Torino, Auditorium RAI: Concerto diretto da Costantinos Carydis. con la partecipazione del pianista Francesco Piemontesi

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione sinfonica 2022/23
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Costantinos Carydis
Pianoforte Francesco Piemontesi
Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n.5 in Mi bemolle Maggiore op.73 “Imperatore”;  Minas Borboudakis (1974): “Z” Metamorphosis per orchestra (2020-2021); Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n.9 in Mi bemolle Maggiore op.70
Torino, 10 marzo 2023
Nel concerto odierno, due “eroici” Mi bemolle Maggiore fanno da vigili sorveglianti ad un contemporaneo “z” metamorphosis per orchestra di Minas Borboudakis. Il quarantottenne musicista greco, di scuola bavarese, elaborò questo brano sulle orme del film di Costa Gavras che celebra un eroico, anch’esso, resistente alla dittatura dei colonnelli. Il termine metamorfosi per orchestra ci riporta inevitabilmente, in Baviera, a Richard Strauss e alle sue post-belliche lacrimose Matamorphosen per 23 strumenti. Col suo pezzo però l’autore lancia acrobazie sonore su temi talmente minimali da risultare impercettibili. Nuovamente un autore contemporaneo, a cui due grandi e doviziose istituzioni musicali (Salisburgo e Amburgo) commissionano un pezzo, si dà allo scialo e inonda il palcoscenico di ogni strumento immaginabile e giustifica l’operazione facendone sentire il suono, almeno per qualche secondo. Dal silenzio, con lunghe, incomprensibili e tortuose spirali timbriche, il suono si alza come la curva dei dB (decibel) fino all’ineludibile acme, son così passati 20 minuti, per poi bloccarsi su un gesto sospeso del direttore che, per un ulteriore minuto, sostiene il silenzio. Chi, come il recensore, di tutto questo non comprende nulla, deve astenersi da qualsiasi giudizio di valore e passare ad altro. Si constata e si testimonia comunque che il pubblico ha applaudito sia gli esecutori che l’autore, affacciatosi sul palco per ben tre volte, vista l’intensità delle approvazioni.
Il Beethoveniano Imperatore, Concerto per Pianoforte e orchestra n.5 op.73, ha dato inizio alla serata e ne è stato il piatto forte. Alla tastiera Francesco Piemontesi e sul podio Costantinos Carydis. La tonalità del concerto è la stessa della Terza Sinfonia Eroica e così da Imperatore Eroico è l’interpretazione di Carydis. Suono ed atteggiamento risoluti e concreti, nel primo tempo Allegro, non lasciano che poco spazio ad isole di lirismo, tutte peraltro appannaggio della tastiera. L’impatto è contundente e ci ricorda che, per la Grecia, gli ultimi anni non sono stati facili e hanno scontato privazioni e disperazione. Un secondo tempo Adagio un poco mosso più intimo e disteso, con Piemontesi, sempre calibratissimo e congruente col podio, in gran spolvero. Carydis ci ributta, senza pausa, nella mischia sonora del Rondò, Allegro finali. Era tempo di tentare di uscire, con Beethoven, dal palazzo e dalle sale neoclassiche e rococò così come dalle asettiche ricostruzioni “informate” con fortepiani ed organici contenuti, per ributtarsi in desuete strade avventurose e perigliose e vedere che succede. L’esperimento con Carydis, perché ne è sicuramente lui l’artefice, può non esser stato perfettamente compiuto, in compenso l’impatto si è rivelato coraggioso e coinvolgente. Piemontesi ha contribuito al buon esito, forse non del tutto condividendolo, adattandovisi comunque, forte di una tecnica sicurissima, di una potenza di suono formidabile e di una bellezza di timbro altrettanto ammirevole.
Al pianista, viste le ovazioni ottenute, è stato inevitabile concedere un bis. Ineffabili i 5 minuti di misurato lirismo dell’Impromptu op.90 n.3 di Schubert. Il pianista svizzero che, in precedenti occasioni, sempre sciorinando una tecnica formidabile, era parso di minor flessibilità, ha esibito una grande maturità espressiva che, a nostro parere, lo promuove ai massimi livelli delle gerarchie pianistiche. A chiudere la serata il Mi bemolle Maggiore, marchio eroico (voluto?) della serata, della Nona Sinfonia di Šostakovič. Eroismo in questo caso, che si libera in una ambiguamente nascosta irrisione. A Torino la sinfonia si era già data a gennaio, con altra orchestra e altro direttore. È la Russia del 1945, dittatura staliniana vigente. In piena operatività i campi di “lavoro”, con collegate torture, morti e sofferenze. Dimitrij, come moltissimi suoi connazionali, da anni dorme con un occhio solo e sobbalza ad ogni passo per le scale. Berlino ormai caduta, la patria ha vinto, da dipendente a lista paga dello stato, è suo dovere produrre musica che celebri la vittoriosa fine della guerra. È altrettanto cosciente che i militari, suoi compatrioti, hanno scovato, nelle campagne della Polonia, campi di dolore e di morte. I campi del nemico, non quelli siberiani dove, se ancora vivi, si trovano in schiavitù amici, colleghi e parecchi milioni di innocenti. La denuncia e la ribellione non stanno nelle sue corde, la paura gli chiude la bocca e gli blocca la penna, quindi dissimula. Angoscia nel cuore e pifferi che grottescamente zufolano beffardi, per una forzata e simulata allegria. L’OSN RAI raggiunge qui livelli stratosferici di irridente leggerezza. Col supporto degli archi, sempre meravigliosi, le altre sezioni dell’orchestra, legni ottoni e percussioni, ci lasciano meravigliati. Il flauto di Gianpaolo Pretto, l’ottavino di Fiorella Andriani, il clarinetto di Luca Milani, il fagotto di Francesco Giussani e il corno di Francesco Mattioli sono perentoriamente balzati all’orecchio e all’occhio di tutti. L’esito non poteva che essere entusiasmante. Sia l’orchestra che il pubblico, tutti in piedi, hanno tributato grandi applausi a Costantinos Carydis che emozionatissimo li condivide e ricambia con tutti i leggii dell’orchestra.