Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2022/23
“DAWSON/ DUATO/KRATZ/KYLIAN”
“ANIMA ANIMUS”.
Con: ALICE MARIANI, MARTINA ARDUINO, MARCO AGOSTINO, NICOLA DEL FREO, TIMOFEJ ANDRIJASHENKO, MATTIA SEMPERBONI, ALESSANDRA VASSALLO, GAIA ANDREANÒ, MARIA CELESTE LOSA, MARTA GERANI
Coreografia David Dawson
Musica Ezio Bosso
Scene John Otto
Costumi Yumiko Takeshima
Luci James F. Ingalls.
“REMANSO”
Con: ROBERTO BOLLE, NICOLA DEL FREO, MATTIA SEMPERBONI
Coreografia, scene e costumi Nacho Duato
Musica Enrique Granados
Luci Brad Fields
Pianoforte Takahiro Yoshikawa
“SOLITUDE SOMETIMES”
Con: NICOLETTA MANNI, CAMILLA CERULLI, ALESSANDRA VASSALLO, STEFANIA BALLONE, LINDA GIUBELLI, TIMOFEJ ANDRIJASHENKO, CLAUDIO COVIELLO, DOMENICO DI CRISTO, CHRISTIAN FAGETTI, NAVRIN TURNBULL, ANDREA CRESCENZI, ANDREA RISSO, GIOACCHINO STARACE, RINALDO VENUTI
Coreografia Philippe Kratz
Musiche Thom Yorke e Radiohead
Scene Carlo Cerri e Philippe Kratz
Costumi, Francesco Casarotto
Luci Carlo Cerri
Video designer Carlo Cerri e OOOPStudio.
Prima rappresentazione assoluta
“BELLA FIGURA”
Con: ANTONELLA ALBANO, ALICE MARIANI, MARTA GERANI, GIULIA LUNARDI, GIULIA SCHEMBRI, MARCO AGOSTINO, CLAUDIO COVIELLO, EMANUELE CAZZATO, MARCO MESSINA
Coreografia, scene e luci Jiří Kylián
Musiche Lukas Foss, Giovanni Battista Pergolesi, Alessandro Marcello, Antonio Vivaldi, Giuseppe Torelli
Costumi Joke Visser
Ripresa luci Kees Tjebbes
Supervisore luci e costumi Joost Biegelaar.
Milano, 6 febbraio 2023
Quello a cui abbiamo assistito, in data 5 febbraio, è lo spettacolo dedicato a quattro importanti coreografi contemporanei che fu cancellato lo scorso anno per le alterne vicende sanitarie. Non è però una delle incursioni di danza contemporanea in cartellone; è invece una buona occasione per avere una visione abbastanza d’insieme di quali sono le direzioni verso cui la danza del XXI secolo sta andando. Direzioni, non direzione.
Come è nostra prassi, abbiamo assistito allo spettacolo senza leggere troppo, sempre secondo l’insegnamento di Gasparo Angiolini. Nel primo pezzo andato in scena, Dawson propone una difficile coreografia, Anima animus. Classico in ogni singolo frammento coreografico, abbiamo avuto un’impressione generale che potremmo definire di “disordine velato”. Nell’insieme, la nostra impressione è stata acuita dai pezzi con partenze a canone, dove i ballerini, al pari di battiti, si ripercuotono come infiniti armonici nello spazio, andandosi a cumulare agli altri, i quali pure partono allo stesso modo, ripetendo le stesse sequenze, con i loro relativi armonici, ma che nell’insieme formato percepiamo come quel “disordine velato” di qui abbiamo detto. E questo sembra nelle intenzioni di Dawson, visto che leggiamo: “il tema del contrasto mostra quanto i danzatori possano essere differenti. Accade quando si mostrano nella loro forma di angeli, quando toccano il ciclo e rivelano chi sono veramente”. Non abbiamo percepito molto, invece, quello che doveva essere l’intenzione esplicita sin dal titolo: animus è l’aspetto maschile della psiche femminile, mentre anima è quanto di femminile alberga nella psiche maschile; a parte che nella contaminazione di passi maschili e femminili, prassi comunque più formale e non così estranea ad altre coreografie. Tutti i danzatori hanno mantenuto alta l’asticella, ma una nota di merito va conferita soprattutto a Timofej Andrijashenko per l’utilizzo disinvolto e molto interessante di ogni sua parte del corpo. Molto bene anche l’apertura di Martina Arduino. In Remanso vediamo l’amata étoile della Scala, Roberto Bolle, salutato con grande affetto da un teatro pieno grazie al suo nome, al fianco di Nicola Del Freo e Mattia Semperboni. Nulla da eccepire per l’esibizione di alto livello tecnico. Sulla musica di un solo piano, l’unica suonata dal vivo, si vedono soprattutto più acrobazie che poesia, e si risolve tutto in un simbolo messo in scena, la rosa. Molto interessante, però, il punto in cui i tre ballerini si appiattiscono contro il “paravento” quadrato dietro cui talvolta sono spariti per poi riapparire. Con il sapiente gioco di luce, giocano a divenir dei bassorilievi, reperti di un’idea misteriosa ma che in questo caso parla; una lingua sconosciuta, e questo poco importa, ma che parla. Quando poi arriva il turno di Kratz e della prima assoluta di Solitude Sometimes, creata in questa occasione con i ballerini del Teatro alla Scala, siamo strabiliati. Sulle musiche dei Radiohead e di Thom Yorke (il loro frontman), un flusso continuo di danzatori appare ai nostri occhi con passi sinuosi, a volte semplicissimi ma mai banali. Facciamo fatica a descriverli, e nemmeno importa farlo. Quel che coinvolge lo spettatore fino in fondo è questa idea di fluire continuo, di sparire e riapparire. Crediamo, quindi, di poter dire che Kratz abbia proposto la più interessante tra le coreografie a cui abbiamo assistito, e si conferma un giovane coreografo di talento. Molto interessanti anche i costumi di Francesco Casarotto.
Termina la rappresentazione Bella figura di Kylián. In maniera disomogenea, lo spettacolo inizia con luci accese in sala, con i ballerini che provano dei passi nel silenzio; poi le luci si abbassano, e si danza tra giochi di sipari semichiusi, movimenti marionettistici, sensualità solo apparente e non. Toccante è il pezzo, celebre, dei danzatori e danzatrici con indosso solo una sorta di gonnellone rosso, dai tessuti raffinati, senza connotazioni di genere. Un’esperienza forse ancor più emozionante per i ballerini che per il pubblico. La bella figura, leggiamo, è quella che un artista mette in scena, la parte migliore di sé: anche se non si è al massimo della forma, l’attore maschera sempre i propri problemi e va in scena. In più, Kylián si interroga anche su che cosa sia una performance, e su quando inizia: quando s’alza il sipario, o durante le prove? E poi: quando finisce? Quando ognuno di noi che ha assistito allo spettacolo morrà? Quesiti stimolanti, ma a cui è difficile rispondere.
Grazie a questo spettacolo abbiamo potuto riflettere su come la danza stia continuando a risolvere il proprio problema estetico principale: come esprimere? Da quello che abbiamo percepito possiamo concludere che esiste oggi un consistente nucleo di coreografi – in questa serata, tutti e quattro – che trovano una fonte di ispirazione in idee più o meno concrete, o comunque scibili: un concetto filosofico, per Dawson; Duato, in un mix di Lorca ed etimologia del termine “remanso”; nella narrazione del Libro dell’Amduat, proveniente dall’antico Egitto, Kratz; mentre Kylián in proprie riflessioni sul mondo del teatro. Eppure, a nessuno di questi interessa proporre una danza narrativa, che racconti parola per parola ciò che vogliono mettere in scena. Infatti, astrarre, lo dice l’etimologia stessa, non è ex nihilo, ma è una sublimazione a un gas impalpabile che dovrebbe, a nostro avviso, rendere indifferente il materiale di partenza. Eppure, nel proporre una danza astratta, gli esiti a cui abbiamo assistito sono i più differenti, e lo scarto ci sembra constare proprio in questo difficile rapporto con le idee creative di partenza. Solo Kratz vediamo catturare in nuce l’essenza nella propria ispirazione, per proporla in un esito sostanzialmente autonomo – ma che comunque poi funziona anche se proprio vogliamo rimetterlo in rapporto con la fonte di ispirazione. Speriamo quindi che questa nuova coreografia abbia i successi che merita, in giro per il mondo, ma anche di nuovo qui, in futuro, al Teatro alla Scala. Nel frattempo, non perdete le prossime serate, che andranno in scena il 7 e il 9 (due spettacoli in un giorno) di febbraio. Foto Brescia & Amisano