Novara, Teatro Carlo Coccia: “Il barbiere di Siviglia”

Novara, Fondazione Teatro C. Coccia, stagione lirica 2023
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Opera in due atti su libretto di Cesare Sterbini dall’omonima commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioacchino Rossini
Il Conte d’Almaviva CHUAN WANG
Don Bartolo MICHELE GOVI
Rosina AYA WAKIZONO
Figaro EMMANUEL FRANCO
Don Basilio ABRAMO ROSALEN
Berta GIOVANNA DONADINI
Fiorello/ Un ufficia MATTEO MOLLICA
Ambrogio EDOARDO SMARIGLIA MORESI
Orchestra filarmonica italiana
Coro As.Li.Co
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Alberto Jona
Scene Matteo Capobianco
Costumi Silvia Lumes
Luci Ivan Pastrovicchio
Novara, 15 maggio 2023
Il ritorno a Rossini – con il quale il teatro novarese ha ormai un rapporto privilegiato – permette alla stagione del Teatro Coccia di superare il mezzo passo falso de “Il trovatore” e di ripartire con slancio. La nuova produzione de “Il barbiere di Siviglia” – prodotta internamente dal teatro novarese – non delude le attese unendo uno spettacolo assai convincente con una compagnia di canto valida e ben equilibrata.
La regia di Alberto Jona mostra come il teatro novarese sia ormai in grado di produrre in proprio spettacoli assai complessi anche sul piano scenico. L’allestimento parte da una base tradizionale forzandola con un tocco quasi cartoonistico. L’epoca è sostanzialmente rispettata – con una marcata contrapposizione tra i vecchi ancora legati anche visivamente al Settecento e i giovani ormai pienamente inseriti nella nuova moda imperiale post-rivoluzionaria – ma rivista con ironia e distacco. I costumi sono coloratissimi e fortemente caratterizzati per i vari personaggi: Don Basilio – qui un laico – ha il vestito bordato da un motivo a tasti di pianoforte che Don Alonso riprenderà nel suo travestimento, il costume di Figaro e decorato da pettini e forbici, Rosina  vestita come una porcella cinese della sovraccarica casa che la opprime – la regia fa di Bartolo una sorta di accumulatore seriale, Berta con il suo enorme guardinfante parodizza certe mode del secolo precedente. L’impianto scenico fonde costruito e proiettato. La casa di Don Bartolo è una struttura architettonica rotante che poi si apre come un libro illustrato per mostrare gli interni mentre sul fondo un gioco di ombre proiettate – ottimamente realizzate da Controluce Teatro d’Ombre – mostra prima un fondale carico di suggestioni sivigliane e poi richiami simbolici allo sviluppo dell’opera fino alla rappresentazione del temporale del II atto. Entrambi gli elementi tendono spesso a muoversi e a ruotare dando un senso di equilibrio precario con cui la regia vuole rendere quel clima di grandi speranze ma anche di mancanza di certezze in cui si trovava a vivere l’Europa dopo l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica, quando l’antico regime è ormai caduto ma il nuovo non si è ancora delineato con chiarezza. La recitazione è spigliata, brillante, giustamente accattivante – anche grazie a una compagnia molto convincente sotto quest’aspetto – e il pubblico, finalmente presente in massa, è apparso convinto e divertito.Christopher Franklin alla guida dell’Orchestra Filarmonica italiana fornisce una direzione briosa e pimpante, con ottimo ritmo teatrale e notevole freschezza di colori, forse solo un poco pesante nelle sonorità di certe strette, che garantisce allo spettacolo il giusto passo teatrale. Pienamente convincente anche la prova del coro As.Li.Co guidato da Massimo Fiocchi Malaspina. L’opera è stata eseguita quasi integralmente con il solo taglio di “Cessa di più resistere”.
Aya Wakizono è una specialista di questo repertorio. Uscita dall’Accademia rossiniana di Pesaro e presenza abituale al ROF ha tutte le carte in regola per essere un’ottima Rosina. La voce è scura, calda, molto bella, sicurissima la tecnica nei passaggi di coloratura – qualche incertezza nelle discese al grave non compromette la tenuta complessiva della vocalità – fraseggio vivace e spumeggiante. La Wakizono è anche un’attrice simpatica e coinvolgente e dispone di una bella figura che di certo non stona per il ruolo. Il successo è stato più che meritato.
Figaro è Emmanuel Franco, baritono messicano noto principalmente per le registrazioni del festival di Bad Wildbad. L’ascolto dal vivo testimonia una voce rimarchevole per squillo e proiezioni, ricca di armonici e particolarmente sonora. Il suo Figaro sfoggia poi un temperamento mercuriale e un’innegabile personalità. Certo gli acuti soffrono di un vibrato fin troppo evidente ma il personaggio è centrato e il successo è stato caloroso.
La coppia dei vecchi è parsa ben assortita. Michele Govi (Don Bartolo) è cantante di grande esperienza. La voce è un po’ anonima come timbro e colore ma conosce tutti gli artifici del caso, sciorina con naturalezza i passaggi sillabati e interpreta con convinzione dando un carattere anche più umano del solito al personaggio. Abramo Rosalen è un Don Basilio di bella pasta vocale e dal taglio meno caricaturale del solito, cosa che non si può non apprezzare.
Un po’ sotto tono l’Almaviva di Chuan Wang. Voce elegante, musicale, con buona conoscenza stilistica ma limitata come proiezione e non particolarmente squillante negli acuti. Anche come interprete ci è parso più timido dei colleghi così il Conte è risultato nel complesso un po’ sotto tono. Giustificato all’ascolto il taglio del rondò, prova ancora eccessiva per il giovane tenore.
Vocalmente corretta e molto spigliata scenicamente la Berta di Giovanna Donadini. Ottimo Matteo Mollica nel doppio ruolo di Fiorello e dell’Ufficiale che nel II atto la regia trasforma nello stesso Rossini che interviene direttamente in scena. D’insolita evidenza l’acrobatico Ambrogio di Edoardo Sgariglia Moresi che insieme ai figuranti ha un ruolo non secondario nel movimentare l’allestimento. Sala gremita e successo calorosissimo, questa volta il pubblico novarese ha giustamente premiato l’impegno del teatro cittadino.