Camille Saint-Saëns: “La Princesse jaune” (versione 1896) – “Mélodies persanes” (versione 1891)

Opéra-comique in un atto su libretto di Louis Gallet. Judith van Wanroij (Léna), Mathias Vidal (Kornélis), Anaïs Constans (Une Voix). Mélodies persanes. Ciclo di mélodies per orchestra su testi di Armand Renaud. Philippe Estèphe e Jérôme Boutillie (baritoni), Anaïs Constans e Axelle Fanyo (soprani), Artavazd Sargsyan (tenore), Éléonore Pancrazi (mezzosoprano). Orchestre national du Capitole de Toulouse, Leo Hussain (direttore). Registrazione: La Halle aux Grains (Toulouse), 11-13 febbraio 2021. 1 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane. BZ145
Camille Saint-Saëns e la buona sorte di rado si sono incontrati specie quanto si trattava di mettere in scena le nuove opere uscite dalla penna del compositore. Il primo tentativo teatrale “Le timbre d’argent” aveva visto il suo battesimo stroncato dalla disfatta di Verdun e dalle conseguenze della guerra franco-prussiana, “Samson et Dalila” – oggi ritenuto il suo capolavoro assoluto – aveva trovato le porte dei teatri francesi sistematicamente sbarrate fino al 1890 quando riuscì ad andare in scena sul palcoscenico in fondo provinciale di Rouen avendo circolato in quegli anni praticamente solo negli stati tedeschi.
Il debutto teatrale si era potuto realizzare solo nel 1872 sul palcoscenico dell’Opéra Comique in occasione della presentazione di tre atti unici di diversi compositori. Al fianco di “Djamileh” di Bizet e “Le Passant” di Paladhile trova spazio anche “La princesse jaune” del nostro compositore. Accolta freddamente dalla critica – che l’accusò incomprensibilmente di wagnerismo – l’opera trovò la sua completezza – a seguito di un’apposita revisione – solo nel 1896 in occasione di una ripresa a Bruxelles.
L’operina – neppure un’ora di musica in totale – può essere accusata di tutto tranne che d’influenze tedesche o peggio ancora wagneriane. É infatti un piccolo gioiello di leggerezza tutta parigina innestata di quelle suggestioni esotiche all’epoca tanto di moda in Francia. L’Esposizione Universale del 1877 aveva scatenato a Parigi un’autentica mania per il Giappone e la sua cultura e alla moda delle giapponeserie si rifà esplicitamente qui Saint-Saëns.
L’opera si svolge in Olanda – l’unico paese europeo che fin dal 1637 aveva avuto l’autorizzazione a mantenere contatti commerciali con il Sol Levante – dove il pittore Kornélis si è follemente innamorato del ritratto di una dama giapponese cui ha dato il nome di Ming ignorando totalmente l’affetto che per lui nutre la cugina Lena. Il pittore nel frattempo ha cominciato a far uso di droghe e sotto l’effetto della kokha ha una visione in cui si vede trasportato in Giappone e dove può finalmente dichiarare il suo amore a Ming. Questa altri non è però che la stessa Lena che ha indossato un abito giapponese. Alla fine superati gli effetti della droga Kornélis si renderà conto di quanto vissuto rinunciando alle suggestioni esotiche e accettando l’amore più quotidiano ma più reale di Lena.
La musica pur senza raggiungere vette da autentico capolavoro è di estrema gradevolezza e la scrittura orchestrale di Saint-Saëns di grande originalità per l’epoca.  Quello del compositore è un esotismo frutto di studio e di conoscenze. L’orchestrazione da ampio spazio a strumenti di tradizione orientale – specie nel settore delle percussioni – così come l’ampio uso della scala pentatonica danno alla musica un sapore autenticamente giapponese.
L’opera si presenta come un atto unico con una mezza dozzina di brani musicali alternati a recitativi parlati – di cui uno in forma di melologo – due soli personaggi e un paio di brevissimi incisi corali.
L’Opéra di Toulouse in collaborazione con la Fondazione Bru Zane ha realizzato nel 2021 un’esecuzione dell’opera destinata alla registrazione discografica. Quella presentata è l’edizione definitiva del 1896 e viene e riempire un vuoto discografico mancando ancora una registrazione ufficiale dell’opera. La cattiva sorte non ha però smesso di seguire i passi di Saint-Saëns e le problematiche relative all’emergenza covid hanno imposto alcuni sacrifici – il coro femminile è stato sostituito dagli interventi di due soliste – con Anaïs Constans ad affiancarsi alla van Wanroij – e si è proceduto a qualche taglio nei parlati.
Il risultato è però ugualmente godibile e permette di farsi una precisa idea dell’opera. Leon Hussain dirige benissimo e fornisce della partitura una lettura leggera, brillante, piena di gioia e vitalità. Il direttore accompagna con piglio sorridente e bonario il melodismo di Saint-Saëns ma allo stesso tempo valorizza la qualità dell’orchestrazione, l’originalità timbrica e armonica che del lavoro è forse il tratto più moderno e ispirato.
Mathias Vidal conferma ancora una volta le sue qualità. Voce chiara, musicalissima, squillante, gusto e musicalità impeccabili acuti facile e naturali, perfetta dizione. Oltre a cantare in modo impeccabile Vidal è molto bravo a rendere il tono sognante del canto di Kornélis perso nelle sue fantasie e nei suoi paradisi artificiali. Lena rappresenta con il suo solido buon senso il perfetto contrappunto alle fantasie dell’innamorato. Judith van Wanroij la ricordavamo come specialista dei ruoli aulici della tragédie lyrique neoclassica e ci ha positivamente sorpreso in un ruolo da essi così lontano. Un po’ di prudenza nel bolero iniziale si percepisce ma poi la prestazione va in crescendo. La cantante olandese coglie il lirismo appassionato e combattivo di Lena in modo ammirevole ed ha il suo momento culminante nel bel duetto con Kornélis dove la sua sincerità affettiva finalmente prevale sui sogni di lui.
La brevità del titolo ha spinto ad arricchire la proposta con una registrazione della cantata Mélodies persanne una raccolta di mélodies originariamente pensata per canto e pianoforte nel 1872 e riscritta nel 1891 come ciclo unitario per voce e orchestra sul modello di “Les nuits d’été” di Berlioz.
Il tema conduttore è ancora quello dell’orientalismo e dell’evocazione sonora di mondi lontani. I versi di Armand Renaud – di qualità molto variabile nei singoli brani – s’ispirano a luoghi e temi di una Persia immaginaria e la scrittura di Saint-Saëns ritrova quei modi della tradizione musicale vicino-orientale e islamica che sempre lo avevano interessato. L’esecuzione proposta affida i singoli brani a cantanti diversi: due baritoni Philippe Estèphe e Jérôme Boutillier, due soprani Anaïs Constans e Axelle Fanyo. Il tenore Artavazd Sargsyan e il mezzosoprano Éléonore Pancrazi. La scelta di diversificare gli interpreti compromette un poco l’unitarietà della composizione ma bisogna riconoscere che tutti gli esecutori sono molto bravi. Tra i vari brani si possono segnalare “La brise” con il canto morbido ed etereo di Estèphe; il carattere drammatico e molto teatrale di “La Splendeur vide” robustamente interpretata da Boutilier e “Au cimetière” il cui carattere misterioso è perfettamente colto dalla Constans.