Venezia, Teatro Malibran: “Satyricon” di Bruno Maderna

Venezia, Teatro Malibran, Lirica e Balletto, Stagione 2022-2023
SATYRICON”
Opera in un atto, dal romanzo omonimo di Petronio.
Musica e libretto  Bruno Maderna
Trimalchio MARCELLO NARDIS
Habinnas CHRISTOPHER LEMMINGS
Niceros WILLIAM CORRÒ
Eumolpus FRANCESCO MILANESE
Criside FRANCESCA GERBASI
Fortunata/Quartilla MANUELA CUSTER
Mimi Estella Dvorak, Emanuele Frutti, Roberta Piazza, Giulio Venturini, Aaron Weber
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Alessandro Cappelletto
Regia Francesco Bortolozzo
Scene Andrea Fiduccia
Costumi Marta Del Fabbro
Light designer Fabio Barettin
Regia del suono Giovanni Sparano
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 26 gennaio 2023
Nel cinquantesimo anniversario della prima assoluta – nonché unica rappresentazione a Venezia – del Satyricon di Bruno Maderna e insieme della prematura scomparsa dell’autore, la Fondazione Teatro La Fenice propone, al Teatro Malibran, un nuovo allestimento dell’ultima opera del musicista veneziano: doveroso contributo alla definizione di un giudizio più sereno e meditato su un compositore, direttore d’orchestra, docente, animatore culturale, che Massimo Mila considerava il prototipo del musicista europeo, ma su cui Mario Bortolotto espresse sempre forti riserve. È, comunque, innegabile che Maderna sia stato una figura di primo piano nel panorama musicale italiano ed europeo del Novecento, distinguendosi per la sua posizione “non allineata” rispetto a certo radicalismo dell’“avanguardia”. Così, anche quando adottò le tecniche seriali più rigorose, rivelò un’attitudine artigianale nella propria attività creativa, evitando ogni applicazione meccanica di quelle teorie e temperando i rigori di Darmstadt tramite un eclettismo di mezzi espressivi, che non trascurava le esigenze comunicative. Ciò si coglie, tra l’altro, nelle sue due ultime composizioni teatrali, Hyperion (1964) e Satyricon (1973), entrambe “opere aperte”, cioè basate su una struttura aleatoria. Satyricon – tratta dall’omonimo romanzo di Petronio – consta di vari numeri, che possono essere ordinati liberamente ad ogni rappresentazione, ma nasce anche come work in progress, passibile di modifiche e rifacimenti. L’opera ebbe una gestazione piuttosto lunga, a partire dal 1971, e fu presentata per la prima volta al pubblico il 16 marzo 1973 a Scheveningen (Olanda), sotto la direzione dello stesso compositore.
Il lavoro di Maderna si basa prevalentemente sull’episodio più famoso del romanzo di Petronio, la Cena Trimalchionis con la sua galleria di personaggi caricaturali, a rappresentare il tramonto di una civiltà, che l’autore veneziano assimilava a certi aspetti decadenti del Novecento. Al multilinguismo del libretto – con parti in italiano, inglese, francese e latino – corrisponde il polistilismo della partitura, infarcita, tra l’altro, di citazioni musicali, che creano effetti di straniamento funzionali all’azione scenica. Nell’opera – formata da sedici numeri chiusi, vocali e strumentali, e cinque inserti su nastro magnetico – le voci spaziano dal canto lirico al declamato, dallo Sprechgesang al parlato, mentre la piccola orchestra le accompagna con interventi, che confermano la teatralità intrinseca alla partitura.
Per questa nuova produzione fenicea, Francesco Bortolozzo – coadiuvato da Andrea Fiduccia per le scene, Marta Del Fabbro per i costumi, Fabio Barettin per le luci e Giovanni Sparano per il suono – ha ideato una messinscena minimalista, che lascia emergere la drammaturgia interna alla musica di Maderna: quinte e sfondi a tinta unita decisamente spogli, pochi arredi dalle linee essenziali, disposti secondo conformazioni diverse, a seconda delle situazioni drammaturgiche, rispecchiando con quest’ultima sua scelta l’impostazione “modulare” della partitura, che l’autore volle fosse pubblicata divisa in tanti fascicoli separati quanti sono i numeri dell’opera, perché fossero variamente assemblabili. La “semplicità” dell’apparato scenico viene ravvivata dalla performance di cinque abili mimi-danzatori come dalla proiezione di alcune pagine “social” e di particolari relativi a dipinti del “visionario” Bosch, oltre che dai colori pastello prevalenti nei costumi, su cui però spicca il rosso shocking di quelli indossati dalla vanitosa Fortunata.
Efficace è risultata la direzione e concertazione di Alessandro Cappelletto, che ha trovato, di volta in volta, il giusto accento nell’affrontare la poliedrica scrittura maderniana, con particolare attenzione al parametro timbrico e a quello ritmico, potendo contare su un enseble di validi solisti. Nel cast, di indiscutibile professionalità, si è segnalato Marcello Nardis, che ha offerto un Trimalchio istrionico nel gesto e nel canto, mettendone in luce i vezzi e gli umori in una pluralità di stili e di generi: vagamente ipocondriaco e prosaico nella chanson da cabaret, in cui si lamenta per la fastidiosa stitichezza che lo affligge; grottescamente retorico nel vantare le sue enormi ricchezze; sprezzante, ma anche a tratti sentimentale, nella sua variegata invettiva contro la moglie Fortunata; buffamente enfatico e misticheggiante quando parla del proprio testamento, descrive il proprio sepolcro e dà l’addio al mondo, concludendo con l’aria di Gluck “J’ai perdu mon Eurydice”. Analogamente encomiabile è stata la Fortunata di Manuela Custeracclamata Juditha, qualche anno fa alla Fenice, nell’oratorio vivaldiano – quanto a presenza scenica e duttilità espressiva: spregiudicata nell’aria con cui esordisce, introdotta da uno stacco delle percussioni, dove decanta la propria vita sfarzosa quanto oziosa, grazie alle ricchezze del marito, terminando con un song alla Kurt Weill, estremo inno ai lussi domestici; sensuale nel dialogo con Eumulpus, con la citazione dell’Habanera della Carmen di Bizet, in cui cerca – invano – di blandire l’ex-soldato, dedito alla filosofia, confessandogli falsamente la sua attrazione per i filosofi. All’altezza del proprio ruolo si è dimostrato anche Christopher Lemmings nei panni di Habinnas, intimo amico di Trimalchio – marmista con il compito di realizzare il monumento sepolcrale del ricco liberto – nel suo apologo sulle virtù del denaro – un canto spezzato, spigoloso, dissonante, con dei brevi incisi più lirici – e nel racconto relativo alla Matrona di Efeso – la vedova in gramaglie presso la tomba del marito, consolata da un centurione, che per salvare l’amante consente che venga messa in croce la salma del caro estinto –, in cui la parte vocale alterna squarci lirici e lunghe sequenze parlate, con una grande varietà di accompagnamenti. Valido l’apporto di Francesco Milanese (il neghittoso Eumolpus), William Corrò (Niceros), Francesca Gerbasi (Criside). Grandi applausi alla fine da parte di un pubblico divertito e appagato.