Milano, Teatro Franco Parenti, Stagione 2022/33
“LA MARIA BRASCA”
di Giovanni Testori
Maria Brasca MARINA ROCCO
Enrica Brasca in Scotti MARIELLA VALENTINI
Angelo Scotti LUCA SANDRI
Romeo Camisasca FILIPPO LAI
Regia Andrée Ruth Shammah
Scene Gianmaurizio Fercioni riprese da Albertino Accalai
Costumi Daniela Verdenelli ripresi da Simona Dondoni
Luci Oscar Frosio
Musiche Fiorenzo Carpi
Produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana
Milano, 28 febbraio 2023 – Prossime date
“La Maria Brasca” è senza dubbio uno dei testi più importanti non solo del mai troppo rappresentato Giovanni Testori, ma dell’intero Novecento italiano: l’affresco neorealista della periferia milanese degli anni Cinquanta, con la sua lingua filtro pesante e familiare, cadenzata e al contempo asciutta, a incorniciare l’impossibile felicità di una classe lavoratrice dispersa, non più proletaria e non ancora borghese, qui fa i conti non col tono tragico ineluttabile de “L’Arialda”, né con la decadenza de “La Gilda del Mac Mahon”, ma con l’instancabile rutilante vitalità di Maria Brasca, che, incapace di arrendersi al dolore e al disagio della sua condizione di non-più-ragazza sulla bocca di tutti, si afferma quale dionisiaca eroina del piacere e dell’amore. Allegra, frivola, sboccata, eppure anche intensa e saggia, Maria è un prototipo di donna che forse ancora non abbiamo avuto il piacere di conoscere: fiera del suo corpo e di usarlo per l’amore, non si nasconde dietro a nessun uomo, ma si innamora dell’unico che abbia osato nascondersi dietro di lei – il giovane, bello e possibilissimo Romeo, molti ormoni, poca reputazione e ancor meno voglia di lavorare. La doppia partita dell’amore subisce qui un ribaltamento geniale, specie per gli anni Cinquanta: lei corteggia lui, lei si batte per lui, lei propone a lui di sposarlo, e non per eccentricità, ma per la molto pratica ragione che lei è economicamente indipendente, lui no. Lei trova a lui un lavoro, gli offre di emanciparsi: lui tiepidamente accetta, poi sembra voler andare con una più giovane per accasarsi. Ed è con la lucidità della filosofa e con l’ardore della donna innamorata che lei si porrà in testa di riprendersi Romeo. La regia di Andrée Ruth Shammah – del 1992, qui ripresa dalla stessa regista – è consolatoria nel suo tradizionalismo: d’altronde sarebbe ben duro proporre il testo in una veste più “sperimentale” senza distorcerlo. Così, invece, con le belle scene di Gianmaurizio Fercioni, i costumi sgargianti di Daniela Verdenelli e le attente luci di Oscar Frosio, tutto fila dritto, senza un intoppo, un momento di noia, una caduta di stile. I personaggi vengono lasciati liberi di esprimersi appieno, senza alcuna effettiva costrizione scenica (neanche la dizione, vista la funzionale milanesità della parlata, e nemmeno la quarta parete, infranta con leggerezza e senza pretese cerebrali), e sbocciano praticamente tutti di fronte allo spettatore già irretito dal flusso continuo di parole. Marina Rocco è semplicemente perfetta, e non riusciremmo oggi a immaginare una Maria Brasca diversa: un po’ Marilyn e un po’ pescivendola, tra Almodovar e Garcia Lorca, le sue generose forme avvolte in colori lisergici danno vita a una personalità irresistibile, presente tanto fisicamente che vocalmente – diversissima dalla “precedente” Maria Brasca, Adriana Asti, e allora? Oggi Maria ha forse più fragilità e meno calcolo, e ringraziamo la Rocco per dimostrarci che si può prendere un personaggio, rivoltarlo come un calzino e rimanere all’altezza delle grandi (la Asti, ma anche la Valeri che la debuttò nel 1960). Accanto a lei, dura e sofferta, brilla anche Mariella Valentini nella parte di Enrica, la sorella sposata di Maria, incastrata in un’esistenza grigia e bugiarda. Luca Sandri delinea con decisione il marito di Enrica, Angelo, tutto preso nel dimostrare la superiorità sulla moglie, salvo poi venire costantemente sbugiardato dalla cognata; quella di Sandri è una prova efficace nel suo manierismo, che rimanda a Govi e Caprioli. Esuberante ma forse meno in parte rispetto ai suoi colleghi Filippo Lai, prestante Romeo con qualche vezzo di troppo – soprattutto nella gestione falsata della voce. Vera chicca del nuovo allestimento è stata anche la scelta di mantenere le musiche di Fiorenzo Carpi – tra le quali “Quella cosa in Lombardia”, su testo del poeta Franco Fortini e interpretata proprio da Adriana Asti: un ponte tra generazioni che non perde di fascino. D’altronde, questa stessa definizione si può applicare a tutto lo spettacolo, che dimostra ampiamente quanto un teatro fatto con cura, basato su una solida drammaturgia e un’approfondita costruzione del personaggio, riesca ancora a parlare al presente e a contribuire al futuro. Foto Lorenzo Barbieri