Venezia, Teatro La Fenice: Schumann e Wagner secondo Hartmut Haenchen

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Hartmut Haenchen
Robert Schumann: “Genoveva”, ouverture; Richard Wagner:”Siegfried-Idyll” WWV 103 per piccola orchestra; Robert Schumann: Sinfonia n. 4 in re minore op. 120 (1841)
Venezia, 2 aprile 2023
Lo Schumann, in qualità di fondatore dell’opera tedesca (rappresentato dall’Ouverture della Genoveva) ma anche di innovatore del genere sinfonico viennese (attestato dalla Quarta sinfonia) era presente nel programma del concerto, diretto da Hartmut Haenchen, insieme al Wagner intimistico del Siegfried-Idyll. Già fattosi apprezzare dal pubblico veneziano, il maestro di Dresda si è confermato un punto di riferimento per il repertorio tedesco, conquistando gli spettatori col suo gesto autorevole e la sua padronanza del codice estetico cui rimandano i titoli proposti. Più che trentenne, Schumann non si era ancora cimentato nella composizione di un’opera, nonostante aspirasse a dare un suo contributo allo sviluppo di un teatro musicale tedesco. La ricerca di un soggetto convincente – tra storie esotiche, saghe nordiche e vicende della Germania medioevale, che al suo tempo andavano per la maggiore – restò a lungo infruttuosa. Alla fine il sommo musicista si lasciò sedurre dalle vicende di Genoveva, una giovane sposa insidiata dal perfido Golo, approfittando dell’assenza del il marito, il Conte del Trierland, in guerra contro i Mori, nell’anno 730. L’anima inquieta del seduttore affascina Schumann, che lo caratterizza musicalmente con un trillo cupo, rabbioso, graffiante, che pone – siamo nel 1847 – all’inizio della prima parte dell’Ouverture dell’opera. Suggestiva la lettura di Haenchen nel sottolineare il contrasto tra l’introduttivo Langsam – due accordi di tutta l’orchestra, seguiti dal “declamato” dei violini – e appunto la sigla “nera” di Golo, intonata da viole e fagotti, mentre nella seconda parte, implorante e incalzante, hanno primeggiato i corni, con i loro interventi ineccepibili, fino alla coda conclusiva: una parata trionfale in crescendo fino al fortissimo che chiude il pezzo.
Quanto al Siegfried-Idyll, il brano fu scritto da Wagner nella Villa di Tribschen sul Lago di Lucerna, per fare una sorpresa alla moglie Cosima nel giorno del suo trentatreesimo compleanno, il 25 dicembre del 1870, un anno che costituì una parentesi serena nella travagliata vita dell’autore: il 25 agosto aveva regolarizzato col matrimonio la sua settennale relazione clandestina con Cosima; l’anno prima, il 6 giugno, era nato il tanto atteso figlio maschio, Siegfried. Per questo straordinario biglietto di auguri il compositore utilizzò due temi originariamente concepiti per un quartetto d’archi, rimasto incompiuto, abbozzato mentre era ospite di re Ludwig di Baviera presso il Castello sul lago di Starnberg. Il primo indica il risveglio di Cosima, l’altro il balbettìo mattutino del piccolo Siegfried. Due temi che ritroviamo anche nel Siegfried, seconda giornata del Ring, ad indicare rispettivamente il risveglio di Brünhilde e il cinguettare dell’Uccellino della foresta. Una tenera dolcezza si è colta nell’esecuzione proposta da Haenchen, che si è svolta tra sonorità morbide e festose, a caratterizzare i motivi che si avvicendano e si intrecciano in questa Hausmusik, tra cui compare anche la ninna nanna di tutti bambini tedeschi.
Ha concluso il concerto l’ultima sinfonia del catalogo schumanniano, anche se quella che oggi si indica con numero 4, in realtà venne concepita per seconda. Vagheggiando un radicale rinnovamento del sinfonismo viennese, il compositore non si accontentò di replicare il facile successo ottenuto con la sua Prima sinfonia. Tra le soluzioni innovative da lui elaborate vi era quella di basare l’architettura musicale della nuova sinfonia – cui lavora a partire dal 30 maggio 1841– su una sola cellula tematica al posto dei due temi contrastanti della forma-sonata, per conferire alla scrittura maggiore saldezza, diventandone l’elemento propulsore. Inoltre, in linea con la sensibilità romantica, sottende alla musica un’immagine letteraria, per quanto assolutamente astratta: nel caso della futura Quarta, essa può corrispondere a un cavaliere in cerca di avventura. Altro aspetto importante: i quattro movimenti si susseguono senza soluzione di continuità, caratterizzati da una forma ciclica, che ne suggella l’unità. Ultimato il lavoro qualche mese dopo, l’autore decise, per varie vicissitudini, di ritirare la partitura. Ci vorranno diversi anni perché la riprenda in mano, per farne una nuova versione, accolta dal pubblico con grande successo, a Düsseldorf nel 1853. Una versione forse appesantita nell’orchestrazione; non a caso la Fenice ha proposto quella originale del 1841. Qui Haenchen ha tratto dall’Orchestra ciò che di meglio può dare una compagine di primo livello, quando è guidata da un direttore che sa il fatto suo, evidenziando i tratti tipicamente romantici della partitura, espressione dei moti del cuore, senza perdere di vista le esigenze formali e costruttive, imposte da forme complesse e grandiose. Dopo un’aura di misteriosa attesa, si è sviluppato – nel movimento iniziale – un tema affidato a violini secondi, viole e fagotti, e poi a tutta l’orchestra, per lasciare il posto, dopo un cupo pedale staccato, a un passaggio più animato dei primi violini, che ha condotto a un episodio caratterizzato da quartine di semicrome alternativamente staccate e legate, prima del successivo sviluppo tra accenni di fugato e una dolce linea melodica. Tutt’altro clima espressivo si è colto nel movimento successivo – la parentesi lirica della Romanza – con l’oboe, raddoppiato dai violoncelli, che ha intonato con trasporto una melodia malinconica, quasi trasognata, fino dal riapparire variato, agli archi, del tema del movimento precedente, cui è seguita un’arabescata, dolce melopea in terzine del violino solo e poi la ripresa del mesto tema dell’oboe a chiudere nostalgicamente la pagina. La corsa è ripartita con lo Scherzo – anch’esso legato tematicamente al primo movimento – tra ondate degli archi su interiezioni sforzate dei fiati, mentre nel Trio è ritornata la figura arabescata della Romanza, ora però integrata nella nuova scrittura orchestrale e armonica. Nel movimento finale, dopo un pianissimo carico di presagi, l’inattesa “introduzione” lenta – nella quale alla leggerezza della nota figura in semicrome dei violini primi, hanno contrastato drammatici appelli di corni, trombe e tromboni – ha riaffermato il carattere ciclico della Sinfonia, sfociando poi nel veemente, liberatorio tripudio del Finale.Scroscianti applausi con qualche acclamazione per il maestro e gli orchestrali, soprattutto a fine concerto.