Torino, Auditorium RAI: Il debutto del pianista Mao Fujita con l’orchestra RAI diretta da Alessandro Bonato

Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino.Stagione Sinfonica 2022-23.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Alessandro Bonato
Pianoforte Mao Fujita
Wolfgang Amadeus Mozart: Ouverture da La Clemenza di Tito K.621, Concerto n.25 per pianoforte e orchestra in La Maggiore K.488;  Pëtr Il’ič Čaikovskij: Sinfonia n.1 in sol minore op.13 “Sogni d’Inverno”
Torino 19 maggio 2023
Il ventottenne direttore veronese Alessandro Bonato, in rapida ascesa nei gradimenti di critica e pubblico, è subentrato, pochi giorni prima del concerto, all’indisposto Leonidas Kavakos. Questo cambio, visti gli ottimi risultati dell’esecuzione, crediamo sia stato il motivo della variazione dell’impaginato: l’introduzione della prima sinfonia di Čaikovskij in sostituzione della programmata sesta di Prokofiev.I due brani mozartiani di avvio di serata, la sinfonia della Clemenza di Tito e il concerto per pianoforte K 488, non sono parsi completamente congeniali né al direttore, né all’orchestra. Suono poco variato ed eccessiva omogeneità di linee hanno frenato il volo ad uno dei concerti più articolati ed aerei del salisburghese. Si è trattata di un’esecuzione di professionale buona routine. Il ventiquattrenne giapponese Mao Fujita, che già si è distinto in molti concorsi ed è tra i più dotati ed apprezzati pianisti delle nuove generazioni, ha trovato qualche difficoltà nel far valere le sue doti sul mezzoforte costante di un’orchestra sostanzialmente compatta e monolitica. Il ragazzo esprime un pianismo brillante, sfumato ed intimo, assolutamente inadatto agli scontri con una compagine che lo sopravanza. Per lui saranno certamente più appropriati i concerti da camera e le sale d’incisione. Il suo pianoforte ha sempre un suono delicato che possiede, grazie alla varietà e alla brillantezza del tocco, una luminosità intrinseca che si manifesta appieno in una linea interpretativa, almeno per il Mozart in esecuzione, dissemina di imprevisti ed improvvisi abbellimenti, quasi rimandi ad una galanteria da salotto rococò. Questa linea di morbido e discreto virtuosismo è assolutamente evidente negli impeccabili due bis offerti: di Chopin lo Studio in La Bemolle Maggiore op.25 n.1 e di Prokofiev il Preludio op.12 n.7. Grande il successo e vivaci gli apprezzamenti sonori provenienti dai giovani, quasi coetanei, che affollano galleria e balconata. Il pianista, con stupore e sorpresa, ha risposto con la discrezione e la contenuta emozione che da noi si ritengono tipiche degli abitanti di quelle lontane isole. Cambia autore e cambia sia l’approccio del direttore che dell’orchestra. Il suono si tinge di mille sfumature e contemporaneamente scompaiono la rigidità metronomica e la monotonia dei timbri. Anche le mani del direttore seguono altri percorsi; se in Mozart le braccia molto alzate e parallele dettavano il tempo, qui, raggiunta una totale indipendenza, la destra continua il governo del tempo, la sinistra è però libera di modellare incessantemente intensità e qualità del suono. Già dalle prime battute ci si immerge in un universo che si intuisce intimamente congeniale agli esecutori. Le sezioni orchestrali splendono per chiarezza e vivacità. Gli archi gravi, in forze, riversano sul pubblico il loro velluto e i legni la loro maestria. I corni, con il primo leggio Ettore Bongiovanni in un eccezionale stato di grazia, trapuntano mirabilmente l’intera esecuzione. Il primo movimento Allegro tranquillo allude ad un confortevole viaggio invernale, su troike trapuntate di calde pellicce e scivolanti su distese di steppe ghiacciate, tra scorrenti villaggi di contadini in festa. Il secondo, Adagio cantabile ma non troppo “Landa buia e nebbiosa”, sempre con serenità, ci sorprende con visioni di indistinti paesaggi a cui danno vita, sui ricami del flauto di Alberto Barletta, l’oboe di Francesco Pomarico, il clarinetto di Enrico Maria Baroni e il fagotto di Francesco Giussani. Lo sfondo vellutato di viole, violoncelli e contrabbassi completa la visione da sogno. Con il terzo movimento Scherzo si pattina sul ghiaccio e come danza, in luogo del consueto trio delle sinfonie classiche, l’orchestra intona un meraviglioso valzer. Il Finale celebra la Russia e le sue tradizioni: ritmi popolari e fanfare da cerimonia religiosa, canti di fedeli tra il fumo di mille candele. È il movimento che più imparenta quest’opera meravigliosa e troppo negletta, al popolare filone alternativo della musica russa, quello dei Mussorgskij, dei Borodin e del loro Gruppo dei Cinque a cui Čaikovskij mai si associò. Bonato e l’OSN RAI, con una strepitosa esecuzione, avvincente ed esemplare, si fanno meritatamente a lungo applaudire da un pubblico rinforzato con una nutrita schiera di giovani e giovanissimi entusiasti.