Torino, Teatro Regio: “Powder her Face”

Torino, Teatro Regio, Sala Piccolo Regio G. Puccini, Stagione d’Opera 2023
“POWDER HER FACE” (Incipriale il viso)
Opera in due atti e otto scene op.14. Libretto di Philip Hensher.
Musica di 
Thomas Adès.
La Duchessa, soprano drammatico IRINA BOGDANOVA*
La cameriera, l’amica, l’amante del Duca, la ficcanaso, la giornalista di cronaca rosa, soprano leggero AMÉLIE HOIS*
L’elettricista, il gigolò, il cameriere, il ficcanaso, il fattorino, tenore THOMAS CILLUFFO*
Il direttore dell’hotel, il Duca, l’addetto alla lavanderia, un ospite dell’hotel, il giudice, basso LORENZO MAZZUCCHELLI
Un mimo MARCO CAUDERA
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore d’orchestra
Riccardo Bisatti*
Regia 
Paolo Vettori*
Scene 
Claudia Boasso
Costumi
Laura Viglione
Luci 
Gianni Bertoli
Nuovo allestimento del Teatro Regio Torino. * artisti del Regio Ensemble
Torino, 12 & 14 marzo 2023
Formidabile questo “Powder her face”, titolo tratto dall’inglese gergale dei porno che meriterebbe la traduzione maliziosa che gli compete, se questa non fosse eccessivamente esplicita sull’attività a cui allude. Formidabile è pure la messa in scena del Teatro Regio di Torino, quasi festeggiante la riapertura dell’accogliente sala del Piccolo Regio, da troppo tempo coi battenti serrati. È questo un luogo ideale per le “opere da camera” barocche, novecentesche e contemporanee, che d’altra parte il Teatro Torinese mai programma. Per l’allestimento di questa Powder her face, anche badando alla sostenibilità economica, sono state essenzialmente impiegate risorse “della Casa”. Il Regista Paolo Vettori e il Direttore d’Orchestra Riccardo Bisatti fanno parte del gruppo del Regio Ensemble. Claudia Boasso, la brava Scenografa, ideatrice della claustrofobica camera d’hotel in cui si svolge tutta la stori; Laura Viglione la fantasiosa costumista che ha pure recuperato dai magazzini abiti di sartoria, preziose donazioni da lungo ivi giacenti; e il mago delle luci Gianni Bertoli anch’essi sono, da tempo, apprezzati e validi artefici di innumerevoli allestimenti del teatro torinese. Il soggetto in scena si basa sulle reali, pruriginose e sventurate vicende toccate alla Duchessa di Argyll e qui raccontate in 2 atti e 8 quadri, con la colonna sonora elaborata dalla genialità sconfinata di Thomas Adés, vivente musicista inglese. Con una serie di rimandi al passato, l’opera che è del 1995, tratta del disastroso impoverimento, per sentenza di tribunale del 1990, della ricchissima, per fruttuosa vedovanza, Duchessa. Il Duca, attuale consorte, la cita in giudizio per comportamenti indecenti, “her sexual practices are those seldom found north of Marrakesh” (le sue pratiche sessuali si trovano raramente a nord di Marrakesh). Le pratiche son quelle a cui allude il titolo e che nello spettacolo torinese son pudicamente occultate, nonostante il ridicolo avviso che consiglia cautele per la visione ai minori di 16 anni (sic!?). Siamo alla solita morale pelosa: alle donne non si perdona di praticare quanto ai maschi non solo è permesso, ma è pure invidiato. Pare che in Inghilterra, in quegli anni, in connessione con le fasi finali delle udienze e soprattutto delle escussioni dei testimoni, i tabloid si sbizzarrissero a riportare e a fantasticare di fatti sempre più salaci e mortificanti per la poveretta. C’erano poi delle foto polaroid, che certificavano alcune fantasiose pratiche erotiche esercitate, riteniamo con grande soddisfazione, dalla nobildonna.L’opera dura circa due ore e sfrutta tutti gli stili e i filoni musicali che in occidente si sono succeduti dalla fine dell’800. Si inizia e si conclude, con una ciclicità ricercata, con Brazil e Maria di Bernstein languidamente intonate da alcuni dei 18 strumentisti, presenti in una fossa ideale. Si prosegue pescando ed elaborando da tutto il repertorio, accostando alla vicenda narrata i rimandi più congruenti. La Baronessa commenta le sue disgrazie, come la Marescialla nel Rosenkavalier, rimpiange la sua giovinezza. Il Direttore dell’hotel dà l’annuncio di sfratto come la statua del Commendatore impone il pentimento a Don Giovanni. Gli addii agli agi dell’Argyll non si possono non collegare ai tragici finali pucciniani di Manon e di Butterfly. Se direttamente non la musica, sicuramente le impostazioni si rifanno a Britten, prototipo dell’operismo novecentesco d’oltremanica. Il jazz, il tango, il music-hall e pure i cabaret berlinesi contribuiscono all’affastellamento del patch work di stili, meticolosamente cucito dall’abilità fantasiosa di Adés. Rendono il tutto assolutamente coinvolgente, con sostegno ed amalgama del palcoscenico, 18 formidabili e polivalenti strumentisti dell’Orchestra del Teatro Regio che si disimpegnano al meglio con un numero imprecisato di strumenti, ivi compresi una fisarmonica, un mulinello per canna da pesca e tre dischi dei freni di autovetture. Determinante la demiurgica presenza sul podio di Riccardo Bisatti, ventitreenne direttore novarese. Formidabile per concentrazione e concertazione, nulla gli sfugge e tutto suona come deve suonare. Il gesto è bello, chiaro, risoluto e sicuro. La figura, che sempre emerge, ben visibile, dalla fossa virtuale, ha tutte le qualità che la rendono apprezzabile. Crediamo che a lui, congiuntamente al regista Paolo Vettori, si debba riconoscere il merito del successo dell’allestimento. In queste opere contemporanee, in cui le melodie latitano, i cantanti sono spinti ad un recitar-cantando molto sbilanciato sulla recitazione, resa effettistica da acrobatici artifici vocali. Le quattro voci impiegate, ad eccezione del soprano drammatico Irina Bogdanova, che smessi i panni della Sacerdotessa di Aida, interpreta magnificamente la sola Duchessa, hanno più parti in commedia. Per il soprano leggero Amélie Hois, oltre alla Cameriera, di ruoli ne toccano altri quattro che lei opportunamente caratterizza con vero talento da attrice consumata e infioretta da sovracuti splendenti di ottima scuola e buona natura. Esilarante poi, quando amante del Duca, è Marilyn Monroe. L’Elettricista, il fattorino, il gigolò ecc. oggetto di tante brame e di qualche pratica della protagonista è il Tenore Thomas Cilluffo che oltre a doti attoriali può esibire, nell’intonare una melodia alla Cole Porter, la bella voce da crooner di classe. Finalmente c’è anche il cattivo Barone, che è pure direttore d’hotel e giudice, in kilt scozzese, Lorenzo Mazzucchelli, phisique du rôle comme il faut, bella voce di basso che sprofonda agevolmente sotto il rigo, fascinoso sia nel sillabato intonato che nella sciolta recitazione. Per il mimo Marco Caudera, che in un primo tempo non compariva in locandina, c’è stata forse una fortunata introduzione in scena dell’ultimo minuto. A lui è toccato il non ingrato compito di sottoporsi ai piaceri carnali della Duchessa, dopo aver provveduto con solerzia ai doveri del servo di scena. La sua prestazione ci ha fortemente emozionati quando, come compianto sulla decaduta Duchessa, si lancia in un ballo solitario ad immagine di quanto avvenuto realmente, qualche giorno prima della recita, a Parigi e riportato con evidenza da tutti i media, ad opera di un marito, davanti alla bara della moglie, trucidata da un folle. Il pubblico, delle due recite a cui abbiamo assistito, riempie la sala e mostra, se non entusiasmo, un vivo apprezzamento per lo spettacolo. Gli applausi non sono avari e si intensificano significativamente per i ringraziamenti finali. Viene dato il giusto merito a tutti: orchestrali, attori ed operatori. La comparsa in proscenio di regista e direttore fa comunque di molto aumentare l’intensità dell’applauso. Opera contemporanea, seppur non di primissimo pelo, è stata la sfida lanciata dal teatro, il pubblico l’ha positivamente accolta. Tutti ci si augura che anche da qui possa partire un ampliamento dell’assai asfittico e pietrificato repertorio del teatro torinese.