Rossini Opera Festival 2023: concerti vocali di Maria Kataeva ed Enea Scala

Pesaro, Teatro Sperimentale, Rossini Opera Festival, XLIV Edizione
Concerto lirico-sinfonico 
Filarmonica Gioachino Rossini
Direttore Marco Mencoboni
Soprano Maria Kataeva

Musiche di G. Rossini, V. Bellini, W. A. Mozart, G. Bizet, G. Giménez, P. Luna
Pesaro, 20 aosto 2023
Concerto di belcanto 
Tenore Enea Scala
Pianoforte Michele D’Elia
Musiche di G. Rossini, J. S. Mayr, V. Bellini, F. Chopin, G. Verdi, L. Cherubini, H. Berlioz, J. Massenet
Pesaro, 21 agosto 2023
Il mezzosoprano russo Maria Kataeva è protagonista di uno dei numerosi concerti vocali del Rossini Opera Festival, che quest’anno sono stati eseguiti presso il Teatro Sperimentale di Pesaro a causa della temporanea inagibilità del Teatro Rossini. Nell’occasione la cantante è accompagnata da un’intera compagine strumentale, la Filarmonica Gioachino Rossini diretta da Marco Mencoboni. Più che recital di arie d’opera, il concerto è uno spettacolo teatral-attoriale, in cui l’artista si esibisce con costumi che paiono forgiati per l’occasione: il primo per recitare madrigali guerrieri e amorosi (con tanto di spalline militaresche), il secondo per interpretare l’idea più oleografica di Carmen di Bizet. E infatti, hanno un piglio molto guerriero tutti i primi brani, rossiniani e non: bene per Tancredi e il belliniano Romeo dei Capuleti e Montecchi («Ascolta! Se Romeo t’uccise un figlio»), ma anche Cenerentola canta il suo rondò finale con la spada sguainata, anche Sesto della Clemenza di Tito («Parto, ma tu, ben mio») è più volitivo e imperioso dello stesso imperatore. La voce di Kataeva è interessante, sia nel timbro sia nella tecnica, ma la cantante sembra torturata dal dubbio di non essere sentita: diversamente, non eseguirebbe tutto in forte o fortissimo, senza rilassare mai la tensione con una mezza voce, una smorzatura, un accento naturale (neppure in Bellini). Ovviamente, deve anche forzare sul registro acuto, per mantenere l’emissione sempre al massimo, a scapito di altri accorgimenti. Nelle agilità, per esempio, le note non sono sgranate con accuratezza e tendono a fondersi, con un effetto di certa imprecisione. La seconda parte del programma è dominata dalla personificazione di una Carmen sfrontata e volgaruccia (Habanera «L’amour est un oiseau rebelle» e Chanson Bohème «Les tringles des sistres tintaient»), che ammicca al pubblico, agli orchestrali, al direttore (il quale, pur con qualche incertezza, sta al gioco), canta forte e pesa esageratamente tutti gli accenti (anche con i tacchi). La cifra stilistica del concerto è data dall’intermezzo della zarzuela La boda de Luis Alonso di Gerónimo Giménez (quanto di più reboante, bozzettistico e pretenzioso esista in musica), prima che Kataeva riappaia munita dell’ordigno che serve a completare degnamente la sua esibizione: le nacchere, con cui accompagna la canzone «De España vengo» (El niño judío di Pablo Luna). Naturalmente, il pubblico va in visibilio, apprezzando molto (a buona ragione) anche la prova dell’orchestra e del suo direttore.
Se il successivo concerto vocale torna a essere vera espressione di sensibilità artistica è merito del tenore Enea Scala, che presenta un programma molto raffinato, dipanato tra Rossini e Verdi cameristici (Péchés de vieillesse, III, Morceaux réservés 2. L’esule; «More, Elisa, lo stanco poeta», da Sei romanzeIl poveretto; Brindisi, da Album di sei romanze), arie dell’opera neoclassica («Io ti lasciai, piangendo», da Medea in Corinto di Johann Simon Mayr; «Éloigné pour jamais», da Medea di Luigi Cherubini) e un brano belliniano («Sì, cadrò, ma estinto ancora», da Adelson e Salvini). La linea di canto di Scala è magnifica, di notevole eleganza; la tecnica, poi, gli consente di controllare l’emissione del suono e produrre tutt’una gamma di mezze tinte, piano e pianissimo. Un piccolo problema permane nella qualità del timbro, visto che le note di passaggio tendono a risuonare in gola, forse per una questione di posizione del suono (troppo alta?), e poi perché nel registro acuto scarseggiano gli armonici; ma questo si deve semplicemente alla voce ancora “fredda”. La temperatura emotiva del concerto s’impenna infatti quando Scala giunge all’aria di Argirio, «Ah! segnar invano io tento», dal Tancredi, facendo di nuovo capolino lo squillo nel registro acuto, che tanto entusiasma il pubblico. Di bene in meglio, «Inutiles regrets», dai Troyens di Berlioz, è forse la migliore pagina di tutto il concerto, per intensità di fraseggio e molteplicità dei colori; il che dimostra come un secondo repertorio autenticamente naturale per Scala sia quello drammatico, oltre al belcantistico. Il trionfo è nella dimostrazione di fedeltà rossiniana con cui il programma si chiude: la cavatina di Rodrigo, «Eccomi a voi, miei prodi», da La donna del lago: un prodigio di acuti, messe di voce, smorzature e vibrato. Enea, già divenuto Énée, si trasforma anche in Eracle, e può ben cantare alla fine «qual nuovo Alcide saprò in campo fulminar». Prezioso e ben eseguito il repertorio di brani pianistici che si alternano alle pagine vocali, in cui Michele D’Elia si cimenta, con Chopin (Ventiquattro preludi per pianoforte Op. 28 n. 15, Sostenuto in Re bem. magg., La goccia d’acqua), Verdi (Preludio da I masnadieri; Romanza e Valzer in Fa magg.) e Massenet (Méditation, da Thaïs). Più popolare – ma sempre squisita per il porgere – la scelta dei bis che il tenore concede al pubblico entusiasta, con le due Mattinate, prima di Tosti e poi di Leoncavallo, inframmezzate dal canto siciliano Li pescaturi.   Foto Amati-Bacciardi © ROF