Georg Friedrich Haendel (1685-1759): “Jephtha” HWV70 (1752)

Oratorio in tre atti su libretto di Thomas Morell. Prima rappresentazione: Londra, Covent Garden, 26 febbraio 1752.
Jephtha, scritto nel 1751 e più volte interrotto a causa della cataratta che progressivamente affliggeva il musicista e che lo portò alla  città completa. Questo oratorio rivela spettacolarmente, nella predominanza delle arie per soprano, uno slancio e una freschezza incredibile in un compositore fisicamente tanto provato. All’opposto di Carissimi, il cui Jephte è immerso in un’atmosfera di malinconia mortale adeguato al dramma del condottiero che per rispettare la promessa fatta a Dio è obbligato a immolare la figlia prediletta, Handel sposta l’accento sulla giovinezza immortale della fanciulla, i cui numerosi interventi nel corso della partitura sono accompagnati da melodie dei violini veramente angeliche. Ma anche l’ossatura di questo ultimo capolavoro handeliano è di una robustezza che non ha nulla a invidiare neppure al  Messiah, al quale del resto Jephtha si può più che mai accostare. I cori sono portentosi nella loro scansione massiccia che ricorda il celebre Alleluia, l’orchestra è, qua e là, ravvivata dal possente suono delle trombe, le forme più austere fuga o più galanti minuetti sono fuse nel discorso rispettivamente corale o strumentale con una tale abilità che il racconto è vivace e non cade mai nelle secche dell’accademismo. L’edizione che vi proponiamo è diretta da Nikolaus Harnoncourt, il grande precursore della autenticità musicale, che qui  offre una prova magistrale per equilibrio e di moderazione. I cantanti sono immuni da accentuazioni ipertrofiche, il coro eccellente l’orchestra suona “giusto”.