Michel Pignolet de Montéclair (1667 – 1637). “Jephté” (1732 – versione 1737)

Tragedie liryque in un prologo e quattro atti su libretto di Simon-Joseph Pellegrin. Tassis Christoyannis (Jephté), Chantal Santon Jeffery (Iphise), Judith van Wanroij (La Vérité, Almasie), Thomas Dolié (Phinée), Zachary Wilder (Ammon), Katia Velletaz (Terpsichore, Vénus, Une Habitante de Maspha, Une Israëlite, Élise, Une Bergère), Adriána Kalafszky (Polymnie), Clément Debieuvre (Abdon, Un Hébreu), David Witczak (Apollon, Abner, Un Habitant de Maspha). Purcell choir, Orfeo orchestra, György Vashegyi (direttore). Registrazione: Bartók National Concert Hall of Müpa Budapest, 10-12 marzo 2019. 2 CD Glossa Music CGD924008
Il nome di Montéclair oggi non dice molto neppure tra gli appassionati di musica barocca eppure nella prima metà del XVIII secolo i suoi successi sulla scena musicale francese facevano di lui un protagonista assoluto, la figura di maggior rilievo tra la generazione di Lully e quella di Rameau.
Michel Pignolet de Montéclair nato nell’alta Marna nel 1667 si era affermato in primo tempo come violinista – in questo ruolo entra precocemente nelle principali istituzioni parigine anche in virtù della formazione presso la scuola musicale di Saint-Cyr posta sotto la protezione di Madame di Maintenon. La carriera di compositore inizia abbastanza in sordina con musiche da camera e d’occasione ma procede con successo crescente a partire dai primi anni del nuovo secolo. Le collaborazioni con il teatro furono limitate ma è dal palcoscenico che nel 1732 arrivò la definitiva consacrazione.
In quell’occasione porta infatti in scena “Jephté” grande tragedia di soggetto biblico che conquista immediatamente il pubblico ottenendo fino al 1761 oltre cento recite, più di ogni altro lavoro operistico francese del XVIII secolo.
La vicenda tratta dal libro dei Giudici ricorda molto da vicino il mito omerico di Idomeneo – portato con successo in scena da Campra nel 1712 – risultando particolarmente di moda al tempo pur con la necessità di modificare il finale che nel racconto biblico – non filtrato attraverso la rinnovata sensibilità ellenistica – ha mantenuto il suo carattere di arcigna e implacabile arcaicità e che per l’occasione vede invece uno scioglimento positivo con il pentimento di Iphise e l’intervento miracolistico che permette di evitare il sacrificio della fanciulla.
La scelta di una trama biblica per uno spettacolo teatrale era alquanto insolita per il tempo e si venne a creare qualche problema con l’intervento del Cardinal de Noailles allora vescovo di Parigi intenzionato a far bloccare la rappresentazione. Le protezioni di cui però Montéclair godeva a corte resero però quasi nullo l’intervento vescovile – che riuscì solo a far ritardare leggermente la prima e a far crescere l’interesse per la partitura aumentando al contempo l’interesse per il nuovo lavoro.
L’opera è organizzata in un prologo di carattere celebrativo e in quattro atti alternati come cifra prevalente. Gli atti dispari – primo e terzo – sono caratterizzati dalla prevalenza di ambiti militari e quindi da voci maschili; gli atti pari vedono in primo piano l’universo femminile e le dinamiche affettive.
La scrittura di Montéclair è molto ricca e sfrutta tutte le possibilità del tempo. La linea di canto vede prevalere un andamento declamatorio, anche nelle arie poche sono le concessioni a un canto più virtuosistico di matrice italiana mentre a prevalere è il lavoro sulla parola e sulle sue capacità espressive. Molto impegnate le masse corali con proporzioni quasi oratoriali e come sempre significativa presenza di ballabili che donano una forte componente spettacolare alla partitura.
Registrata a Budapest all’interno dei progetti di collaborazione tra il Müpa Budapest e il Centre de musique baroque de Versailles l’esecuzione musicale è affidata alla Orfeo Orchestra sotto la guida del direttore stabile Györgyi Vashegyi e con l’immancabile contributo del Purcell Choir di Budapest. Si tratta di una formazione che abbiamo imparato a conoscere per le sue frequenti e significative registrazioni di questo repertorio e che non manca il segno neanche in questa occasione.
Il direttore ungherese mostra di credere profondamente alla natura teatrale di questa partitura, rinuncia a qualunque suggestione oratoriale e punta a una lettura fortemente contrastata, fatta di sonorità decise e di contrasti marcati. La scrittura di Montéclair presenta particolari raffinatezze – come l’effetto dei flutti di “Ruisseaux, qui serpentez sur ces fertiles bords” affidata ai soli flauti dolci raddoppiati dai violini, che trovano la giusta valorizzazione sempre però all’interno di un flusso unitario molto marcato nelle timbriche e nell’agogica. L’orchestra suina magnificamente così come sontuosa è la prova del coro.
La compagnia di canto è composta di autentici specialisti. Tassis Christoyannis affronta il ruolo del titolo con la grande esperienza maturata. Il baritono greco ha affrontato negli anni con ecclettismo e intelligenza sia il repertorio classico e barocco sia quello tradizionale. Esperienze che gli permettono di dare il giusto spessore alla parte unendo il rigore stilistico preteso da questo tipo dio scrittura con un taglio interpretativo di grande forza teatrale sfruttando al massimo la robustezza vocale e la chiarezza della dizione. La parte di Iephté è – fatte ovviamente le dovute differenze – quasi verdiana nei caratteri marziali e paterni, nella centralità del rapporto con la figlia e l’interpretazione di Christoyannis al riguardo funziona alla perfezione.
Al suo fianco Thomas Dolié affronta con grande autorevolezza la parte del gran sacerdote Phinée contribuendo alla piena riuscita dei momenti guerreschi e politici dell’opera anche grazie alla perfetta fusione con la voce di Christoyannis.
Il terzo protagonista maschile è Zachary Wilder nei panni di Ammon, il capo cananeo. La parte sembra forse richiedere un approccio più delicato ma è innegabile che la baldanza tenorile e la facilità di canto di Wilder colpiscono positivamente.
Le donne nel complesso sono meno convincenti pur mantenendo un buon livello esecutivo. Chantal Santon Jeffery è una Iphise molto musicale, il timbro è ricco anche se forse un po’ maturo per la parte che manca di quel sentore d’incantata giovinezza che questa musica in più punti ispira. La dizione e chiara e la linea musicale ed elegante ma il settore acuto risente di un vibrato a tratti eccessivo anche se non arriva a essere fastidioso. Judith van Wanroij è una cantante che abbiamo tante volte ammirato e anche qui non fa mancare baldanza vocale e temperamento al calor bianco. Il problema è che la parte materna di Almasie richiederebbe un timbro decisamente più mezzosopranile – tanto più per rimarcare la differenza con la voce già importante della Santon Jerrery – mentre la vocalità della van Wanroji è quella di un autentico soprano.
Ottime come sempre in queste registrazioni le parti di fianco che Montéclair impegna in modo significativo nelle grandi scene di massa.