Romaeuropa Festival 2023: “Exit Above” – “After the tempest” di Anne Teresa De Keesmaeker

Roma, Romaeuropa Festival 2023 Cavea – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
“EXIT ABOVE – AFTER THE TEMPEST”
Coreografia Anne Teresa De Keersmaeker
Creato con e danzato da Abigail Aleksander, Jean Pierre Buré, Lav Crnčević, José Paulo dos Santos, Rafa Galdino, Carlos Garbin, Nina Godderis, Solal Mariotte, Meskerem Mees, Mariana Miranda, Ariadna Navarrete Valverde, Cintia Sebők, Jacob Storer
Musica Meskerem Mees, Jean-Marie Aerts, Carlos Garbin
Musica eseguita da Meskerem Mees, Carlos Garbin
Scene Michel François
Disegno luci Max Adams
Costumi Aouatif Boulaich, Alexandra Verschueren
Testo e liriche Meskerem Mees, Wannes Gyselinck
Drammaturgia Wannes Gyselinck
Produzione Rosas
In coproduzione con Concertgebouw Brugge, De Munt/La Monnaie, Internationaal Theater Amsterdam, Le Théâtre Garonne (Toulouse), GIE FONDOC OCCITANIE (Le Parvis tarbes, Scène nationale ALBI Tarn, Le Cratère Alès, Scène nationale Grand Narbonne, Théâtre Garonne).
Prima nazionale
Roma, 11 settembre 2023
Uno spettacolo complesso e ingegnoso quello presentato da Anne Teresa De Keersmaeker nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma per la trentottesima edizione del Romaeuropa Festival. Il titolo rimanda a una didascalia de The Tempest di William Shakespeare. L’intento annunciato nel comunicato stampa è quello di proseguire la ricerca sul rapporto tra musica e movimento che da sempre interessa la coreografa belga. Dopo la musica classica di Bach o quella contemporanea di Reich, è la volta del blues, di Robert Johnson, in un percorso che arriva al pop, al rock, all’elettronica e alla dance. In attesa del confronto con la nuova produzione, lo spettatore è accolto dall’intricato groviglio di cerchi e figure geometriche disegnati sul pavimento scenico e da quattro chitarre elettriche. A presentarsi per primi al pubblico non sono i danzatori, bensì il chitarrista blues Carlos Garbin e la cantautrice fiamminga di origini etiopi Meskerem Mees. Il riferimento all’opera teatrale shakesperiana si disvela poco a poco. Sullo sfondo viene proiettata la descrizione che il filosofo tedesco Walter Benjamin fece del dipinto Angelus Novus di Paul Klee, da lui acquistato nel 1921. Un angelo che, riflettendo la concezione metafisica del pittore astrattista, guarda con occhi fissi una catastrofe che ha luogo davanti ai suoi occhi. Alle sue spalle il passato. Innanzi a lui la tempesta del progresso che si innalza verso il Paradiso. Il rimando si fa concreto grazie a un enorme velo di colore bianco argento che turbina in alto sulla scena, mentre in basso il primo danzatore risponde alla musica elettronica con gli impulsi del suo corpo che terminano in una sorta di headspin derivato dalla breakdance. La poesia si rompe, la drammaturgia si destruttura, il rimando al Prospero shakespeariano e al suo potere sulla natura passa ora nel campo di un’analisi creativa che coinvolge danza, canto e musica. Un gruppo compatto di performers, fermo al centro della scena, comincia ad effettuare dei piegamenti sincopati. Inizia il tema della camminata che si ispira alla canzone Walking Blues di Robert Johnson, nonché a uno dei principi guida della stessa De Keersmaeker (“My walking is my dancing”). Seguendo le figure geometriche del pavimento, gli interpreti cominciano ad esplorare le varie direzioni, in un moto verso il fondo o il proscenio, in orizzontale e in verticale, nonché in diagonale. Si disperdono per poi ritrovarsi. La presenza scenica di Meskerem Mees diventa parte integrante della coreografia, la sua performance unisce il canto alla danza. Dopo un’esplorazione quasi matematica della dimensione cinetica si avverte l’affiorare di un’analisi sulle radici del blues e delle sue liriche. Le parole proiettate sullo sfondo comunicano stati d’animo o introducono gli elementi della natura. I danzatori rispondono con movimenti delle braccia che imitano il volo di un uccello, mentre alla musica sembra mischiarsi un reale cinguettìo. E se il blues deriva il suo nome da quello stato malinconico che segue un’ubriacatura, i danzatori sembrano intenti in un gioco che coinvolge idealmente anche il pubblico e che pone a confronto il singolo, i piccoli gruppi e la collettività. La loro danza sembra riflettere la contaminazione di vari generi, non ultimo l’hip hop e il suo tipico footwork o i suoi salti. Ma è proprio questo il punto. Secondo il programma di sala, “il vagare, il marciare, l’isolarsi e il ritrovarsi uniti in un gruppo di persone per muoversi insieme sono per De Keersmaeker azioni di resistenza contro l’efficienza dell’iper-produttività odierna”. Lo spettacolo è anche secondo il nostro punto di vista un atto politico che non rifiuta l’avanzare verso il progresso, né in campo musicale, né in campo coreografico, né metaforicamente nella nostra società. È vero però che la coreografia acquista vera potenza, quando nell’unirsi alla musica i passi riflettono una grande energia interiore, rappresentata inoltre per un attimo dall’illusione scenica del fuoco. Avanzare, dunque, si può, ma solo se lo si fa senza rinunciare al proprio fuoco interiore e al contatto con la natura, oltre che a quello con il proprio sé. Per questo, dopo il momento dell’euforia, arriva chiarificante un finale rigorosamente in chiave blues. Foto Anne Van Aerschot