Novara, Teatro C. Coccia: “Il trovatore”

Novara, Teatro Carlo Coccia, stagione 2023
“IL TROVATORE”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Leonora SARA CORTELEZZIS
Manrico GASTON RIVERO
Conte di Luna JORGE NELSON MARTINEZ GONZÁLES
Azucena CARMEN TOPCIU
Ferrando DEYAN VATCHKOV
Ruiz FRANCESCO MARSIGLIA
Ines YO OTAHARA
Un vecchio zingaro ANDREA GERVASONI
Un messo DAVIDE CAPITANO
Ballerina CLAUDIA DI LORENZO
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro As.Li.Co.
Direttore Antonello Allemandi
Regia Deda Cristina Colonna
Scene e costumi Domenico Franchi
Novara,  22 gennaio 2022
La stagione 2023 del Teatro Coccia di Novara si apre nel segno di Verdi e con una proposta decisamente coraggiosa essendo sempre un azzardo allestire un’opera come “Il trovatore” quint’essenza del melodramma ottocentesco italiano e banco di prova da far tremare i polsi a qualunque interprete. Il coraggio è stato premiato solo parzialmente e questa produzione ci è parsa nel complesso meno soddisfacente rispetto alle ultime produzioni allestite ma il coraggio di rischiare un titolo così complesso ma comunque apprezzato.
La parte musicale è stata affidata a una bacchetta di sicura esperienza come Antonello Allemandi qui alla guida dell’Orchestra filarmonica italiana. Quella proposta è una lettura tradizionale – purtroppo anche nei tagli con le cabalette eseguite sempre senza da capo ma almeno con la riapertura del taglio di “Tu vedrai che amore in terra” di buon mestiere e attenta all’accompagnamento delle voci. Una lettura che non cerca particolari tagli interpretativi ma che punta a una pulizia d’insieme e alla tenuta complessiva dello spettacolo con professionalità e rigore. Il direttore è ben accompagnato dalla compagine orchestrale mentre il coro As.Li.Co. mostra una netta differenza qualitativa tra la parte femminile assai buona e quella maschile dove soprattutto la sezione dei tenori ha mostrato qualche imprecisione negli attacchi.
Una preferenza per il versante femminile vale anche per quanto riguarda i protagonisti. L’elemento più interessante ci è parsa la Leonora di Sara Cortelezzis. La giovane cantante friulana al debutto nel ruolo ha infatti mostrato un materiale assai interessante. La voce è ancora un po’ leggera e ovviamente si notava una certa immaturità ma la qualità del canto è assai apprezzabile, la voce piacevole e ricca di armonici, l’interprete già capace di dare consistenza al personaggio. Tecnicamente è parsa ben centrata con un ottimo controllo del fiato mentre sul piano teatrale si notano una naturale capacità di stare in muoversi sul palcoscenico e un’innegabile presenza scenica. Una cantante che pur dovendo ancora crescere da molti punti di vista mostra però un materiale assai interessante.
Carmen Topciu (Azucena) è sicuramente più avvezza a palcoscenici anche più importanti. Mezzosoprano dal timbro un po’ chiaro ma dalla voce ricca e sonora almeno fino al settore acuto che non risulta sempre ben controllato – la chiusura su “Sei vendicata, o madre” è parsa parecchio perigliosa – mentre sul piano espressivo tratteggia un personaggio partecipe e vitale anche se con qualche eccesso verista.
Manrico è la quintessenza del tenore romantico dal timbro radioso, nobile nel canto e facilissimo negli acuti. Qui ad affrontarlo abbiamo Gaston Rivero che la parte la conosce bene ma manca di molti dei requisiti. La voce è solida, robusta e ben presente nonostante un timbro non certo particolarmente prezioso e il cantante mostra attenzione e una buona quadratura che emergono soprattutto nei momenti più lirici e cantabili con una bella facilità melodica in “Ah sì, be, mio, coll’essere” e nella sicura autorevolezza degli incisi del “Miserere” nonostante una dizione a tratti perfettibile. Quello che però manca è lo slancio epicheggiante così come lo squillo facile e naturale sugli acuti così che molti passi eroici appaiono un po’ spenti e arrivati alla “pira” – già mutilata dall’assenza del da capo – l’acuto resta come interrotto a metà, non riesce a sfogare e a emergere lasciando purtroppo un senso d’incompiutezza.
Jorge Nelson Martinez Gonzáles è un giovane baritono di origini caraibiche appena uscito dai corsi di perfezionamento dell’Accademia del Teatro alla Scala. Dotata di una voce piacevole, dal bel colore e dalla corretta impostazione vocale è però ancora troppo acerbo per un ruolo come questo. Sia vocalmente sia interpretativamente il cantante deve ancora maturare e molto per rendere in modo convincente la parte. Si apprezzano l’impegno e la buona volontà ma la costruzione del personaggio è – comprensibilmente – ancora carente.
Deyan Vatchkov è un Ferrando di solida professionalità. Buone le prove di Francesco Marsiglia (Ruiz) e Yo Otahara (Ines) e funzionali le parti di fianco.
La parte visiva è affidata alla regia di Deda Cristina Colonna – già autrice di altri spettacoli a Novara – affiancata da Domenico Franchi per quanto riguarda scene e costumi. La regista agisce come nel suo taglio stilistico asciugando e astraendo pur senza stravolgere l’ambientazione tradizionale cui rimandano i costumi in epoca cui forse non sarebbe guastata una maggior ricchezza a creare varietà in confronto all’essenzialità scenica. Questa è composta da pochissime quinte mobili e da rare proiezioni – un albero in lontananza per il giardino del I atto – a evocare i determinati ambienti in uno spazio sostanzialmente vuoto e dai colori spenti dove dominano sfumature di grigio. I costumi invece presentano tinte molto vivaci e creano uno spiccato contrasto cromatico. Qui però – a differenza di alcuni spettacoli precedenti – l’eccesso di astrazione si scontra con l’urgenza del realismo verdiano e la ricerca di un approccio più pulito ed essenziale tende a sconfinare in una sensazione di eccessiva freddezza.
L’aspetto prettamente registico appare discontinuo tra buone soluzioni – come l’attenzione alla maturazione del personaggio di Leonora, il meglio tratteggiato dalla regia – e momenti di caduta stilistica con recitazione trascurata o soluzioni esteticamente o teatralmente poco felici come il ridurre la sfida tra Manrico e il Conte di Luna a una serie di spintoni da cortile scolastico o il finale con una sorta di “pietà” in cui Azucena sorregge il corpo morto di Leonora senza che si comprenda cosa leghi due personaggi fra loro totalmente estranei. Buona presenza di pubblico – anche se non tutto esaurito – e successo convinto per tutti gli interpreti.