Véronique Gens – Sandrine Piau: “Rivales”, “Nuit”, “Enchantresse”

Pierre Alexandre Monsigny: “Où suis-je?” (“La Belle Arsène”), Jean-Fréderick Edelmann: “Mais Thésée est absent” (“Ariane dans l’isle de Naxos”), Johann Christian Bach, “Me infelice! Che intendo?” (“La clemenza di Scipione”), Christoph Willibald Gluck; “Se mai senti” (“La clemenza di Tito”), “Divinités du Styx” (Alceste), Louis-Luc Loiseau de Persuis: “Ô divinité tutélaire” (“Fanny Morna, ou l’Écossaise”), André-Ernest- Modeste Grétry: “Dès notre enfance unis tous deux” (“L’Embarras des richesses”), Luigi Cherubini: “Un moment à l’autel” (“Démophoon”), Antonio Sacchini: “Barbare Amour, tyran des cœurs” (“Renaud”), André-Ernest- Modeste Grétry: “Cher objet de ma pensé” (“Aucassin et Nicolette, ou Les mœurs du bon vieux tems”), Nicholas Dalayrac, “Ciel protecteur des malheureux”(“Camille, ou Le souterrain”). Sandrine Piau e Véronique Gens (soprani); Le Consert de la Loge, Julien Chauvin (direttore). Registrazione: Abbazia di Saint-Michel en-Triérache, 21-22 giugno 2021. 1 CD Alpha Classics ALPHA 824.
Rivales” così s’intitola il nuovo CD Alfa dedicato a due protagoniste indiscusse della vita musicale francese negli anni di Luigi XVI: Madame Dugazon e Madame Saint-Huberty. Il titolo in realtà è un po’ una forzatura non essendo attestata nessuna diretta rivalità tra le due. Certamente si dividevano gli entusiasmi del pubblico ma ciascuna si era ricavata un proprio ambito lontano dal possibile confronto. Le loro per molti aspetti sono vite parallele, vite esemplari in quella stagione di giovani cresciuti nelle speranze di un grande rinnovamento e che di fronte alla rivoluzione videro il loro mondo travolto nel modo più totale. Figlie entrambe della borghesia emergente del tardo Settecento, entrambe fedeli alla monarchia e costrette all’esilio durante la rivoluzione fino al diverso epilogo. Più sereno per la Dugazon capace di ritornare sulle scene passata la tempesta del Terrore, più tragico per la Saint-Huberty caduta vittima a Londra dell’astio di Bonaparte.
Epilogo diverso che sembra accordarsi con le carriere delle due cantanti. La Saint-Huberty eroina tragica, protagonista assoluta dell’opera neoclassica e riformata – fu la prima a rinunciare ai costumi tradizionali e a presentarsi in scena con un semplice peplo nell’”Ariane dans l’île de Naxos” di Edelmann) – prediletta da Gluck, Piccinni, Salieri. Voce di mezzosoprano – spesso impegnata in ruoli sopranili che ne hanno accorciato precocemente la carriera – le fonti la ricordano per l’intensità drammatica del canto e la forza dell’accento, punto di partenza di quella tradizione tutta francese che porterà alla Falcon.
La Dugazon era soprano lirico specializzata in ruoli di mezzo carattere dal canto brillante e sentimentale, regina indiscussa dell’opéra-comique e musa di compositori come Gretry. Nella seconda parte della carriera si è cimentata in ruoli più drammatici e dalla tessitura meno acuta – segno di un progressivo declino vocale – specializzandosi durante l’Impero in ruoli materni che i compositori scrivevano appositamente per lei.
Amiche e non certo rivali le due protagoniste vocali chiamate a dar voce alle dive settecentesche. Sotto la guida di Julien Chauvin e accompagnate dallo splendido complesso Le Concert de la Loge troviamo Sandrine Piau nei panni della Dugazon e Véronique Gens in quelli della Saint-Huberty.
I brani scelti rientrano per lo più nel repertorio delle due cantanti, con alcune eccezione di cui manca documentazione – come il duetto “Me infelice. Che intendo?” da “La clemenza di Scipione” composta da Johan Christian Bach per Londra nel 1778 e difficilmente nota a Parigi – ma la piacevolezza dell’ascolto compensa ampiamente i dubbi filologici. Gran parte dei brani proposti sono alla prima incisione discografica.
La Gens è perfettamente a suo agio nelle arie scritte per la Saint-Huberty. Perfetta per lei la tessitura ibrida tra il mezzo e il soprano così come particolarmente congeniale è il rilievo espressivo dato al canto sulla parola. L’aria di Arianna “Mais, Thesée est absent” è una delle splendide scoperte di questo CD. Molto vicina stilisticamente a Gluck e degna delle migliori arie del maestro l’aria incarna il dolore e l’ira di Arianna in una melodia nobile e intensa che la Gens accompagna con somma eleganza. Alla figura di Edelmann si collega un interessante aneddoto. Il compositore morì ghigliottinato nel 1794 lo stesso giorno delle suore del convento di Compiègne episodio noto agli appassionati per “Les dialogues des carmelites” di Poulenc.
Considerazioni simili possono valere per l’aria di Armida dal “Renaud” di Sacchini mentre delude lil brano più celebre del programma “Divinités du Styx” dall’”Alcesti” di Gluck a causa dei tempi troppo forzati staccati da Chauvin che le creano non pochi problemi specie sul versante dell’accento.
La Piau apre il suo programma con “Ou suis-je?” di Monsigny dove la linea vocale fresca e squillante si leva su una turbinante tempesta orchestrale. Oltre ai brani tratti da opéra-comique – molto bella anche l’aria da “Aucassin et Nicolette” di Grétry  – troviamo due brani di carattere decisamente più serio. “Ô divinité tutélaire” da “Fanny Morna” di Du Persuis è un perfetto esempio della seconda fase della carriera della Dugazon. Brano decisamente preromantico e dalle atmosfere ossianiche con una scrittura musicale decisamente rivolta verso il nuovo secolo si caratterizza per un drammatico e intenso melologo cui segue un’aria vocalmente meno complessa ma espressivamente più intensa rispetto ai ruoli affrontati in gioventù.
L’altro brano è la sublime “Se mai senti” da “La clemenza di Tito” di Gluck brano talmente riuscito e celebre da spingere Mozart ad escluderlo dalla sua versione dell’opera. La Piau è forse un poco leggera come Sesto ma la raffinata musicalità e l’eleganza dell’emissione si sposano alla perfezione a questa melodia aerea e struggente.
I duetti sono da un certo punto di vista una forzatura – le due non cantarono mai insieme – ma permettono di variare la successione delle arie solistiche e permetto di scoprire autentiche gemme poco o punto conosciute. La perfetta intesa espressiva e vocale delle due interpreti completa perfettamente il quadro.
Guillaume Lekeu: “Nocturn”, Gabriel Fauré: “La lune blanche luit dans les bois “, Hector Berlioz: “L’Ile inconnue” (“Les Nuits d’ete”), Fernand de la Tombelle: “Orientale”, Jules Massenet: “Nuit d’Espagne”; Camille Saint-Saëns: “Desir de l’Orient”, Ernest Chausson: “Chanson perpétuelle”, Franz Liszt: “La lugubre gondole”, Guy Ropartz: “Ceux qui, parmi les morts d’amour”, Gabriel Fauré: “Apres une Rêve”, Charles-Marie Widor: “Quintetto con piano n. 1 op. 7 – Molto vivace”, Marcel Lounguy: “La vie en rose”; André Messager: “J’ai deux amants” (“L’amour masqué”), Reynaldo Hahn: “La dernière valse”. Véronique Gens (soprano), I giardini. Registrazione: Liegi: Salle Philarmonique de Liége, 26-29 agosto 2019. 1 CD Alpha Rechords ALPA 589
La mélodies francese è seconda solo alla liederistica tedesca come qualità e quantità di composizioni e altrettanto felice nella capacità di costruire un rapporto organico tra poesia e musica. Rispetto al modello tedesco ha inoltre sempre mostrato una maggior libertà formale. Il dogma canto/pianoforte di fatto dominante nel mondo germanico fino alla fine del XIX secolo non è mai stato sentito con altrettanto rigore in Francia. Qui le possibilità strumentali si sono infinitamente ampliate – dal piano solo alla grande orchestra – e le composizioni hanno spesso assunto la forma di grandi cicli da concerto, quasi delle cantate, almeno a partire da Berlioz.
Piano intermedio tra il pianoforte solo e la grande orchestra i complessi da camera non sono stati ignorati per queste composizioni sia in forma originale sia come trascrizione di composizioni originariamente pensate per altro organico. Ernest Chausson compone la sua “Chanson perpétuelle” per pianoforte e quartetto d’archi e la stessa formazione è adottata da Guillaume Lekeu per la sua “Nocturne” originariamente pensata per pianoforte solo.
Queste composizioni hanno fornito lo spunto al musicologo Alexandre Dratwicki – ben noto per le impeccabili note ai programmi della fondazione Bru-Zane – di procedere alla riorchestrazione di brani originariamente pensati per altro organico alla fine di creare un programma coerente. Lo stesso Dratwicki dichiara di aver voluto ampliare il repertorio di composizioni per pianoforte e quartetto d’archi mantenendosi nello spirito delle trascrizioni ottocentesche. Le scelte si collocano all’interno di una tema comune come la notte affrontata in tutte le sue molteplici sfumature.
La realizzazione musicale del progetto è stata affidata a Véronique Gens, forse la più raffinata interprete contemporanea di questo repertorio, accompagnata dagli ottimi solisti de I giardini.
Le ciambelle non escono però tutte con il buco e nonostante la qualità degli ingredienti il prodotto finale non riesce a convincere. Il problema sta proprio nelle trascrizioni che solo in pochi esempi risultano riuscite mentre nella gran parte del programma nulla aggiungono agli originali e anzi spesso introducono elementi poco coerenti con la scrittura originale. Gli interventi degli archi non aggiungono nulla al perfetto equilibrio della “Nuit d’Espagne” di Ravel mentre “L’île inconnue” risulta assai impoverita dalla mancanza della lussureggiante orchestrazione berlioziana. Tra i brani in cui il gioco funziona meglio vi è forse l’”Orientale” di La Tombelle – originariamente per pianoforte a quattro mani – con il gioco degli archi che contribuisce ad accrescere le suggestioni arabeggianti del brano. In alcuni casi l’intervento è più radicale. “Desir de l’Orient” di Saint-Saëns è di fatto l’aria del tenore de “La princesse jaune” riadattata in versione da camera cui Drawitcki aggiunge con funzione di coda orchestrale l’allegro dell’ouverture della stessa opera. L’insieme è anche godibile nonostante la forzatura.
La Gens è come sempre bravissima e perfettamente a suo agio in questo genere di brani ma da sola non può annullare i limiti delle versioni scelte. Non è forse un caso che i brani di Chausson e Lekeu siano anche i più convincenti sul versante esecutivo grazia a una più compiuta fusione tra la scrittura musicale e l’esecuzione.
La Gens si fa sempre apprezzare per cogliere la giusta cifra stilistica di ciascuna di queste istantanee di un viaggio notturno sempre cangiante. I vagheggiamenti esotici dei già citati brani di La Tombelle e Saint-Saëns; il senso misterioso e quasi magica dell’impressionismo di Lekeu o di Fauré; l’elegante nostalgia da cabaret di “La derniere valse” di Hahn, struggente valzer dalle atmosfere meravigliosamente proustiane fino al clima sospeso tra operetta e musical di “J’ai deux amats” di Messager.
Una nota particolare la merita l’esecuzione della canzone francese più nota e amata del mondo “La vie en rose”. Qui la Gens ha il merito di evitare la tentazione di imitare certi aspetti dello stile Piaf e di ricondurre il brano a un taglio autenticamente cameristico molto suggestivo anche aiutata dalla trascrizione orchestrale che qui funziona particolarmente bene.
Il programma ha il merito di portare all’attenzione anche compositori poco noti: lo stesso Lekeu, Ropartz, Widor suscitando curiosità verso la loro produzione. Le parti cantate sono alternate da brani strumentali di cui solo l’allegro del quintetto di Widor è stato pensato per questa formazione. Vista l’importanza dell’originale sarebbe stato opportuno star lontani da “La lugubre gondole” di Liszt riscritta in modo alquanto scolastico per pianoforte e violoncello.
Georg Friedrich Händel: “Scherza in mar la navicella” (“Lotario”), “Il vostro maggio” (“Rinaldo”), “Da tempeste” (“Giulio Cesare in Egitto”), “Concerto grosso op. 6 n. 4 – larghetto”, “E pur così in un giorno…Piangerò la sorte mia” (“Giulio Cesare in Egitto”), “Concerto grosso op. 6 n. 4 – allegro”, “Alla salma infedel porga la pena” (“Lucrezia”), “Ah, mio cor” (“Alcina”), “Ouverture”, “Desterò dall’empia Dite” (“Amadigi in Gaula”), “Concerto grosso op. 6 n. 6 – largo e affettuoso”, “Tornami a vagheggiar” (“Alcina”), “Laschia ch’io pianga” (“Rinaldo”). Sandrine Piau (soprano), Les Paladins, Jérôme Correas (direttore). Registrazione: Théâtre de Poissy, ottobre 2020. 1 CD Alpha Classics ALPHA 765
Sandrine Piau già ascoltata in “Rivales” ritorna con questo recital händeliano dal titolo non troppo sincero di “Enchantresses” in quanto se qualche maga fa capolino nel programma – da Alcina a Melissa passando per Morgana – molti personaggi non hanno nulla a che fare con il mondo della magia e dell’incantamento e forse un titolo più neutro non sarebbe stato improprio. La Piau ha una lunga frequentazione con la musica di Händel e questo non è il primo CD dedicato al Caro Sassone anzi giunge quasi a tirare le fila di una ormai lunga esperienza esecutiva. La voce della Piau si è inevitabilmente modificata nel corso degli anni ma bisogna riconoscere che mostra sempre una freschezza e una sicurezza semplicemente impressionanti.  Un po’ meno di lucentezza sugli acuti è compensata da un timbro che si è fatto più caldo e morbido, più adatto anche a personaggi espressivamente più maturi. La tecnica della Piau è semplicemente mostruosa. L’emissione è di una saldezza granitica e raramente si ascoltano colorature tanto nitidamente sgratate, tanto precise e sempre espressive.La Piau è accompagnata per l’occasione dal complesso Les Paladins diretto da Jérôme Correas. La sua è una direzione apprezzabile da molti punti di vista. Brillante senza essere eccessiva – come a volte capita di ascoltare – molto curata nei dettagli e attenta a evidenziare la ricchezza della scrittura orchestrale con sonorità morbide e luminose. Gli estratti dai “Concerti grossi” op. 6 e l’ouverture da “Amadigi in Gaula” sono l’esemplificazione più riuscita di questi elementi. Convince meno l’uso eccessivo delle variazioni, sicuramente l’idea di variare la ripresa della prima sezione delle arie è storicamente fondata ma qui si nota una certa tendenza a strafare anche in brani – come “Lascia ch’io pianga” – in cui non se ne sente particolare necessità. La voce della Piau resta fondamentalmente quella di un lirico leggero e quindi risulta perfetto per un ruolo come Morgana la cui celeberrima “Tornami a vagheggiar” ha tutta la brillante freschezza che a volte manca quando l’aria viene impropriamente affidata al personaggio di Alcina.Proprio in questo ruolo però la Piau mostra la pienezza della sua maturità artistica. La cantante francese gioca con i colori e i timbri della voce cogliendo in “Ah mio cor” la perfetta natura del personaggio oltre che una netta differenziazione rispetto all’aria di Morgana. Cleopatra è insieme ad Alcina la rivelazione del programma. La voce è forse ancor meno congeniale alla regia tolemaica di quanto lo fosse alla maga – e non casualmente il ruolo è spesso affidato a voci ibride con tendenze mezzosopranili – ma la qualità dell’artista supera i limiti naturali di base.
La Cleopatra della Piau guarda come modello a quelle voci più leggere che si sono cimentate nel ruolo e quindi inevitabilmente alla Sills.  Poche volte si è sentito un “Da tempeste il legno infranto” altrettanto funambolico sul piano della coloratura ma è soprattutto in “Piangerò la sorte mia” in cui il gioco degli accenti e dei colori raggiunge autentici vertici interpretativi. La mancanza di un maggior peso specifico si fa invece sentire nel recitativo nonostante l’incisività dell’accento.
Tra i brani meno noti si apprezza “Scherza in mar la navicella” dove la Piau è molto brava a rendere il carattere mimetico dell’aria al netto di una discesa al grave un po’ forzata ma questo è il limite maggiore della sua vocalità come si nota anche in “Desterò dall’empia Dite” da “Amadigi in Gaula” per altro resa con un gioco di contrasti molto riuscito in cui il tratto patetico prevale sulle accensioni di furore.Il programma è chiuso da un’intensa lettura di “Lascia ch’io pianga” dal “Rinaldo” in cui la Piau può sfruttare tutte le sue qualità espressive e musicali offrendo una lettura di particolare intensità.