Genova, Teatro Carlo Felice: “Norma” (cast alternativo)

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione 2022/23
NORMA” (cast alternativo)
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani da “Norma, ou L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet
Musica
Vincenzo Bellini
Norma GILDA FIUME
Adalgisa ANNA DOWSLEY
Pollione ANTONIO CORIANÒ
Oroveso MARIANO BUCCINO
Clotilde SIMONA DI CAPUA
Flavio BLAGOJ NACOSKI
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice Genova
Direttore Riccardo Minasi
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Stefania Bonfadelli
Scene Serena Rocco
Costumi Valeria Donata Bettella
Coreografie Ran Arthur Braun
Luci Daniele Naldi
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna
Genova, 06 maggio 2023
La “Norma” vista di recente al Carlo Felice di Genova dimostra una singolare attenzione ai problemi filologici che questa partitura belliniana reca con sé: versione milanese o napoletana? Norma soprano e Adalgisa mezzo o viceversa? A Genova si risolve così: versione scaligera con Norma piu “scura” di Adalgisa con un cast, versione tradizionale, nella forma e nell’assegnazione dei ruoli, con un altro, così il melomane se li può godere entrambi senza lamentarsi. E in effetti, c’è ben poco di cui lamentarsi dell’apparato musicale di questa produzione: l’orchestra è ben diretta dal maestro Riccardo Minasi, con grande attenzione all’equilibrio tra le componenti orchestrali e alla coesione con la scena. L’ouverture è giustamente salutata con entusiasmo dal numeroso e variegato pubblico del sabato pomeriggio che affolla la non piccola sala del Carlo Felice. Gilda Fiume è una Norma che già conosciamo, e riconferma appieno le sue doti e i suoi limiti: colori algidi e suono pieno, bel sostegno su tutta la tessitura, registro acuto preciso, anche una certa applicazione scenica, che non guasta, ma il fraseggio ci suona convenzionale, così come l’approccio al ruolo rimane in superfice. Accanto a lei spicca Anna Dowsley come un’Adalgisa fisicamente e vocalmente affascinante; il colore singolarmente brunito del mezzosoprano australiano si esprime appieno nei centri, ma anche il registro acuto viene affrontato con sicurezza espressiva. Il duetto del primo atto vede due voci splendidamente armonizzate, parimenti valide sul piano musicale, ma dall’interpretazione più decisa sul versante di Adalgisa. Il tenore Antonio Corianò (Pollione) forse non era in giornata: nonostante un approccio agli acuti non a fuoco, ha mostrato l’abilità di piegare il ruolo alla propria capacità e ha saputo portare a fine la recita con onesta professionalità.  Corianò è interprete intelligente, e già dal duetto con Adalgisa inizia a costruire una prova tutta all’insegna della morigeratezza – posto che comunque il mezzo vocale c’è, con la sua naturalezza nell’emissione, la dizione scandita, i suoi smalti metallici. Altra conferma si rivela Mariano Buccino (Oroveso), ormai uno dei bassi più interessanti, grazie alle volumetrie ampie e controllate, la vasta gamma espressiva sempre ben padroneggiata, la qualità vocale e la tecnica indiscutibili. Nell’alveo di correttezza e di sicura professionalità anche gli altri ruoli: la Clotilde di Simona di Capua, il Flavio di Blagoj Nacoski. Il coro del Teatro, sotto la guida del maestro Claudio Marino Moretti, si riconferma compagine potente e fornisce una singolare prova di forza e presenza scenica. Peccato che invece l’apparato creativo della produzione si riveli non all’altezza: come ha modo anche di scrivere nelle note di regia, Stefania Bonfadelli si focalizza su un solo tema, cioè l’orrore della guerra. Avanguardia pura, insomma. Per sostenere la sua idea riempie l’ouverture e diverse scene di azioni gratuitamente violente – pestaggi, omicidi, stupri di gruppo. Un ricorso che non sortisce l’effetto sperato, quanto un onesto fastidio nel vedere queste immagini tremende reiterate e ridotte a una pantomima (giacché per quanto si possa tentare, il teatro non è il cinema, e ci accorgiamo se uno le prende davvero o fa finta). Inoltre questa idea di efferatezza diffusa vuole una scena e dei costumi total black, tra antracite e nero coprente, grafite e fumo, appiattendo la visione in maniera quasi insostenibile – e se le scene di Serena Rocco per lo meno prevedono un pavimento in pendenza, dei gradini, degli elementi lucidi e opachi semovibili, che conferiscano un certo movimento allo sguardo, i costumi di Valeria Donata Bettella sembrano davvero spegnere ogni personaggio, nella loro sostanziale uniformità di linee e colori. A poco servono le luci di Daniele Naldi, anche perché piazzano per quasi tutto il tempo dei cieli carichi di nuvoloni neri, anch’essi, dietro alle scene. Insomma, non si tratta di una mancanza di qualità produttiva, quanto di un’idea poco felice in sé – anche perché la partitura di “Norma” offre sì diversi spunti guerreschi e violenti, ma come altri giocati su atmosfere ben diverse (e così tutta l’azione tra primo e secondo atto finisce genericamente in proscenio, con interpreti spaesati, quasi in disposizione da concerto). Le opere “nere” – che esistono – sono altre: “Norma” avrebbe meritato ben più luci e colori. Il pubblico – tumultuoso e singolarmente partecipe – apprezza soprattutto Adalgisa, e la Dowsley si gode giustamente la sua pioggia d’applausi sul finale.