Modena, Teatro Comunale Pavarotti Freni: “Pelléas et Mélisande”

Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Stagione 2022/2023
“PELLÉAS ET MÉLISANDE”
Dramma lirico in cinque atti e dodici quadri su libretto di Maurice Maeterlinck
Musica di Claude Debussy
Mélisande KAREN VOURC’H
Pelléas PHILLIP ADDIS
Golaud MICHAEL BACHTADZE
Arkël VINCENT LE TEXIER
Geneviève ENKELEJDA SHKOZA
Yniold SILVIA FRIGATO
Un medico, un pastore ROBERTO LORENZI
Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini”
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Marco Angius
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Regia ripresa da Florence Bas
Luci Guy Simard
 riprese da Andrea Ricci
Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza.
Allestimento Fondazione Teatro Regio di Parma
Modena, 22 gennaio 2023
L’allestimento Barbe & Doucet del Pelléas et Mélisande, “nato” per il Regio di Parma ma “morto” quasi subito per l’inizio della pandemia, incontra finalmente il pubblico al Comunale di Modena. Un’altra produzione, scaligera, ha avuto lo stesso destino: in prova quando sono arrivate le prime chiusure, dirottata in televisione, ripresa a inizio 2023. E, curiosamente, si possono osservare interessanti analogie anche artistiche.
Visivamente assai ben fatto e benissimo illuminato (luci di Guy Simard riprese da Andrea Ricci) lo spettacolo respira con due polmoni. Il primo è quello della fedeltà all’atmosfera del libretto: acqua, fontane, buî e luci, foreste, capelli, torrioni, insomma l’Allemonde incantato cristallizzato in un medioevo fantastico. Il secondo lo si potrebbe chiamare con un gioco di parole: I dolori del giovane Pelléas. Abiti a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo, pur con effetti materici tipo vernice scrostata, puzzano di morale borghese, quella che impedisce di vedere il cielo alle ragazze perbene, cui non resta che la consolazione della suocera: la capisce bene, lei che è da più di quarant’anni che il cielo non lo vede e, assicura, ci si può abituare. Oppure del fratello minore del marito (di lei un po’ troppo più maturo, e sposato quand’era ancora bambina), un giovinotto sensibile che certamente ama leggere i poeti, più o meno maledetti che siano, alla luce della luna, e che un poco meno ama pettinarsi. E allora tutto il suggestivo apparato simbolista cade in frantumi rivelando inequivocabilmente un quadro ben più prosaico e quotidiano, almeno per gli anni degli Autori. La direzione disincantata di Marco Angius non fuga il mistero: ne cambia i connotati, da mistero magico del simbolismo calligrafico di fine ottocento a mistero asciutto ed inquieto di primo Novecento, carico di presagi. Se non si può dire che si tratti di una rarità, certo non è opera di frequente ascolto, né tantomeno di facile esecuzione (la facilità, secondo un motto di Gavazzeni, è una categoria che in Musica non esiste) e in ogni caso appartenente ad un universo assai distante dal repertorio e dal gusto italiano: e dunque onore all’ottima prova della Toscanini. Come le sfere luminose sull’acqua, il cast, complessivamente dignitoso e generosamente premiato dal pubblico, galleggia sull’orchestra che, come da intenzione dell’Autore, completa il testo (e il canto) con quanto d’ineffabile non può che mancargli. Foto Rolando Paolo Guerzoni