Roma, RomaEuropa Festival 2023: “Ukiyo-E” di Sidi Larbi Cherkaoui

UKIYO-E”
Con il Ballet du Grand Théâtre de Genève
Coreografia Sidi Larbi Cherkaoui
Drammaturgia Igor Cardellini
Musica Szymon Brzóska,Alexandre Dai Castaing
Canto e DanzaKazutomi «Tsuki» Kozuki
Canto, Shinobue, Nohkan e Kokyu Shogo Yoshii
Percussioni Alexandre Dai Casting, Shogo Yoshii
Musica elettronica Alexandre Dai Castaing
Scene Alexander Dodge
Costumi Yuima Nakazato
Luci Dominique Drillot
In coproduzione con Maison de la Danse, Lyon-Pôle européen de création, La Biennale de la danse de Lyon 2023, Eastman e Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura.
Prima nazionale
Roma, 7 settembre 2023
Ukiyo-e, il titolo dello spettacolo a firma Sidi Larbi Cherkaoui che ha aperto la trentottesima edizione del Romaeuropa Festival, rimanda alle «immagini del mondo fluttuante», ovvero al genere di stampe giapponesi che furono in auge nel periodo storico Edo, in cui un relativo assetto legato al potere della famiglia Tokugawa seguì ad aspri combattimenti. Vedute naturali capaci di infondere una profonda pace, grazie alle limpide distese d’acqua e alla stabilità dei monti, nonché alla freschezza dei fiori di ciliegio, ma anche schizzi che catturano l’impetuosità delle onde e lo stesso movimento sociale delle classi in ascesa (pensiamo in particolare alle opere più note di Hiroshige e Hokusai). Tranquillità meditativa e ritratti sensuali. Tuttavia, il lavoro di Cherkaoui – come spiega lo stesso coreografo nel programma di sala – non vuole essere una riflessione sulla cultura nipponica, ma piuttosto una dimensione esistenziale, una geografia dell’anima. Ci si immerge già ad inizio spettacolo grazie al suono di percussioni ispirate alla musica tradizionale giapponese che provengono da un piano elevato della scena, separato da un velo dallo spazio più basso riservato ai danzatori. Il primo di loro appare da un lato avanzando di profilo sul proscenio, rispondendo al richiamo della musica con un battito sul petto che pone lo spettatore in una condizione di ascolto emotivo. Al suo abito colorato si contrappone il colore scuro delle tonache degli altri danzatori che lentamente si dispongono sulle scale ideate dallo scenografo Alexander Dodge ispiratosi a M. C. Escher. Scale in grado di dividersi e riavvicinarsi, di roteare su se stesse, riflettendo l’idea di impermanenza a cui il coreografo cerca di dare una risposta nella sua creazione, lasciando interagire con esse i danzatori. Compare quindi nella coreografia l’elemento della caduta, che nel suo valore simbolico non rappresenta una frattura, ma solo un momento di passaggio, seguito dall’imperturbabilità degli interpreti. Ai fluidi movimenti veloci e inafferrabili del primo danzatore, fanno seguito dinamiche più angolose. Il singolo si connette al gruppo che lo imita o lo eleva, per poi distanziarsene grazie alla componente dell’applauso metateatrale. Tali tensioni si incarnano in un coinvolgente assolo maschile capace di esprimere tormenti interiori evidenziati dall’apparire di una figura specchio, immobile sulle scale. Eppure, gradualmente, sembra ricomporsi un’armonia. Risuonano le parole di Hold your own di Kae Tempest, che invitano a fermarsi per prender fiato, a seguire la propria intima vocazione, a non dimenticare gli affetti. Da una rinnovata pantomima di gesti si passa alla danza, a un duetto in cui i corpi si intrecciano, il femminile e il maschile entrano in comunione, illustrata dalla fisicità scenica di un bacio. Il corpo di ballo si apre a una magica coralità sottolineata dalla musica che, dopo aver fatto dialogare tradizione giapponese e musica elettronica, sembra voler esprimere una nuova classicità. È solo una parentesi, la danza ritorna scomposta, trasmettendo agli interpreti il moto iniziale delle scale. Si ripresentano le cadute. Alla sensazione di protezione rappresentata visivamente dai mantelli indossati dai performers si sostituisce il corpo seminudo. Pur disponendosi in cerchio o in fila, pur tenendosi per mano, gli interpreti si distanziano, subiscono dei contraccolpi, si attraversano e infine escono di scena. Parlando alla nostra contemporaneità, Cherkaoui sembra volerci far riflettere sull’inquietudine che la caratterizza, spingendoci allo stesso tempo verso la riflessione interiore, nel tentativo di restare in piedi. Foto Gregory Batardon