Milano, Teatro alla Scala:”Lucia di Lammermoor”

Milano, Teatro alla scala, Stagione d’opera e balletto 2022/2023
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano da “The Bride of Lammermoor” di Walter Scott
Musica di Gaetano Donizetti
Enrico Ashton BORIS PINKHASOVICH
Lucia Ashton LISETTE OROPESA
Edgardo JUAN DIEGO FLOREZ
Arturo LEONARDO CORTELLAZZI
Raimondo CARLO LEPORE
Alisa VALENTINA PLUZHNIKOVA
Normanno GIORGIO MISSERI
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Luci Vinicio Cheli
Video
Milano, Teatro alla Scala, 23 aprile 2023
Previsto per l’apertura della stagione 2020/21 e poi annullato per l’epidemia di SarsCov 19 il nuovo allestimento di “Lucia di Lammermoor” firmato da Chailly e Kokkos arriva ora sul palcoscenico del Piermarini. Un nuovo allestimento del capolavoro donizettiano prodotto mancava a Milano dal 1983 – in seguito si erano allestiti quello coprodotto con Torino firmato da Pier’Alli e si era importato quello newyorkese di Mary Zimmermann – e quindi non si può nascondere l’attesa che circondava la nuova produzione.
L’edizione proposta da Riccardo Chailly è quella critica a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker quindi non solo con l’apertura di tutti i tagli di tradizione ma con tutte le varianti strumentali e agogiche ricavate dallo studio dei manoscritti. Chailly – che in altre prove in repertori simili – non aveva pienamente convinto qui mostra invece un’attenzione e una sintonia con la partitura davvero ammirevoli. Musicista raffinatissimo Chailly si concentra come nel suo gusto interpretativo nella cura dei dettagli ma riesce anche a mantenere un’unità di fondo e una freschezza teatrale che non sempre gli abbiamo riconosciuto. Lucia come manifesto del romanticismo italiano trova in lui un interprete convinto.  Basti ascoltare l’arpa che introduce all’entrata della protagonista raramente sentita in modo così nitido e con un carattere altrettanto lunare e melanconico. La stessa cura si nota in tutto lo sviluppo della partitura a cominciare dal tono cupo, funereo dei corni nel preludio fino alla dolente intensità con cui gli archi accompagnano la scena finale di Edgardo. I colori orchestrali sono cupi, densi, illuminati dalla luce spettrale di autentici lampi sonori. La dinamica è sostenuta, con un ritmo teatrale molto marcato. I tempi anche se tendenzialmente distesi mostrano un giusto scarto tra le sezioni rendendo palese il senso di ansia e di furore che domina le “cabalette” o la stretta del finale secondo. La rinuncia alla cadenza nella scena della follia sacrifica un po’ il carattere sonoro della glass-hrmonica che appare schiacciata nel tessuto orchestrale ma è l’unica piccola puntualizzazione a una direzione che è stata l’elemento catalizzante dello spettacolo.
Magistrali le prove dell’orchestra e del coro capaci di rendere alla perfezione tutte le sfumature espressive della direzione contribuendo in modo determinante alla riuscita dello spettacolo.La compagnia di canto è complessivamente convincente pur lasciando adito a qualche distinguo. La vocalità di Lucia è uno dei temi oggetto da sempre di discussione. La rivoluzione portata dalla Callas e dalle sue eredi ha fatto emergere il carattere drammatico del ruolo togliendolo alla tradizione dei soprani leggeri che l’avevano a lungo monopolizzato. In anni più recenti si è vista  un’inversione di tendenza con il ritorno in auge di soprani di coloratura come destinatari del ruolo. È una scelta su cui si può legittimamente discutere ma è innegabile che muovendosi in questa direzione è difficile immaginare interprete migliore di Lisette Oropesa. Soprano “leggero”,  ma dalla voce per nulla piccola, anzi ricchissima di suono e ben proiettata, dominante anche sulle più compatte masse orchestrali. Autentica belcantista la Oropesa si affida a un magistrale controllo del fiato che le permette un’emissione omogenea e flautata, compatta su tutti i registri, acuti facili e ricchi di suono, mezzevoci pulitissime, colorature nitide e precise, prese di fiato e portamenti impeccabili. Interprete raffinata e sensibile fonde pulizia tecnica ed espressività con assoluta naturalezza. La sua è una Lucia liliale, quasi infantile nell’innocente candore del primo atto, incapace di opporsi al mondo che la circonda e in cui la follia diventa l’unica via di fuga. Manca forse il  pathos tragico ma è una legittima scelta interpretativa. La Oropesa è poi attrice perfettamente credibile in scena. Il gesto misurato e preciso, il volto espressivo e cangiante, la capacità innata di concentrare l’attenzione contribuiscono alla resa complessiva del personaggio.
Juan Diego Florez non trova in Edgardo un personaggio ideale. Canta sempre molto bene con l’eleganza e il gusto che ben si conosce. Tutta la scena conclusiva è cesellata con estrema eleganza, gli acuti sono sicuri, l’accento sempre giusto e appropriato. Il timbro si è fatto più brunito e questo giova nella parte. Manca però una maggior sonorità nei centri di cui soffre soprattutto nel finale secondo dove la voce tende a sparire sommersa da nella massa corale e orchestrale e dove non viene troppo aiutato da Chailly che non lesina sul volume orchestrale.Boris Pinkhasovich è un Enrico dal timbro chiaro e giovanile, facile negli acuti e con buona sonorità. Mostra però una certa superficialità espressiva con alcune cadute verso una platealità fin troppo verista come nell’attacco di “Se tradirmi tu potrai”. Carlo Lepore è un Raimondo dal canto morbido e rifinito, capace di tratteggiarne una cifra di dolente umanità.
Un po’ flebile l’Arturo di Leonardo Cortellazzi mentre molto validi Giorgio Misseri (Normanno) e Valentina Pluzhnikova (Alisa).
Yannis Kokkos forma uno spettacolo perfettamente nel suo stile, con quella cifra di statica eleganza che ben si conosce. La vicenda è trasposta agli anni ’20 del Novecento in un’estetica fortemente influenzata dall’art decò che ispira le grandi sculture che dominano la scena. I costumi sono sobri e volutamente un po’ spenti, un mondo grigio i cui ancor di più risalta il candore delle vesti di Lucia. Molto belli gli esterni con la grande foresta illuminata da una luna velata e sullo sfondo il profilo del castello con le finestre accese. Impianto arricchito da sculture di cani da caccia nella prima scena – il tema della caccia e della preda braccata ritornano più volte – e dalla figura femminile quasi liquida della tomba della madre nella seconda. Nonostante gli abiti moderni la cifra romantica dell’opera è perfettamente colta. Nel III atto ritroviamo le scalinate che di Kokkos sono quasi motivo firma qui arricchite dalle suggestive sculture delle tombe dei Rawenswood. Gli interni quasi berganiani sono più anonimi ma teatralmente efficaci.  Più trascurato il lavoro sulla recitazione con le masse corali quasi immote e una gestualità fin troppo convenzionale su cui si eleva solo il talento scenico della Oropesa.
Sala finalmente gremita – le recite pomeridiane funzionano e la dirigenza scaligera dovrebbe prenderne maggiormente atto – e successo veramente convinto con applausi trionfali per Chailly e Oropesa. Foto Brescia & Amisano