Verona, Teatro Romano, 75a Estate Teatrale Veronese 2023
“MEDEA”
Tragedia di Euripide, traduzione di Massimo Fusillo.
Medea LAURA MARINONI
Nutrice DEBORA ZUIN
Pedagogo RICCARDO LIVERMORE
Creonte ROBERTO LATINI
Giasone ALESSANDRO AVERONE
Egeo LUIGI TABITA
Il Nunzio SANDRA TOFFOLATTI
Prima corifea FRANCESCA CIOCCHETTI
Prima coreuta e direttrice del Coro SIMONETTA CARTIA
Coro ALESSANDRA GIGLI, ANNA CHARLOTTE BARBERA, VALENTINA CORRAO, VALENTINA ELIA, CATERINA FONTANA, IRENE MORI, AUROARA MIRIAM SCALA, MADDALENA SERRATORE, GiULIA VALENTINI, CLAUDIA ZAPPIA
Portatore di Medea SEBASTIANO CARUSO
Figli di Medea MATTEO PAGUNI, FRANCESCO CUTALE.
Regia Federico Tiezzi
Scene Marco Rossi
Costumi Giovanna Buzzi
Disegno luci Gianni Pollini
Mestra del coro Francesca Della Monica
Arrangiatore coro e voci Ernani Maletta,
Regista assistente Giovanni Scandella
Musiche originali del coro e del prologo Silvia Colasanti
Verona, 12 settembre 2023
Come ormai entrato come una sorte di tradizione da qualche anno a chiudere l’estate teatrale veronese al teatro romano è uno spettacolo classico proveniente dal Teatro Greco di Siracusa. Proprio da questo magico luogo arriva la produzione della Medea di Euripide, con la regia di Federico Tiezzi, andata in scena lo scorso maggio. Un lavoro celebre, forse la tragedia per eccellenza, sicuramente un punto di riferimento per la storia del teatro, ma non solo, visto che il mito euripideo della donna-maga è stato è stato oggetto dell’ispirazione e rivisitazione di moltissimi altri autori letterari, di teatro, compositori e quant’altro. Di certo è uno dei lavori più noti del mondo del teatro classico, di sicura presa. E il publico ha risposto con un “sold-out” (o poco ci mancava). Non crediamo sia compito del recensore lanciarsi in disquisizioni storico-teatrali sulla Medea di Euripide, il web ne è pieno e si correrebbe il rischio di ripetersi…senza ombra di dubbio. Meglio porre attenzione allo spettacolo. Non si può non sottacere che gli spazi del teatro romano non sono certo quelli, assai ampi, del teatro greco di Siracusa e di conseguenza la parte scenografica deve gioco forza essere riadattata, perdendo in spettacolarità, nel forte contrasto coloristico tra piani inclinati, il bianco della scena (ma con un ampio pavimento lucido, mancante qui al romano). Qui a Verona, la scenografia è ridotta all’essenziale e forse porta ancora di più sulla tragedia. Il contrasto visivo è accentuato dai colori definiti dei costumi che vanno dal blu cobalto, al grigio e bianco. Chiaramente questo rientra nella cifra stilistica di Tiezzi che nel caso di Medea “Ho impostato la tragedia non come una rappresaglia individuale, ma come uno scontro fra due diverse concezioni della forza. Uno scontro fra una società arcaica e una società post industriale. Tra Ordine e Disordine. Medea è un campo di forze, dove si scontrano due modalità della violenza”. In scena vediamo una sorta di elegante salotto con delle colonnine sormontate da busti classici, molte sedie, dei tavoli. Questa è la reggia di Creonte, un signore borghese, che si presenta in un formale abito grigio, primi ‘900 che, indossando una maschera di coccodrillo, si scontra con Medea, che in abito classicheggiande blu cobalto, ma anch’esso con richiami liberty, indossa una maschera d’aquila. Un rapace contro un mondo di coccodrilli e in mezzo, due fragili conigli bianchi, queste sono le maschere che indossano i figli di Medea. La forza del colore della maga, contro il grigio omologato di Creonte, Giasone, il Pedagogo. Tiezzi parla di “scontro fra due diverse concezioni della forza”. Questo emerge anche nel taglio interpretativo dei personaggi. La solitudine, ma anche la forza, della Medea di Laura Marinoni, si esprime attraverso un’uso della parola, ma anche del corpo mai sopra le righe, anzi, i momenti di statica “assenza” diventano ancor più espressione di forza contro gli “altri” che sembrano esprimersi, in particolare il Giasone di Alessandro Averone, con accenti di un uomo banalmente arrivista, che solo nel finale, nella disperazione, appare anche lui desolatamente solo. Tutti i personaggi appaiono ben caratterizzati, a partire dal Nunzio/Messaggiera di Sandra Toffolatti. Applausi in scena per la sua partecipe e intensa narrazione a una Medea “lontana”, distaccata, della straziante morte di Glauce e di Creonte. Non meno efficaci la Nutrice di Debora Zuin, la prima Corifea di Francesca Ciocchetti e via, via tutti gli altri: Roberto Latini (Creonte), Riccardo Livermore (Pegagogo), Luigi Tabita, un Egeo, ambiguamente dandy. Di grande rilievo la parte musicale (con musiche di Silvia Colasanti) che valorizza la forza drammatica e teatrale di un doppio coro (ci è parsa forse un po’ troppo carica di grida l’uccisione dei figli di Medea) che alla fine, davanti a un desolato Giasone, “sporcare” di rosso-sangue la parete di fondo di questo salone che ora, con le sedie, colonnine accatastate, appare anch’esso espressione dei tragici eventi. Lunghi applausi hanno saluto tutti gli interpreti.