Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791): “Idomeneo, re di Creta” K.366 (1781)

Dramma per musica in tre atti su libretto di Gianbattista Varesco. Prima rappresentazione: Monaco, Residenztheater, 29 gennaio 1781
Idomeneo costituisce un punto di svolta nell’ esperienza creativa di Mozart. Le opere serie che il compositore aveva scritto fino a quel momento Mitridate, Lucio Silla, Il re pastore aderivano tutte sostanzialmente al modello metastasiano, con una lunga catena di arie e un ruolo minimo degli insieme e dei cori. In realtà, negli anni Settanta del secolo, questo modello era in piena crisi. Già da quasi vent’anni Gluck aveva proposto, con i suoi capolavori Orfeo ed Euridice e Alceste, una riforma del melodramma basata sui principi della continuità narrativa e dell’integrazione di tutti gli elementi musicali e scenici in un progetto drammatico. La riforma di Gluck aveva trovato tuttavia scarso seguito nell’ambito dell’opera italiana, e si era imposta invece soprattutto a Parigi, con le versioni francesi dei due capolavori e con altri importanti titoli (Iphigenie en Aulide, Iphigenie en Tauride, Armide). Ecco dunque che, con Idomeneo, Mozart si allontana dal modello metastasiano come non aveva mai fatto fino ad allora, e tiene presente come in nessun’altra occasione il modello del teatro di Gluck, senza però aderirvi completamente, ma cercando piuttosto un punto di compromesso.
Intanto la possibilità di avere a disposizione un orchestra di grande qualità, come quella di Monaco, unità alle esperienze acquisite nel viaggio a Mannheim e a Parigi, si traducono in un rilievo straordinario donato allo strumento orchestrale, in termini di gioco fra gruppi strumentali, rilievo concertante di alcuni strumenti, effetti di massa sonora e di “crescendo”, continui chiaroscuri armonici. Si aggiunga, per intendere, come il materiale musicale viene piegato ai fini della continuità drammatica, che estremamente alto è il numero di cori e di danze (incluso un lungo balletto che chiude l’opera, in cui certamente si ripercuote l’esperienza parigina), e non solamente in funzione decorativa, ma anche a sottolineare i momenti di maggiore tensione dell’azione (come le scene del sacrificio del terzo atto) parentesi; che, inoltre, particolarmente complessi ed elaborati sono i recitativi accompagnati che attraversano tutta l’opera., anche se Mozart non rinuncia all’uso del recitativo secco, bandito dal teatro di Gluck.
L’esempio migliore di questo nuovo modo di procedere viene proprio dall’inizio dell’opera, dove troviamo innanzitutto l’ouverture, nella quale si alternano episodi in  maggiori e in minore, che non rimandano a precisi personaggi, ma che certamente anticipano i contrastanti “affetti” dell’opera. Inoltre questa ouverture non ha una conclusione a sé stante, ma confluisce direttamente nel lungo recitativo accompagnato di che costituisce la prima scena; spetta all’orchestra il compito di sottolineare i sentimenti che attraversano la mente il cuore del personaggio; e questo recitativo accompagnato sfocia sua volta direttamente nell’aria “Padri, germani, addio!”, una pagina che dipinge magnificamente, con il suo modo minore, gli accompagnamenti sincopati, l’intensità della linea melodica, i tormenti della fanciulla.
Come si vede, ci troviamo di fronte a un blocco estremamente compatto e insieme articolato. Un altro tratto appare poi estremamente significativo. Come appare già evidente dalla primaria di Ilia, Mozart punta in modo deciso e maturo sulla definizione dei personaggi, che risultano delineati con una pienezza di carattere sconosciuta alle sue precedenti opere serie. Per questo obiettivo egli rinuncia nella maggior parte dei casi all’uso della forma “col da capo” per le arie, a cui preferisce la più moderna forma-sonata senza sviluppo; in sostanza, manca e molte delle arie una sezione centrale contrastante, e dunque ciascuna aria definisce una “affetto “del  tutto  coerente. Ma, prese nel loro complesso, le diverse arie offrono poi anche un profilo preciso di ogni personaggio, nonché della sua evoluzione. Ilia, per esempio, cantata tre arie differenti, una per ogni atto, la prima delle quali attraversata da affanno e dolore, la seconda (“Se il padre perdei”) di contenuto consolatorio (e Mozart intreccia la voce del Soprano con quattro strumenti concertanti), la terza (“Zeffiretti lusinghieri”) di contenuto amoroso, percorsa da estateci vocalizzi.
Altrettanto preciso è il profilo dell’altro personaggio femminile, Elettra, il cui atteggiamento prevalente è quello del furore. Troviamo, nelle seconda delle sue tre arie, il momento della speranza, espressa con una plastica melodia nel modo Maggiore; ma la prima e la terza aria sono quanto di più drammatico Mozart abbia scritto fino a quel momento. La frammentazione della linea melodica con i bruschi salti di registro, la scelta del modo minore, le tinte corrusche dell’orchestrazione, l’armonia cromatica e ricca di settime diminuite: sono tutti fattori che fanno di queste due arie
altrettanti vertici espressivi, che Mozart saprà in seguito eguagliare ma mai  superare.
Accuratissima e anche la definizione degli altri personaggi. Idamante, affidato alla voce di castrato, viene restituito nel suo carattere trepido ed eroico, con due arie nel primo atto e una nel terzo, oltre a un duetto con Ilia all’inizio del terzo atto (“S’io non moro”). Relativamente al ruolo del titolo, Mozart puntò principalmente sui tormenti interiori del personaggio, sui suoi sensi di colpa; come nella prima aria (“Vedrommi intorno l’ombra dolente “), in cui impose al tenore Raaf una forma bipartita Andante-Allegro, certamente inconsueta per il cantante, puntando sul contrasto espressivo dei duei movimenti. Ricompensò o poi Raaf attribuendogli nel secondo atto una lunga aria virtuosistica e “col da capo” (“Fuor dal mar”) che gli consentiva di mettere in mostra la sua tecnica di coloratura (anche se scrisse prima una versione più ardua e poi una più semplice per favorire l’interprete, che aveva probabilmente qualche difficoltà nella tenuta delle lunghe arcate di vocalizzi). Quanto al personaggio secondario di Arbace, esso è invece servito con due arie di diversi tipo (dinamica la prima, contemplativa la seconda), entrambe di carattere più arcaico.
Ma uno scatto ulteriore verso un modello personalissimo di teatro musicale è dato dalla presenza di alcuni pezzi d’insieme, e segnatamente di un mirabile terzetto “di addio” fra Idomeneo, Idamante ed Elettra sul finire del secondo atto (“Pria di partire, oh Dio!”), e di un quartetto al principio del terzo per gli stessi personaggi più Ilia p(“N’andrò ramingo è solo”). Nel terzetto come nel quartetto (che non a caso il compositore difese dagli attacchi del vecchio Raaf), Mozart riuscì in uno dei compiti più alti del teatro musicale: dipingere separatamente e fondere insieme le passioni differenti dei vari personaggi.
Con Idomeneo Mozart aveva saputo creare un nuovo modello personalissimo di opera seria; non stupisce quindi del fatto che, nei suoi anni viennesi, egli abbia cercato a più riprese di presentare questa sua opera al pubblico della capitale. Vi riuscì solamente il 13 marzo 1786 con un’esecuzione privata in forma di concerto, nel palazzo del principe Auersperg, senza  però ottenere il  successo sperato. E d’altra parte appare chiaro che il peso della componente decorativa della partitura non potesse venire adeguatamente apprezzato in una esecuzione concertistica, realizzate con interpreti che non erano certo dei grandi virtuosi ma bensì “dilettanti”. Non a caso, per l’esecuzione viennese Mozart sottopose la sua opera a numerose modifiche, le più importanti delle quali consistono nell’adattamento del ruolo di Idamante dalla voce di castrato a quella di tenore, e nell’aggiunta di alcune pagine per il nuovo interprete di questo ruolo. All’inizio del secondo atto viene inserito un mirabile rondò con violino obbligato (“Non più tutto ascoltai…Non temere, amato bene” k490, testo riutilizzato pochi mesi più tardi per l’aria da concerto k505 con pianoforte obbligato), scritto però curiosamente in chiave di soprano (circostanze che ne rende possibile oggi l’esecuzione sia da parte di Soprani che di tenori). Inoltre il duetto Ilia-idamante del terzo atto (“S’io non moro”) venne sostituito da un nuovo duetto (“Spiegarti non poss’io” K 489) di taglio sensibilmente più moderno.