagietto – pausa meditativa di intenso lirismo; malinconica accettazione dell’esistente –, di cui Myung-Whun Chung ha saputo rendere con intensità il carattere estenuato.
Un essenziale intervento del corno ha collegato all’Adagietto il successivo Rondò, dove hanno brillato varie sezioni dell’orchestra: i legni con i loro interventi “sospesi”, in apertura di movimento, che sono sfociati nell’inno in forma di corale bruckneriano del secondo movimento; gli archi, che si sono segnalati nella vivacissima fuga, oltre che nella rievocazione, in forma di variazione, del tema cantabile dell’Adagietto; gli ottoni, che hanno ripreso il già citato corale, che Chung ha reso con indimenticabile, emozionante solennità, portandolo in primo piano nella parossistica sezione conclusiva della sinfonia. Applausi ed ovazioni incontenibili al direttore e ai musicisti.