Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2022-2023
“ORFEO ED EURIDICE”
Azione teatrale per musica in tre atti sul libretto di Ranieri de’ Calzabigi (versione: Vienna 1762)
Musica di Christoph Willibald Gluck
Orfeo CECILIA MOLINARI
Euridice MARY BEVAN
Amore SILVIA FRIGATO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore e maestro al cembalo Ottavio Dantone
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Light designer Massimo Gasparon
Movimenti coreografici Marco Berriel
Musici mimi Asolo Musica
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 28 aprile 2023
La storia operistica è profondamente segnata, fin dalle origini, dalle tante rivisitazioni del mito di Orfeo: il cantore, che con la sua arte commuove gli spiriti dell’Oltretomba, non poteva non affascinare i pionieri del melodramma, così come i loro successori, almeno fino alla fine del XVIII secolo. Ne abbiamo piena conferma considerando i titoli messi in cartellone, nel Seicento e nel Settecento, dai teatri veneziani. Tra essi figura anche il Teatro La Fenice, che a soli tre anni di distanza dalla sua inaugurazione (13 maggio 1795) mette in scena per la prima volta Orfeo ed Euridice di Ferdinando Bertoni, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi. Quasi un secolo dopo (17 marzo 1889) le mitiche vicende di Orfeo tornano sul palcoscenico del maggiore teatro veneziano con Orfeo ed Euridice di Gluck – prima assoluta: Burgtheater di Vienna, 5 ottobre 1762 –, basato sullo stesso testo poetico del Calzabigi. La versione originale viennese torna in scena, in questo periodo, alla Fenice. Sul podio un profondo conoscitore della prassi esecutiva del periodo barocco: Ottavio Dantone. Regista: Pier Luigi Pizzi, che non necessita davvero di presentazione. In linea con lo spirito della “riforma gluckiana” – che puntava, in base al nuovo gusto razionalista dell’epoca, a una rappresentazione, libera da tutti gli orpelli tipici del barocco, semplificando l’azione scenica –, l’idea-base del regista milanese, da cui derivano diverse altre scelte fondamentali per lo spettcolo, è che Euridice sia per Orfeo l’incarnazione della musica, l’espressione dell’essenza prima di tale arte. Alla razionalizzazione del melodramma corrisponde, tra l’altro nello spettacolo di Pizzi, la quasi totale assenza dei balletti, che vengono proposti come semplici episodi strumentali, senza la parte coreografica, considerando inopportune, ai fini drammaturgici, le consuete esibizioni di atletici danzatori. Sulla scena, invece, compare un piccolo complesso di musicisti-mimi (prestati da Asolo Musica), rappresentanti gli amici di Orfeo, che – a seconda dei momenti – lo confortano, lo proteggono e, alla fine, lo festeggiano. La loro presenza è una sorta di richiamo “visivo” alla necessità della musica, vero motore dell’azione drammatica. Al Coro – sempre in base alla concezione di Gluck e Calzabigi, che guarda alla tragedia greca – è destinato un grande spazio sul proscenio, in primissimo piano. Con la sua assidua presenza sulla scena, ha il compito di dar voce agli affetti. Le grige tuniche, che indossa qualificano un’umanità fossile, che assiste alla sopravvivenza di un mito eterno, rinnovantesi nei secoli, fino a poter coinvolgere due giovani amanti dei nostri giorni. Tali sono i protagonisti di questo nuovo allestimento dell’opera gluckiana: un allestimento misurato, essenziale, stimolante, a conferma che chi ha le idee chiare non ha bisogno di escogitare chissà quali trovate, magari prive di ogni evidenza drammaturgica, pur di mettersi in mostra. Altri aspetti salienti di questa messinscena sono: all’inizio, l’evocazione poetica di un cimitero con i sepolcri “all’ombra dei cipressi” di foscoliana memoria; alla fine, l’apoteosi di Amore, intesa come festa della musica, che – com’è naturale – si svolge in un teatro, il “nostro” teatro: il Teatro La Fenice. Oculato ed efficace anche l’uso delle proiezioni che mostrano, nel mondo dei vivi, un cielo mutevole, ora plumbeo ora più sereno; all’ingresso dell’Oltretomba sinistre folate di fuoco; nei Campi Elisi una distesa marina, di fronte alla quale Euridice danza – unico momento coreutico dello spettacolo – per proporre nel gioioso finale la neoclassica facciata della Fenice. Da parte sua, Ottavio Dantone – che al cembalo contribuisce a ricreare il tipico colore dell’orchestra settecentesca – ottiene dagli strumentisti una prestazione energica, vivace, incisiva sia nel ritmo che nella dinamica. In perfetta sintonia con la concezione registica, tutto è funzionale all’azione drammatica, anche il rapporto complementare tra l’orchestra e le voci, che affrontano arie e recitativi accompagnati con pari intensità espressiva.
Quanto ai cantanti, il mezzosoprano Cecilia Molinari (Orfeo) è perfettamente a suo agio nel rendere il succedersi repentino, nell’animo del protagonista, di differenti – talora opposti – stati emotivi, potendo contare su un timbro gradevolmente brunito e un fraseggio che sottolinea ogni sfumatura del testo, a livello sia fonetico che espressivo, in una perfetta simbiosi con la musica. Le ha pienamente corrisposto l’Euridice di Mary Bevan – un soprano dal timbro puro, capace di una ricca espressività –, che analogamente si dibatte tra sentimenti contrastanti, tra la vita e la morte, tra la luce e l’ombra. Piena di verve è risultata la prestazione di Silvia Frigato, nel ruolo di Amore – deus ex machina, che imprime un lieto fine alla vicenda –, la quale ha esibito un timbro di adamantina chiarezza e una gestualità adeguata al carattere estroverso del personaggio, segnalato anche dai calzini rossi, che spuntano ogni tanto dall’orlo della sua veste nera. Ineccepibile per sensibilità interpretativa, chiarezza nella dizione, musicalità – oltre che per presenza scenica – il Coro, istruito dal maestro Caiani. Caloroso successo con lunghi applausi e numerose chiamate.